Prosciutto crudo Dop di San Daniele o Parma venduto come tale, in realtà falso, perché non italiano e ottenuto da animali allevati in Italia inseminati con razze a crescita più rapida, per poter avere più carne e guadagnare di più, a dispetto della qualità e della correttezza della certificazione.

Sono 3 milioni circa le cosce di suino del marchio di Parma ferme da due settimane in attesa della Dop, la Denominazione di origine protetta, che a questo punto rischia di saltare per i due prosciutti simbolo del Made in Italy e soprattutto di qualità. Colpa di una truffa alimentare che si baserebbe sulla vendita di prosciutti spacciati come Dop, che in realtà provengono da animali inseminati con seme di suini danesi, vietati dal disciplinare.

La “bufera” sta investendo la filiera dei prosciuttifici e soprattutto gli enti preposti ai controlli e alle certificazioni, già commissariati. “Il problema ha direttamente a che fare con la qualità dei suini e i tempi di crescita” spiega a Donna Moderna Roberto La Pira, direttore de Il Fatto Alimentare, che da un anno indaga su quella che definisce una “Prosciuttopoli”.

La truffa: carne di bassa qualità

“Per fare il prosciutto di Parma e il San Daniele Dop occorrono i cosiddetti suini ‘pesanti’ italiani, che sono diversi da quelli utilizzati, per esempio, per produrre filetti o braciole. Per questi ultimi è sufficiente una crescita di 6 mesi prima della macellazione. Il suino pesante italiano, invece, richiede un allevamento minimo di 10 mesi perché cresce lentamente per arrivare a un massimo di 176 kg, che si traduce in un buono strato di grasso e una carne matura che, in fase di macellazione, non necessita di molto sale. Al contrario, una carne di minor qualità, ottenuti da suini a crescita rapida con più acqua e umidità, ne richiede un quantitativo maggiore, per poter migliorarne la conservazione. Qualcuno ha pensato di aggirare il disciplinare, fecondando le scrofe con suini di razze diverse, come quella danese, con cui avere maiali che crescono più rapidamente, arrivando in 10 mesi anche a 185/195 kg” spiega La Pira. Aumentando la carne, cresce anche il guadagno, ma ne risente la qualità del prosciutto.

Il commissariamento degli enti certificatori

Già un anno fa Il Fatto alimentare denunciò le irregolarità di suini giunti ai prosciuttifici e marchiati Dop dall’IPQ (l’Istituto Parma Qualità, ente certificatore del prosciutto di Parma) e dall’Ifcq (ente certificatore del prosciutto San Daniele) anche se non avevano i requisiti. “Prima che arrivassero sul mercato, furono ritirate 1,2 milioni di cosce: erano state ottenute da maiali troppo pesanti, provenienti da razze vietate dal disciplinare (cioè dal regolamento sul Dop), non adatti alla stagionatura, con cui si ottengono cosce più grandi, salumi più magri e prosciutti che pesano 1 kg di più”. Il ministero delle Politiche Agricole decise il commissariamento di IPQ per sei mesi, così come dell’Ifcq. “La faccenda sembrava risolta con la nomina del nuovo comitato di certificazione dell’IPQ, ma solo a febbraio (e dopo ben tre mesi) gli ispettori ministeriali sono riusciti ad accedere alla banca dati dei maiali macellati, scoprendo che 3 milioni di essi erano in sovrappeso, dunque non avrebbero potuto ottenere la certificazione” spiega La Pira. Da qui una nuova sospensione per altri tre mesi dell’IPQ.

Preoccupante anche la situazione per i prosciutti di San Daniele, il cui ente di sorveglianza (l’Istituto friulano controllo qualità, Ifcq) è stato sospeso anch’esso per sei mesi e che, secondo Il Fatto Alimentare, “mantiene su tutta la vicenda un assordante silenzio”.

I falsi Dop

Una parte del processo sul filone torinese dell’indagine su Prosciuttopoli si è conclusa il 17 maggio con un patteggiamento per 10 imputati (con pene fino a poco più di un anno) e multe per 6 società. Si è in attesa di altri processi nelle procure dove sono stati dirottati altri segmenti dell’inchiesta, a fronte di oltre 300 soggetti coinvolti, più di 810mila cosce sequestrate e circa 480mila prosciutti esclusi dal mercato del Dop. Secondo gli addetti ai lavori il 35% dei prosciutti al momento stoccati nei prosciuttifici sarebbero “falsi Dop”. “I prosciuttifici, per bocca del Consorzio di Parma, dicono che era impossibile distinguere le cosce di Duroc danese dal suino italiano pesante” spiega Il Fatto Alimentare, che però a Donna Moderna dice: “Non importa quali razze siano state usate, quello che conta è che non fossero razze in regola con la crescita lenta. Tutto ciò ha ricadute anche sulla qualità dei prodotti venduti. Ciò che colpisce – conclude La Pira – è che nessuno dei Consorzi ci ha risposto. Si sono limitati a dire che stanno lavorando e preferiscono stare in silenzio. Su 800 comunicati stampa che abbiamo inviato per segnalare il ritorno di Prosciuttopoli 15 giorni fa, solo un destinatario ha ripreso la notizia. D’altra parte il consorzio è socio dell’IPQ al 30%, insieme a prosciuttifici e macellatori (per un altro 30%) e agli allevatori (30%)” conclude il direttore de Il Fatto alimentare.

