Non c’è pensione senza lavoro. Ecco perché, a Napoli, sta per arrivare un evento che cerca di mettere insieme le due cose. Dal 10 al 12 maggio, in piazza Plebiscito, si terranno le Giornate nazionali della Previdenza, serie di incontri organizzati dal centro studi Itinerari Previdenziali. Si discuterà di pensioni, ma grazie a un accordo con il portale di ricerca lavoro Monster, direttamente in piazza sarà possibile per molti aspiranti sostenere un colloquio. Per candidarsi occorre andare sul sito giornatanazionaledellaprevidenza.it, cliccare su #servelavoro e seguire la procedura. Intanto, però, il dibattito non si ferma. Vediamo di fare chiarezza su alcuni punti con gli esperti di Itinerari Previdenziali.
Pensioni: cosa cambierà dal 2017?
Si fanno tanti proclami, ma risorse per modifiche sostanziali non ce ne sono. Resta l’impianto della riforma Fornero, quindi: per le donne, in pensione con 65 anni e 7 mesi (un anno in più per le autonome), che salgono a 66 anni e 7 mesi nel 2018, per tutti. Forse ci sarà spazio per introdurre una certa flessibilità in uscita per i “precoci”, cioè chi lavora da prima dei 18 anni, ed entrerà nel vivo la novità del part-time per i lavoratori a cui mancano tre anni al pensionamento. Cioè una riduzione dell’orario di lavoro, ma con il versamento dei contributi al 100%, pagati in parte dallo Stato e in parte dell’azienda.
Il part time è un diritto o l’azienda potrebbe anche non concederlo?
Riguarda i lavoratori privati assunti a tempo indeterminato, con almeno 20 anni di contributi e che matureranno il requisito anagrafico entro il 31 dicembre 2018 (66 anni e 7 mesi). Però non è un diritto, ma un accordo tra il lavoratore e l’azienda, che potrebbe non concederlo.
Le donne sperano nel rinnovo dell’Opzione donna o comunque in qualche meccanismo che consenta loro di anticipare l’uscita dal lavoro. Quali possibilità ci sono?
L’opzione, che ha permesso di andare in pensione con 57 anni di età e 35 di contributi, per chi li ha maturati entro il 31 dicembre scorso, dovrebbe essere rinnovata. Le possibilità sono alte, ma è probabile che l’età venga alzata a 60 anni, per rendere il meccanismo meno pesante per le casse dell’Inps. Durante le Giornate di Napoli, Itinerari previdenziali lancerà l’idea della flessibilità per le donne in carriera che hanno figli: un anno di anticipo sull’uscita dal mondo del lavoro per ogni figlio.
Si è detto che potrebbe cambiare il meccanismo di “reversibilità”, che diventerebbe meno generoso per il superstite. Poi il Governo ha smentito. A chi credere?
La reversibilità, per chi già la percepisce, non verrà toccata. Si potrebbero modificare le norme per quelle future, ma allora il Governo dovrebbe abbassare i contributi che buste paga e autonomi versano alla voce Ivs (invalidità, vecchiaia, superstiti).
Un lavoratore 40enne di oggi, a grandi linee, quando andrà in pensione?
Dipende da molti fattori. Stando alle norme in vigore, un nato nel 1976 andrà in pensione nel 2045, con 69 anni di età, a patto di avere un minimo di 20 anni di contributi. Potrebbe anche farcela nel 2042, quindi a 66 anni di età, con un meccanismo chiamato “pensione anticipata contributiva”, a patto però che dal calcolo della pensione risulti un trattamento mensile pari a 2,8 volte l’assegno sociale (che nel 2016 è fissato a 448 euro).
E quanto prenderà?
Si calcola che un dipendente con la busta paga tradizionale potrà contare in media sul 70% dell’ultimo reddito annuale, in caso di uscita anticipata. E fino all’80% proseguendo fino all’età anagrafica richiesta. Quindi, se prendeva 1.500 euro netti, la pensione oscillerà tra 1050 e 1.200 euro. Un lavoratore autonomo, che durante l’attività versa meno contributi, in entrambi i casi arriverà al massimo al 70%.