Anche gli ex coniugi separati hanno diritto alla pensione di reversibilità, anche se non hanno mai ricevuto l’assegno di mantenimento. A stabilirlo erano state almeno due sentenze della Corte Costituzionale, alle quali adesso, però, l’Inps si è adeguata. Con una circolare pubblicata da pochi giorni, l’ente di previdenza ha fornito indicazioni precise su chi e come si può ottenere la pensione di reversibilità dall’ex coniuge, quando questo viene a mancare. Un diritto che – sottolinea l’Inps – spetta anche nel caso in cui alla moglie o al marito superstite era stata addebitata la “colpa” della separazione e non aveva ottenuto alimenti dall’ex finché questo era in vita.

Facciamo chiarezza sul perché e come ottenere l’assegno.

Reversibilità anche all’ex separato senza alimenti

Non ci sono più distinzioni tra ex coniugi separati, con o senza assegno di mantenimento, almeno per quanto riguarda il diritto alla pensione di reversibilità. A stabilirlo erano state alcune sentenze, in particolare della Consulta nel 2018 e nel 2019, ma adesso anche l’Inps si è adeguato. Con una circolare di febbraio (n.19/2022), l’ente ha recepito l’orientamento prevalente della giurisprudenza: «È stato stabilito che non sussiste più alcuna differenza tra coniuge separato in base al titolo della separazione: significa che oggi anche il coniuge separato con addebito e senza diritto agli alimenti, può avere diritto alla reversibilità. Questa circolare è stata subito applicata, tant’è vero che le domande presentate alla data del 2 febbraio 2022 e quelle già pendenti sono state riviste tenendo conto dei contenuti di questo provvedimento. Credo che sia un traguardo importante» spiega l’avvocato Celeste Collovati dello studio Dirittissimo.com.

Basta distinzioni tra ex coniugi

La novità può apparire insolita se si pensa che una donna o un uomo che non aveva diritto agli alimenti dall’ex quando era in vita, potrà ora ricevere la reversibilità da quello stesso ex, una volta defunto. Perché? «Certamente la decisione è legata a un’annosa questione anche in giurisprudenza, che vedeva un’enorme differenza di trattamento tra ex coniugi e che è stata dichiarata appunto incostituzionale (con sentenza corte Cost. 450/89) – spiega l’esperta – il motivo sta nel fatto che la reversibilità è un diritto soggettivo, molto antico, nato addirittura nel 1939 per tutelare le donne che a quell’epoca non avevano una pensione propria perché non lavoravano (da qui si definisce anche “pensione indiretta”)».

È vero che oggi è cambiata la società. «Nel tempo c’è stata una totale equiparazione tra uomo e donna in tema di diritti, ma riguardo alla reversibilità non bisogna dimenticare che è nata con funzione solidaristica e che dunque va concessa e riconosciuta per il solo fatto di esser stati sposati. È quanto si evince dalle varie sentenze della Cassazione e difficilmente si cancellerà questo concetto» chiarisce Collovati. «Nel caso specifico, mi sembra giusto che non si facciano più differenze di alcun tipo tra separazioni con o senza mantenimento, e che la reversibilità possa essere un diritto riconosciuto e garantito a tutti gli ex coniugi, a prescindere dal tipo di separazione, al genere, alla colpa, ecc».

Attenzione ai requisiti

Le indicazioni della circolare Inps, dunque, valgono per i separati, ma attenzione ai requisiti, come ad esempio il tipo di assegno di mantenimento: «C’è ancora qualche caso controverso, che non rientra nell’applicazione di questa circolare. Ad esempio, se la sentenza di separazione ha stabilito che l’ex coniuge riceva l’assegno in unica soluzione (la cosiddetta una tantum) non potrà avere diritto alla pensione di reversibilità. Il motivo, secondo alcune recenti sentenze, è che manca il requisito dell’attualità e della titolarità del mantenimento. Consiglio, quindi, di prestare attenzione alle condizioni stabilite nella sentenza di separazione, perché in questo caso specifico non si potrà godere della reversibilità con le ultime novità» suggerisce l’esperta.

Novità solo per i separati (non per i divorziati o le coppie di fatto)

Un altro aspetto a cui prestare attenzione è la condizione degli ex: la novità vale solo per i separati, ma non per i divorziati o chi si era unito civilmente. «Da quel che si legge la circolare vale solo nel caso in cui il coniuge sia separato in quanto, nel suo testo, fa riferimento al concetto di separazione e non allo status di “divorziato”, dunque per il momento ci atteniamo al contenuto delle sentenze e della normativa che sembra non estendere le novità anche alla fase successiva, ovvero del divorzio vero e proprio – chiarisce l’esperta di Dirittissimo.com – Inoltre, non sembra che valga anche per le coppie di fatto: occorre un vincolo coniugale vero e proprio. Qui si parla solo di separazione che, come sappiamo, è la fase antecedente, anche dal punto di vista procedurale, al divorzio».

E se ci si risposa?

Ma cosa succede se l’ex nel frattempo si era risposato? «Di norma, il criterio di ripartizione della quota di reversibilità fa riferimento ad una serie di fattori quali, in primis, la durata del matrimonio. Ma occorre tener conto anche di altri elementi, sempre correlati alla finalità solidaristica della reversibilità, come la misura dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali – dice Collovati -Il giudice in questi casi ha molta discrezionalità nell’attribuzione della quota divisa, ma non può fare a meno di tener conto di tutti questi criteri fondamentali». Insomma, non esiste una regola uguale per tutti, ma vanno valutati i singoli casi.

Quando i figli hanno diritto alla reversibilità

Oltre all’ex coniuge separato, però, possono avere diritto alla reversibilità anche i figli. «A determinate condizioni i figli possono beneficiare della reversibilità del padre o della madre defunti. In particolare, se maggiorenne, il figlio deve soddisfare queste due condizioni: essere riconosciuto inabile al lavoro con sentenza e deve dimostrare di essere stato a carico del genitore defunto al momento del decesso di quest’ultimo – spiega Collovati – Esiste inoltre anche il diritto per il figlio superstite studente fino al ventiseiesimo anno di età, ma anche in questo caso si deve dimostrare di essere in corso di studi con attestazioni scritte del percorso di studi».