L’Isee che usiamo per bonus e incentivi potrebbe presto andare in soffitta, al suo posto il Governo vuole introdurre il quoziente familiare, che dovrebbe tenere conto non solo del reddito complessivo di una famiglia, ma soprattutto del numero di componenti o della presenza di eventuali persone con disabilità.
Quoziente familiare, Piano di natalità e assegno unico
Questo parametro, infatti, dovrebbe rientrare nel più generale Piano di natalità di cui ha parlato anche la ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, oltreché nei criteri per l’assegnazione e il calcolo dell’assegno unico familiare. A preannunciare la misura era stata la stesso premier, Giorgia Meloni: «La famiglia è il nucleo essenziale della nostra Nazione, è l’unità di base del nostro vivere sociale. Per questo crediamo che anche l’ordinamento fiscale debba riconoscere il ruolo sostitutivo di ammortizzatore sociale che le famiglie esercitano e che è sempre più cruciale nella moderna società».
Da qui la scelta di cambiare il sistema di tassazione sul reddito, in modo da tenere conto della «composizione e delle caratteristiche delle famiglie, con l’introduzione a regime del cosiddetto quoziente familiare. In sostanza più è numerosa la famiglia, meno tasse si pagano».
Qui vi spieghiamo cos’è il quoziente familiare con l’aiuto di Carolina Casolo, consulente fiscale e previdenziale.
Cos’è il quoziente familiare
Il quoziente familiare è un parametro preannunciato dal Governo fin dalla campagna elettorale e ora inserito nel decreto Aiuti quater, con riferimento ai criteri di accesso ai bonus fiscali per le ristrutturazioni e in particolare il Superbonus. «Il Governo ha deciso di introdurre, come indicatore per il Superbonus, non più l’Isee, ma il quoziente familiare. A differenza dell’Isee si basa sul concetto dello ‘splitting’, ossia suddivide il reddito familiare in base a quante persone compongono il nucleo. Poi l’esecutivo ha deciso di applicare questo principio anche agli scaglioni di tassazione dell’Irpef: parliamo, quindi, di una riforma dell’Irpef che dovrebbe prevedere non solo il taglio di un’aliquota, ma anche l’introduzione di questo nuovo indicatore, che dovrebbe dunque sostituire l’Isee» spiega Carolina Casolo.
Chi beneficerà di più del quoziente familiare
I soggetti che potranno riceverne maggiori benefici dovrebbero essere le famiglie in genere e quelle più numerose in particolare: «Sì, dovrebbe favorire le famiglie numerose, con più figli, o quelle con disabili perché tiene conto anche di questo aspetto, quindi sicuramente potrebbe essere un parametro migliore per le famiglie, perché abbassa il valore economico del nucleo» prosegue l’esperta.
Per fare un esempio, un single dovrebbe avere un “coefficiente” 1, una coppia salirebbe a 2, mentre per ogni familiare a carico in più si aggiungerebbe lo 0,5: con un figlio, quindi, si passerebbe a 2,5, con due a 3 e e così via. Se il reddito complessivo familiare fosse di 60mila euro, la cifra sarebbe da dividere per quel coefficiente: chi avesse un due figli e un solo coniuge che lavora, quindi, dovrebbe dividere per 3, con 20mila euro di “reddito di riferimento” (60mila diviso 3). Se i figli fossero 3, l’importo ai fini della tassazione scenderebbe a 15mila euro, cioè 60mila euro diviso 4.
Viceversa, con un solo figlio l’importo salirebbe a 24mila euro, perché sarebbe frutto della divisione dei 60mila euro di reddito per 2,5. Il caso più svantaggioso, invece, sarebbe quella di un single, che vedrebbe il valore rimanere a 60mila euro, in quanto diviso 1 solo.
Il concetto base, quindi, sarebbe quello di promuovere la natalità e le famiglie più numerose, come spiegato anche dal vice capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Alfredo Antoniozzi: «L’introduzione del quoziente familiare per le imposte annunciato dal governo Meloni porterà un recupero medio di mille euro annuali per ogni famiglia, fatto assolutamente positivo per la nostra economia e per i nuclei più numerosi».
I limiti del quoziente familiare
Esistono, però, dei limiti riscontrati da diversi esperti di fiscalità. «Un primo limite riguarda il fatto che in Italia, oggettivamente, i nuclei familiari non sono numerosi – ad eccezione degli stranieri – quindi il nuovo indicatore favorirebbe poche famiglie e, al contrario, ne penalizzerebbe molte che si vedrebbero negare l’accesso ai bonus o, per esempio, alle case popolari. Penso anche a casi come quelli di ragazzi e ragazze anche trentenni che, pur facendo qualche lavoro per pagarsi l’università, vivono ancora con i genitori: il reddito complessivo familiare aumenta e rende difficile o impossibile poter ottenere i bonus, nonostante il guadagno dello studente serva pressoché esclusivamente a pagare le tasse universitarie. Lo stesso vale per chi magari lavora per pagare il mutuo o una casa in costruzione: il reddito familiare complessivo ne viene intaccato – osserva Casolo – Quindi il problema principale in Italia, che è una pressione fiscale molto elevata, sembra uscire dalla porta per rientrare dalla finestra».
Il periodo di riferimento del quoziente familiare
«Un altro possibile limite potrebbe essere il periodo di riferimento del quoziente familiare: l’Isee, per esempio, faceva riferimento ai redditi di due anni precedenti, senza tener conto di possibili variazioni che magari si erano verificate di recente: per esempio, la perdita del lavoro o la diminuzione di reddito, ecc. Di fronte a questo problema è stato introdotto anche ‘l’Isee corrente’, che tiene conto dei redditi dell’anno in corso. Ora non sappiamo se ciò sarà possibile anche con il quoziente familiare, perché non ci sono riferimenti nella bozza del testo» osserva Casolo.
Quoziente familiare: penalizzate le donne?
In molti sostengono anche che, pur avvantaggiando le famiglie numerose, saranno le donne ad essere penalizzate, perché in genere hanno un reddito inferiore rispetto al marito. Per fare un esempio, nel caso di una famiglia di due persone con un reddito familiare complessivo di 35mila euro, oggi l’aliquota prevista sarebbe del 35%; con il quoziente familiare scenderebbe al 25% perché l’importo sarebbe diviso per due e scatterebbe una tassazione più bassa per ciascuno dei due coniugi. Ma, dal momento che la donna ha generalmente stipendi più bassi, se il suo reddito fosse di 10mila e quello del marito di 25mila, avrebbe comunque una tassazione del 25%, a prescindere dalla differenza. Da qui il sospetto che, con il nuovo parametro, potrebbe essere persino più conveniente non lavorare per la donna: senza reddito, non sarebbe tassata e l’Irpef complessiva sarebbe comunque del 25%. Con il sistema attuale, invece, se la donna non lavora, il marito che guadagna da solo 35mila euro deve pagare comunque un’aliquota del 35%.
Il quoziente familiare e l’occupazione femminile
Nonostante questi rilievi va detto che in Francia, dove esiste il quoziente familiare, l’occupazione femminile è oltre il 60%, mentre in Italia resta intorno al 47/50%. «Credo che le donne continueranno a essere svantaggiare, ma a prescindere dal quoziente familiare, perché il vero problema è la mancanza di riforme a sostegno del lavoro femminile: per esempio, mancano congedi familiari sufficienti oppure, se vai in maternità, sappiamo che hai difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro: sono questi i veri ostacoli, insieme alla mancanza di nidi, ecc., che pesano sull’occupazione femminile» conclude Casolo.