Pensione più bassa nel prossimo triennio: lo denuncia la Federazione nazionale pensionati della Cisl. Ma per capire che cosa sta succedendo – e perché si tratta di un salasso per 5,6 milioni di pensionati – bisogna fare un passo indietro. Ricapitola Stefano De Iacobis, coordinatore del Dipartimento previdenza della Cisl stessa. “La legge di Bilancio del 2019, varata dal primo governo Conte, ha cambiato i meccanismi di perequazione delle pensioni, cioè le modalità di adeguamento ai tassi di inflazione. L’obiettivo? Far risparmiare all’Inps 3,5 miliardi, spalmando la cifra sulla massa di assegni medi e alti, quelli superiori a tre volte il minimo”. Il sindacato ha preso come riferimento i tassi di inflazione programmati – per quest’anno e per il futuro – e ha stimato il danno pro capite, a cui corrisponde una contrazione del potere d’acquisto.
Quanto diminuiranno le pensioni medie
Stando alle elaborazioni del sindacato, “chi prende una pensione fino a 1.600 euro netti nel triennio 2019-2021 ci rimetterà 467 euro e poi, a partire da ciascun anno successivo, 267 euro”. Con l’indice definitivo di rivalutazione calcolato dall’Istat per il 2019 pari all’1,1 per cento – e l’indice previsionale riportato nell’ultimo Documento di economia e finanza, pari all’1,4 per cento nel 2020 e al 2,2 per cento nel 2021 – “le pensioni nette di 1.700 euro andranno incontro ad una perdita ancora più consistente: meno 4,96 euro al mese, che diventeranno 11,50 nel 2020 e 21,76 nel 2021 a 21,76. In un triennio si arriva a 496 euro”.
Ancora più marcata – sempre secondo le stime delle Fnp Cisl – sarà la riduzione degli assegni di pensione nel triennio in corso e a partire dal 2022 per coloro che incassano assegni di 1.900 euro netti, una parte dei quali riguardano Quota 100: adesso la perdita al mese è di 5,24 euro, poi aumenterà nel 2020 a 12,05 euro e a 23,01 nel 2021. In totale fa 524 euro, da qui al 2021″.
Il danno, la beffa e le previsioni pessimistiche
Oltre al danno, la beffa. “Nei primi mesi dell’anno – spiega De Iacobis – l’Inps non è riuscita ad applicare il nuovo sistema, perché la manovra finanziaria è arrivata tardi. Ha erogato le pensioni con gli importi calcolati come in precedenza, in base alla legge Prodi, e poi ha recuperato la differenza applicando maxi conguagli. Purtroppo – è l’amara constatazione del dirigente sindacale – i pensionati erano e restano il bancomat dello Stato. Il nuovo governo dovrebbe invertire la tendenza, dare una segnale forte. Da quello che stiamo vedendo, non c’è da essere ottimisti”.
Per protestare, e mandare un segnale forte a Governo e Parlamento, le sigle confederali di categoria hanno indetto un presidio unitario: appuntamento a Roma, il 16 novembre.
Come funziona l’adeguamento al tasso d’inflazione
Il sistema attuale – previsto per il periodo 2019-2021, poi si vedrà – riconosce la perequazione degli assegni sulla base di 7 fasce con aliquote decrescenti, relative alle pensioni di importo complessivo fino a 9 volte il trattamento minimo. L’adeguamento del cento per cento al tasso di inflazione è solo per gli assegni più bassi, quelli fino a 3 volte il minimo del trattamento Inps (per la precisione pari a 1.522,26 euro lordi mensili per il 2018 e a 1.539 per il 2019, che quindi non vengono penalizzate).
Per gli importi superiori e fino a 4 volte il minimo viene garantito il 97 per cento dell’adeguamento, ridotto al 77 per cento per le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo, al 52 per quelle tra 5 e 6 minimo e via elencando. Fino al 31 dicembre 2018, invece, si applicava lo schema stabilito dalla legge di Stabilità 2014. Il governo Gentiloni aveva concordato con le parti sociali il ripristino del modello più favorevole da gennaio 2019, però è andata diversamente.
Il prelievo sulle “pensioni d’oro”
Per i “normali” pensionati è di ben poca consolazione. Ma va ricordato che la Legge di Bilancio 2019 prevede anche un contributo di solidarietà (da gennaio 2019 e fino al 2023) da scalare dalle “pensioni d’oro”, quelle i sopra la soglia dei 100.000 euro lordi annui.