La riforma delle pensioni potrebbe essere vicina. A spingere per un cambio di norme, che riguardino soprattutto il pensionamento anticipato, è la scadenza di Quota 100 a dicembre 2021. Al momento, infatti, il provvedimento, varato in via sperimentale nel 2019 per tre anni, prevede la possibilità di lasciare il lavoro con 62 anni di età e 38 di contribuzione. Un sistema che però, secondo i sindacati, è troppo rigido: «È necessario e urgente disegnare una riforma strutturale del sistema previdenziale che superi le attuali rigidità e che decorra dal gennaio 2022, alla scadenza di Quota 100» hanno ribadito Roberto Ghiselli, segretario confederale Cgil, Domenico Proietti, segretario confederale Uil, e Ignazio Ganga, Segretario confederale Cisl rivolgendosi al neo Ministro per le Politiche sociali, Andrea Orlando.
Da 62 a 67 anni? Lo “scalone” preoccupa
«La riforma complessiva del nostro impianto previdenziale – proseguono i sindacati – dovrà prevedere la possibilità di accesso flessibile alla pensione, il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, la valorizzazione del lavoro di cura e del lavoro delle donne». A preoccupare è soprattutto lo “scalone” previdenziale che porterebbe l’attuale età pensionabile di Quota 100 (62 anni) a quella della Riforma Fornero (67), con un balzo di ben 5 anni. Particolare attenzione, dunque, viene rivolta alle donne, ai caregiver (che nella maggior parte dei casi sono sempre donne) e giovani. Quali sono le possibilità allo studio e quelle ancora valide?
Quota 100 è troppo rigida
A chiedere una proroga di Quota 100 è soprattutto la Lega, che invoca un “rinnovo a costo zero”, ma in tempi di crisi economica c’è chi ritiene che sia troppo costosa, quantificando la spesa per lo Stato in 20 miliardi in tre anni. È dunque impossibile da prorogare? «Quello del costo in realtà è un falso problema, anche perché i dati ci dicono che a farne richiesta non sono stati tutti i potenziali aventi diritto. Oltretutto, se dividiamo la spesa per le pensioni da quella per l’assistenza, possiamo notare come la prima è intorno al 12% del PIL, cioè in linea con la media europea» spiega Domenico Proietti, segretario delegato alla Fiscalità e Previdenza Uil. «Il vero problema è poter creare una flessibilità più diffusa, perché Quota 100 è rigida: si può andare in pensione solo a 62 anni d’età e 38 di contributi, ma non a 63 con 37 di contribuzione o a 41 di anzianità contributiva e 61 di età anagrafica. Quindi, quello che chiediamo è la possibilità di uscire dal mondo del lavoro, per chi lo vuole, intorno ai 63 anni» aggiunge il responsabile del sindacato.
Le misure alternative: Quota 41 e Quota 102
Due delle principali alternative riguardano Quota 41 e Quota 102, che richiamano lo schema di Opzione Donna, ossia la possibilità di accedere anticipatamente alla pensione a fronte di una penalizzazione del lavoratore, che volontariamente può optare per questa possibilità. Con Quota 41 ci sarebbe un ricalcolo contributivo dell’assegno pensionistico che è frutto di un sistema misto (retributivo più contributivo) ed è previsto solo in alcuni casi: un’anzianità contributiva di 41 anni, a prescindere dall’età anagrafica; rientrare in una delle 4 categorie di tutela (disoccupato che da tre mesi ha terminato la NASPI; disabile dal 74% in su; caregiver da almeno sei mesi; mansioni gravose); avere un anno di contributi prima del diciannovesimo anno di età.
Una delle opzioni, contenuta in una proposta di riforma (a firma Lega con il Disegno di Legge n. 2855 presentato alla Camera dei Deputati) prevede che Quota 41 possa essere estesa a tutti, ma calcolata interamente con il sistema contributivo. Permetterebbe anche la possibilità di cumulo per i contributi versati in varie gestioni (principale, autonoma, ecc.). In pratica permetterebbe un’uscita dal lavoro per lavoratori precoci, su base volontaria, a fronte di una penalizzazione che potrebbe portare a una riduzione dell’assegno di pensione tra il 25 e il 30% rispetto all’ultima retribuzione percepita.
