Quote rosa, parità di genere: quante volte ne abbiamo sentito parlare in discorsi dove spesso la retorica ha oscurato il significato morale. La novità è che ora gli imperativi etici e quelli di bilancio stanno imboccando la stessa strada. «Assumere più donne e favorire la loro carriera non è solo un dovere, ma una garanzia di sostenibilità dell’azienda, un’assicurazione sulla vita per le imprese e le società» dice Walter Ruffinoni, amministratore delegato di NTT Data Italia, branch dell’omonima multinazionale giapponese di information technologies. Le sue parole trovano eco nel pensiero e nell’azione degli altri amministratori delegati e presidenti di aziende che hanno sottoscritto il Manifesto per l’occupazione femminile.
A promuovere il Manifesto è Valore D: è la prima associazione di grandi imprese creata in Italia per sostenere la leadership femminile in azienda e ha 166 associati che, in totale, occupano 1 milione e mezzo di persone. Il Manifesto nasce dal monitoraggio di oltre 1.000 buone pratiche realizzate sulle diversità di genere e prevede azioni concrete lungo 9 direttive: dai congedi parentali alle politiche di welfare, dall’incremento della presenza femminile in fase di assunzione e di carriera alle attività per favorire la diffusione degli studi tecnici e scientifici tra le ragazze. Le imprese che hanno sottoscritto il Manifesto operano in settori diversi e vanno da Accenture a Ikea Italia, da Autogrill a Gruppo Ferrovie dello Stato, dal Politecnico di Milano a Barilla, da Coca Cola Italia a Hewlett Packard a GE Italia. Il testo del Manifesto e l’elenco completo delle imprese aderenti si trovano sul sito.
I dati italiani sull’impiego femminile sono tutt’altro che incoraggianti
I dati Eurostat 2016 dicono che solo metà delle donne italiane lavora. Quelle con un impiego guadagnano in media 1 quinto meno degli uomini e 1 su 5 abbandona il lavoro alla nascita di un figlio. Per dare risposte a questi problemi il governo stanzia nel biennio 2017-2018 sgravi contributivi (110 milioni di euro) per le imprese che nei contratti aziendali prevedono forme di conciliazione lavoro-famiglia, dalla creazione di nidi agli orari flessibili.
Assumere le donne stimola la crescita del Paese
È il momento della “womenomics”, quella branca dell’economia che calcola e racconta perché dare più spazio alle donne nel lavoro farebbe bene a tutti. «Un maggior numero di occupate aumenta le entrate fiscali e previdenziali. E innesca anche un circolo virtuoso: ogni 100 nuovi posti di lavoro dati alle donne si creano 15 posti nel settore dei servizi, soprattutto di cura alla persona» dice Daniela De Boca, docente di Economia politica all’università di Torino e coautrice di Valorizzare le donne conviene (Il Mulino). Le donne decidono anche il 66,5% degli acquisti delle famiglie: se guadagnano, possono spendere di più. E averle in azienda aiuta a individuare meglio necessità e gusti dei consumatori, cioè a indirizzare in modo strategico le vendite. Non solo. Il Prodotto interno lordo, fotografia della salute economica di un Paese, è da anni arrancante. Equilibrare presenze femminili e maschili nel mondo professionale potrebbe imprimergli nuovo vigore. Lo conferma un recente studio della multinazionale statunitense GE (General Electric), da 20 anni impegnata in programmi a sostegno dell’occupazione delle donne (nel 1997 è nata Women’s network, rete che coinvolge le 100.000 dipendenti dell’azienda per promuovere la professionalità femminile). «Superare il divario nel tasso di occupazione tra uomini e donne può far aumentare dal 5 al 12% i Pil nazionali nei Paesi Ocse» dice Sandro De Poli, presidente e amministratore delegato di GE Italia.
Spingono in alto i profitti delle società
Dai conti dello Stato a quelli delle aziende il cosiddetto “effetto-donna” fa da volano allo sviluppo. «Meritocrazia e diversità sono leve fondamentali per assicurare crescita, performace e innovazione» spiega Philippe Donnet, amministratore delegato e Group ceo di Assicurazioni Generali. Il Fondo monetario internazionale ha calcolato che per ogni donna che sale ai livelli superiori del management la società vede crescere i suoi profitti tra lo 0,08 e 0,13%. Altri numeri, promettenti, li snocciola Walter Ruffinoni di NTT Data Italia: «L’anno scorso un aumento del 13,7% di donne nella nostra azienda ha coinciso con una crescita del fatturato del 12%».
Hanno le qualità giuste per l’industria 4.0
Ruffinoni nel suo saggio Il codice del futuro (Marsilio) scrive che occorre «giocare la carta “rosa” al tavolo dei nuovi business». Perché? «Le donne» spiega «hanno le caratteristiche, dall’intuizione alla capacità di ascolto, necessarie allo stile di leadership che deve affrontare le sfide dell’industria 4.0». Non solo. «Rispetto al passato, oggi nelle fabbriche si richiedono più creatività e competenza e meno forza fisica» spiega De Poli. Dunque, presto porte spalancate all’occupazione femminile e soffitti di cristallo frantumati? Certo che no. «Gli ostacoli fisici sono stati in buona parte rimossi» precisa De Poli. «Ora occorre intervenire su quelli mentali». Questi ultimi sono un nemico subdolo, annidato in tanti pregiudizi e schierato su più fronti, aziende comprese. Una ricerca di The Boston Consulting Group mostra che solo il 61% degli uomini manager (contro il 74% delle donne) ritiene che ci siano freni alla carriera al femminile.
Sono al centro di forti investimenti
«Le ragazze hanno superato i ragazzi nell’istruzione, ma buona parte resta ai margini del mercato del lavoro» dice la professoressa Del Boca. «Questo comporta uno spreco di talenti in cui famiglie e istituzioni hanno investito. Va affrontato il problema di “autoselezione” delle giovani: poche scelgono le Stem, le materie tecniche e scientifiche, quelle dove si stanno creando più posti di lavoro e posti meglio pagati». Proprio il traghettare le donne verso queste discipline è un investimento per il futuro che ora fanno le aziende: si parte dalle elementari con lezioni giocose di coding (un mix di matematica, logica e algoritmi) fino a iniziative come Grow (Generating real opportunities for women), che promuove lo sviluppo professionale delle studentesse della Luiss Business School. «Il progetto vuole creare opportunità in ambiti considerati prettamente maschili come il data science» spiega Paola Severino, rettore della Luiss. Gioia Ghezzi, presidente del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane, conferma: «Un problema spesso è la mancanza di modelli, per cui le ragazze pensano che in certi ruoli non ci sia posto per loro. Mandiamo nelle scuole donne ingegneri, macchiniste e operatrici della manutenzione e un primo risultato c’è: nell’ultimo anno sul nostro sito sono aumentati del 50% i curricula di studentesse dagli istituti tecnici». Il progetto citato da Gioia Ghezzi si chiama Women in motion, donne in movimento; il treno del cambiamento è partito, riuscirà a prendere velocità?
Che sorpresa le manager
22% Le donne con ruoli apicali in azienda in Italia. La media Ue è del 29%. Con qualche sorpresa: il picco è in Polonia (36%), un Paese considerato virtuoso come l’Olanda registra solo il 24%. 30% La percentuale di donne a livello executive in Italia che ha un figlio prima dei 30 anni (contro il 22% delle altre donne): il dato ridimensiona l’opinione per cui famiglia e carriera non sono compatibili (Fonte: The Boston Consulting Group e Valore D).