Orario di lavoro “fisso” addio. Parola del ministro Giuliano Poletti. E se lo ammette anche lui, vuol proprio dire che l’era dello “smart work” è iniziata. Ma perché le sue dichiarazioni, espresse durante un convegno all’università Luiss, hanno scatenato la polemica?

Come saranno i nuovi contratti

“Dovremmo immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento l’ora-lavoro“. Questo il passaggio incriminato, sufficiente a scatenare i sindacati, in prima fila la leader Cgil Susanna Camusso, che teme la trasformazione del mercato del lavoro in una giungla ispirata soltanto al liberismo e alle paghe a cottimo. “Non scherziamo” ha detto. “La maggior parte delle persone fa un lavoro faticoso: nelle catene di montaggio, le infermiere negli ospedali, la raccolta nelle campagne, dove il tempo è fondamentale per salvaguardare la loro condizione”. Chi ha ragione? Entrambi (se solo trovassero cinque minuti per spiegarsi).

Quando si lavora a casa

Il ministro Poletti, nei giorni successivi, ha argomentato meglio: “I lavori sono cambiati ed è giusto che cambi anche il sistema di retribuzione. La paga per ora di lavoro non deve essere l’unico parametro. Ci sono attività che si possono svolgere fuori ufficio e in tutti gli orari. Un esempio? Se un sabato notte, a letto con in mano il tablet, passo un’ora a rispondere alle e-mail e organizzare degli appuntamenti, non sto lavorando? Certo. Ma quell’ora dove viene conteggiata nel contratto classico? Come faccio a rendere conto di quell’ora, che sarebbe straordinario, notturno e festivo?”.

Il lavoro del futuro sarà organizzato per obiettivi

Effettivamente per molti lavori, legati ai servizi più che all’industria, è così. Prendiamo una delle figure più ricercate oggi, il social media analyst, che segue la reputazione dell’azienda cliente in Rete. L’importante è che, ogni settimana, fornisca un report su quanto ha analizzato. Ma se un giorno ha tempo solo per 4 ore, che recupera il giorno dopo lavorando di più, a casa, o in ufficio, che cosa cambierebbe? “Dobbiamo ragionare di un lavoro organizzato più per obiettivi che per orario. Questo consente una maggiore flessibilità e più coerenza tra tempi di vita e di lavoro” ha aggiunto il ministro.

Ecco gli esempi italiani

E infatti molte grandi aziende se ne sono accorte. Vodafone, per esempio, ha in attivo il progetto di Smart work che coinvolge il maggior numero di dipendenti in Italia: oggi il progetto, in continua evoluzione, riguarda oltre 3.500 dipendenti che possono scegliere con maggiore autonomia spazi e strumenti di lavoro. Sono già 2400 le persone che lavorano 4 giorni al mese in un luogo diverso dall’ufficio, con laptop, smartphone e una chiavetta internet personali.

Sanofi Italia, colosso farmaceutico, permette a 125 dipendenti delle sedi di Milano e di Modena di lavorare a casa un giorno alla settimana, grazie a un software che l’impresa ha installato sul pc di casa. American Express, addirittura, ha in corso una vera rivoluzione. Dei suoi 1.000 dipendenti della sede italiana, a Roma, già 300 hanno firmato un contratto che prevede totalmente il telelavoro da casa, visto che si tratta di mansioni legate principalmente all’uso del computer e del telefono. Ma quando si tratta di mansioni di ufficio, la flessibilità non è più una rarità e l’elenco potrebbe continuare con Tetrapak, Barilla, Ferrari e altri.

Anche nelle catene di montaggio

Discorso diverso per la produzione. Si potrebbe fare anche in catena di montaggio? I timori dei sindacati, in effetti, sono legati proprio alle mansioni faticose, usuranti, dove la presenza dell’uomo sulla macchina è indispensabile. In quel caso, salvaguardare il concetto cardine di paga per ogni ora di lavoro prestata sembra sacrosanto per difendere il diritto alla giusto retribuzione. E poi come è possibile che un dipendente si assenti, se lungo la catena di lavorazione si muove un pezzo dopo l’altro da montare? La realtà pian piano sta cambiando anche qui. Alla Ducati di Bologna è in vigore un’organizzazione della produzione divisa in aree. Ogni operaio, in sintesi, riceve un “kit” e deve portare a termine la costruzione dei pezzi assegnati, in maniera indipendente rispetto agli altri. Il contratto infatti prevede 30 ore di lavoro settimanali, con due giorni di pausa e cinque di lavoro. Il lavoratore, naturalmente, deve recarsi in fabbrica. Ma è lui a poter scegliere se lavorare da lunedì a venerdì, oppure i weekend. Ed è stato abolito l’orario rigido di ingresso: al mattino, ad esempio, si può timbrare alle 6, alle 7 o alle 8. L’importante è che i pezzi siano terminati alla data prestabilita, quando saranno assemblati agli altri. Per adesso è un caso quasi unico. Ma la strada è aperta.