Là fuori ci saranno presto due milioni di posti di lavoro. Sono quelli che il settore Ict (Information e communication technology) creerà nel mondo entro il 2020.
Ma se le cose continuano come oggi, ci saranno candidati adatti per coprirne solo la metà. Chi manca all’appello? Le donne. Nel 2012, le donne impiegate nella tecnologia erano solo il 25% del totale.
E benché ci siano eccezioni luminose, come quella di Stanford che un paio di mesi fa ha fatto sapere orgogliosa che “Informatica è per la prima volta la materia più popolare fra le ragazze”, in generale sono sempre troppo poche quelle che scelgono un percorso di studi scientifico. Secondo i dati di Almalaurea, le studentesse iscritte a lauree del gruppo disciplinare scientifico, il cosiddetto STEM (acronimo inglese per scienze, tecnologia, ingegneria, matematica) sono il 34,8% ma la percentuale crolla per la laurea specifica in scienze tecnologiche e informatiche: 15,2%. Per non parlare di fare carriera o mettersi in proprio: poco più del 19% degli addetti del settore ICT ha un responsabile donna, contro il 45,2% in altri settori e solo il 19% degli imprenditori settore ICT è donna, comparato al 54% in altri settori (dati dalla ricerca della Commissione Europea Women active in the ICT sector, 2013).
Alle ragazze serve una formazione digitale
“Lo ammetto: me ne occupo da tanti anni e speravo fossero dibattiti ormai superati” dice Roberta Cocco, direttore dei progetti a sviluppo nazionale di Microsoft Western Europe e fondatrice di Nuvola Rosa. “Invece c’è ancora la necessità di colmare il gap digitale offrendo una formazione specifica alle ragazze”. Cosa che Nuvola Rosa fa con seminari, corsi di coding per insegnare le basi della programmazione, dibattiti, conferenze e un evento annuale che, nel 2015, ha visto coinvolte 1922 ragazze in una tre giorni di formazione digitale intensiva.
Quindi, nonostante la crisi che dovrebbe suggerire lo studio di materie per le quali la richiesta del mercato è alta, dopo la maturità le studentesse fanno ancora altre scelte. Lasciando liberi posti molto appetibili: “Un esempio: cerchiamo 25 persone con profilo tecnologico alto, esperte di cloud computing. Privilegeremmo volentieri le candidature femminili, ma non ne riceviamo a sufficienza”, nota Cocco.
Un problema che potrebbe avere a che fare con il senso di inadeguatezza che, spesso, tarpa le ali alle ragazze, ancora oggi: secondo uno studio dell’Università dell’Illinois pubblicato su Science, le facoltà scientifiche enfatizzano troppo l’importanza di essere talentuosi, quasi geniali; qualità che molte ragazze ritengono di non possedere. A torto, visto che poi i risultati scolastici dicono il contrario.
Le ragazze si sentono “negate” per la matematica e le scienze
“Il nostro è ancora un popolo di letterati. È normale descriversi come “negati” per la matematica e le scienze. E a subire di più questo stereotipo culturale sono le ragazze, che in famiglia si sentono ancora dire “non fa per te, è complicato””, dice Chiara Burberi, co-fondatrice di Redooc, piattaforma web per lo studio della matematica tramite video e lezioni interattive. “Noi chiamiamo la matematica Matilde, ad esempio, e la raffiguriamo come una ragazzina in shorts. La nostra idea è applicare le discipline scientifiche alla vita di tutti i giorni; far capire che sapere far di conto significa occuparci delle nostre finanze, essere cittadini più consapevoli. Ma, per scelta, non prevediamo percorsi specifici per le ragazze: sarebbe come ammettere che hanno dei gap da colmare e non è così”, conclude.
Ci vuole più “coding” per tutte
Opposto il punto di vista di Coding Girls, evento annuale organizzato da Fondazione Mondo Digitale e Ambasciata Americana. Sono state 400 le studentesse, di scuole secondarie di Roma e Napoli, avvicinate al coding da tutor della Sapienza e dell’Università di Tor Vergata, guidati da una coach statunitense. Ma se le iniziative come queste hanno sempre molto successo, e considerato che le basi della programmazione saranno presto considerate indispensabili come una lingua straniera, il problema culturale per cui è “roba da maschi” persiste. “Purtroppo sì”, nota Barbara Laura Alaimo, pedagogista, fondatrice e mentor della sezione di Milano di Coderdojo, l’associazione che insegna ai bambini a programmare. “Nella fascia di età tra i 7 e gli 11 anni il rapporto tra maschi e femmine ai laboratori è di 1 a 4. Dopo, il numero delle bambine scende ancora”.
La soluzione? “Spiegare che la programmazione non è roba da nerd ossessionati dai videogame, ma insegna le basi del pensiero computazionale, con il quale puoi creare qualunque cosa. Se vogliamo restare nel cliché, anche il disegno per una t-shirt con i lustrini. E ai genitori racconto quello che vedo: le bambine in aula sono bravissime: focalizzate, brillanti, afferrano subito la logica e creano dei capolavori. Non mettiamo loro limiti che non hanno.”
Le difficoltà femminili raccontate da un uomo
Un problema solo italiano, quello delle difficoltà femminili nelle materie Stem? Non proprio. Nelle ultime settimane è diventata virale la lettera di Jared Mauldin, studente di ingegneria meccanica alla Eastern Washington University, al giornale degli studenti. Tra le altre cose, scrive ai suoi compagni di corso:
Non ho mai incontrato nessuno che mi scoraggiasse dal fare studi scientifici, che mi dicesse che il mio aspetto era più importante del mio cervello, non ho mai subito commenti sessisti dai professori. Per cui, non siamo uguali: le ragazze che studiano con noi sono molto più brave perché affrontano e superano tutti questi ostacoli.