Le precisazioni e i chiarimenti del Consorzio del Prosciutto di San Daniele

Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele ci tiene a precisare e chiarire alcuni importanti aspetti relativi alla frode perpetrata nel periodo 2016-2017 a danno del Prosciutto di San Daniele 

Del tutto prive di qualsiasi fondamento e attinenza alla realtà sono innanzitutto affermazioni quali “Prosciutto crudo Dop di San Daniele venduto come tale, in realtà falso” e “Colpa di una truffa alimentare che si baserebbe sulla vendita di prosciutti spacciati come Dop””. Ed infatti, il massiccio lavoro svolto dalle Procure e i numerosi sequestri hanno consentito di togliere preventivamente dal circuito tutelato della DOP tutti i prosciutti in relazione ai quali vi era anche solo un sospetto di non conformità al relativo Disciplinare. Tale azione ha garantito che i prosciutti immessi sul mercato contrassegnati con la DOP, anche nel periodo critico delle indagini, fossero tutti conformi ai requisiti prescritti dal Disciplinare, verificati dall’IFCQ (Istituto di controllo e certificazione della Qualità) di concerto con l’Autorità Ministeriale.

Precisiamo inoltre che “Prosciuttopoli” (come definisce la vicenda anche Il Fatto Alimentare) ha riguardato un numero circoscritto di allevatori iscritti nel circuito tutelato della DOP Prosciutto di San Daniele. Non vogliamo con ciò in alcun modo sminuire i fatti che sono oggetto dei procedimenti penali, e che rimangono per noi, gravi e assolutamente da contrastare; a tal proposito il Consorzio si è costituito parte civile in entrambi i procedimenti in corso.

Per quanto riguarda un’altra tematica importante, il peso dei suini, ancora una volta le informazioni fornite non sono corrette. In particolare, non corrispondono a verità le seguenti affermazioni: “Prima che arrivassero sul mercato, furono ritirate 1,2 milioni di cosce: erano state ottenute da maiali troppo pesanti, provenienti da razze vietate dal disciplinare (cioè dal regolamento sul Dop), non adatti alla stagionatura, con cui si ottengono cosce più grandi, salumi più magri e prosciutti che pesano 1 kg di più” e “Il suino pesante italiano invece richiede un’allevamento minimo di 10 mesi perché cresce lentamente per arrivare ad un massimo di 176 kg”.

In punto di peso delle cosce e dei suini destinati alla DOP avviati alla macellazione il Disciplinare prevede infatti che “Le cosce dei suini impiegate per la preparazione del prosciutto di San Daniele devono essere di peso non inferiore a 11 chilogrammi”, con ciò non indicando un peso massimo ma imponendo solo il limite minimo degli 11 chili. Il Disciplinare inoltre prevede un peso medio per partita di suini stabilendo che “I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento di pesi elevati con buone efficienze e, comunque, un peso medio per partita (peso vivo) di 160 chilogrammi (più o meno 10%)”. Ciò significa che all’interno di una partita ci possono essere suini che sforano il peso di 176 kg (detti “grossoni”) controbilanciati da altri di peso inferiore ai 144 kg (detti “magroni”). Tale eterogeneità è del tutto normale e ammessa dal Disciplinare.

Inoltre, il Piano di Controllo della DOP Prosciutto di San Daniele non sanziona con l’esclusione, dal circuito della DOP medesima, le cosce ottenute da partite di peso medio non conforme. Non vi è dunque una violazione del Disciplinare, pertanto i prosciutti messi in vendita non sono falsi DOP.

In ultimo, si precisa che il Consorzio del Prosciutto di San Daniele ha di recente rappresentato al Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo l’esigenza che il sistema di controllo di San Daniele in futuro sia strutturato in forma ancora più indipendente ed autonoma rispetto al passato. Per tali ragioni a partire dal 28 dicembre 2018, il Trust “ODC” è il nuovo proprietario del 100% dell’Organismo di Controllo della Dop, IFCQ Certificazioni Srl. Il nuovo assetto dell’organo di controllo della DOP prosciutto di San Daniele fa seguito alle importanti modifiche all’organizzazione, al bilancio e alla governance operate nel recente passato. Il nuovo organo di controllo è del tutto indipendente e scollegato dal Consorzio, che risulta essere solamente uno tra i 23 prodotti DOP ed IGP certificati dallo stesso.