Quota 102, invece, dovrebbe prevedere un taglio dell’assegno per ogni anno di anticipo rispetto all’età pensionabile. In entrambi i casi sarebbe assicurata la sostenibilità del sistema previdenziale insieme a una maggiore flessibilità per il lavoratore che volesse lasciare il lavoro prima dei previsti requisiti anagrafici.
Le ipotesi per le donne e i caregiver
Proprio “flessibilità” è la parola d’ordine dei sindacati, che pensano anche a speciali “bonus” per le donne e per chi si occupa di lavori di cura. «Riteniamo che sia urgente definire meglio quali siano i lavori gravosi e usuranti, definendo quali siano le categorie che hanno diritto a maggiore flessibilità. Tra queste ci sono sicuramente le donne, con una proposta aggiuntiva: uno “sconto” sugli anni di retribuzione per le lavoratrici con figli» spiega Proietti. Al momento la riforma Dini, riservata a chi ha cominciato a lavorare dal 1996, prevede un abbuono di 3-4 mesi per ogni figlio, che quindi in caso di due figli potrebbero arrivare a 8 mesi di lavoro in meno. «Noi vorremmo che si arrivasse per tutte le donne a 1 anno di contribuzione figurativa per ciascun figlio e un altro anno per chi si occupa di lavori di cura, come nel caso delle donne che hanno accudito a lungo i genitori o altri familiari» spiega il sindacalista.
In particolare Cgil, Cisl e Uil vorrebbero che lo “sconto” di 12 mesi per i caregivers scattasse dopo 5 anni di lavoro di cura. “Sempre pensando alle lavoratrici, sarebbe chiediamo che Opzione donna diventi strutturale, perché se è vero che comporta una riduzione dell’assegno di pensione, è pur sempre su base volontaria e permette maggiore flessibilità» aggiunge Proietti.
I lavori gravosi
Un’altra ipotesi al vaglio è l’allargamento dell’Ape sociale che permette il pensionamento anticipato (a 63 anni) ad altre categorie oltre a quelle al momento previste, che sono una quindicina. Il requisito sarebbe il raggiungimento di 36 anni di contributi (che in alcuni casi potrebbero scendere a 30 anni). Su questo punto è al lavoro una speciale Commissione. I sindacati pensano che siano da includere, per esempio, i lavori manuali o analoghi, prevedendo o l’uscita anticipata o «che il coefficiente di trasformazione sia premiante, così da compensare chi va in pensione prima o dare un assegno più alto a chi invece sceglie di restare».
Contratto di espansione e fondi pensione
Altre due proposte, infine, riguardano l’estensione del «contratto d’espansione» alle piccole imprese: si tratta di un programma di assunzioni previsto al momento per le aziende con più di 250 dipendenti che devono ristrutturarsi, in cambio della possibilità di pensionare alcuni lavoratori con un anticipo fino a 5 anni (i primi due a carico della Naspi, il resto dell’azienda). Per i sindacati è importante pensare anche ai fondi pensione, in particolare per le donne e i giovani: finora, infatti, ne hanno usufruito quasi esclusivamente uomini, col posto fisso e retribuzioni medio-alte, che hanno versato contributi per la previdenza complementare. I giovani e le donne, invece, soprattutto se precari, part time e con retribuzioni inferiori, hanno rinunciato. Secondo i sindacati occorrerebbe un nuovo semestre di silenzio-assenso: passati sei mesi dal termine fissato dalla legge, dunque, si verrebbe iscritti automaticamente al Fondo, a meno di un rifiuto esplicito. «È una misura pensata soprattutto per evitare che si creino buchi contributivi che possano pesare sulla futura pensione» conclude Proietti.