Gli ex lavoratori che hanno aderito a una forma previdenziale complementare – con almeno 20 anni di versamenti accreditati – possono chiedere e ottenere la RITA, una rendita periodica mensile (o al massimo trimestrale) per 5 o 10 anni consecutivi, in attesa di raggiungere l’età delle pensione obbligatoria (in presenza di una serie di condizioni) e di percepire l’assegno ordinario.
Cos’è la RITA
Si chiama Rita, acronimo che sta per “Rendita integrativa temporanea anticipata”. È uno degli strumenti contenuti nella riforma previdenziale, può rappresentare una via d’uscita per chi è stato penalizzato dalla legge Fornero, non c’è un esplicito divieto di cumulo con l’assegno percepito grazie al sistema Quota 100 e con l’ Ape.
In sostanza, consente di avere un’entrata sicura in attesa di raggiungere l’età della pensione, di trimestre in trimestre (o con scadenze più ravvicinate, dove stabilito). Per chiedere ed ottenere questa misura, diventata strutturale, bisogna avere alcuni requisiti. La somma in ballo in genere è relativamente bassa, per non poche categorie professionali.
Chi può chiedere la RITA
La RITA ha carattere generale – spiegano dalla Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione – e si applica a tutti i lavoratori (inclusi i dipendenti pubblici) che abbiano aderito a fondi pensione individuali o collettivi e a piani individuali pensionistici. Restano invece esclusi gli aderenti ai fondi preesistenti (istituiti prima del 1993) in regime di prestazione definita (quelli per cui si conosceva la somma che si sarebbe percepita, predeterminata). Le richieste vanno presentate al fondo pensione cui si è iscritti e non all’Inps o ad altre casse previdenziali.
I requisiti di base richiesti
La RITA può essere richiesta da due tipologie di aventi diritto, prima che maturino i requisiti per la pensione obbligatoria, quando si verificano queste condizioni: l’attività lavorativa è cessata; mancano non più di 5 anni per arrivare all’età per la pensione di vecchiaia (per ora fissata a 67 anni); sono stati versati almeno 20 anni di contributi alla cassa di appartenenza obbligatoria; ci sono almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare.
Il diritto a percepire la RITA, sempre su richiesta, spetta anche a chi si trova in questa situazione: l’attività lavorativa è cessata; l’interessato, dopo aver cessato l’attività lavorativa, è inoccupato da più di 24 mesi; mancano non più di 10 anni all’età richiesta per la pensione di vecchiaia; risultano almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare.
Come funziona la rendita anticipata
La RITA, riassumendo, fa ricorso al capitale accumulato nei fondi di previdenza complementare durante la vita attiva di un lavoratore. La somma messa da parte può essere riscossa in anticipo (sia parzialmente sia totalmente, a seconda delle esigenze soggettive) sotto forma di rendita mensile (o comunque periodica, con intervalli non superiori al trimestre) e in attesa che maturi il diritto alla pensione pubblica obbligatoria.
Nel caso in cui venga richiesta l’erogazione frazionata di una quota del “tesoretto”, e non l’intero capitale, la differenza sarà poi monetizzata nei tempi e nei modi previsti per la pensione integrativa vera e propria.
I pro e i contro da valutare
Prima di decidere di accedere alla Rita, e presentare richiesta al fondo complementare di categoria, vanno valutati e soppesati pro e contro. Si può scegliere tra la tassazione ordinaria (in genere più sfavorevole) e la tassazione agevolata, uno dei vantaggi da considerare. La parte imponibile della rendita anticipata, con la seconda opzione, è soggetta a una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15 per cento ridotta dello 0,3 per cento per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari (fino a un minimo del 9 per cento). Per l’applicazione dell’aliquota ridotta, inoltre, vengono computati fino a un massimo di 15 anche gli anni di iscrizione alla previdenza complementare anteriori all’1 gennaio 2007. La RITA – aspetto da verificare caso per caso con il fondo di riferimento, in assenza di direttive specifiche dell’Agenzia dell’Entrate e della Covip – dovrebbe essere cumulabile con la pensione a quota 100 e con l’Ape (o così almeno si trova scritto nei siti specializzati).
Tra i contro – oltre all’ammontare dell’importo, almeno per parte dei richiedenti – c’è l’erosione della “pensione di scorta”. Percependo in anticipo il capitale accumulato nel fondo integrativo, va da sé, si riduce via via la somma della quale si disporrà alla conquista della pensione obbligatoria.
Informazioni mirate e simulatori oniline
La prima cosa da fare, consigliano consulenti e esperti, è contattare il proprio fondo, verificare se si rientra tra i soggetti ammessi alla RITA e chiedere una stima della possibile rendita anticipata. Nelle siti ufficiali dei singoli referenti, nelle pagine web personalizzate, si trovano i prospetti con il riepilogo delle somme versate e accantonate.
Inoltre ogni anno agli iscritti deve essere inviata una Comunicazione periodica con i dati più importanti sull’investimento previdenziale (l’ammontare della posizione individuale, i contributi versati nel corso dell’anno, i rendimenti conseguiti e i costi sostenuti, uno schema con indicazioni di massima sulle somme che saranno pagate a partire dall’età della pensione obbligatoria).
Per calcoli fai-da-te relativi alla pensione finale, e per riscontri incrociati, si possono utilizzare anche i simulatori disponibili online. Istruzioni di base e vademecum Informazioni generali sono reperibili anche nel sito della Covip e all’Ufficio relazioni con il pubblico della stessa Commissione di vigilanza (indirizzo di posta elettronica [email protected] e telefono 06.69506.302, con operatori in carne e ossa disponibili dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 13 e con un risponditore automatico nel resto della settimana e negli orari scoperti).
Le indicazioni di base sono contenute in una circolare (la 888 dell’8 febbraio 2018) reperibile online digitando le coordinate in uno dei soliti motori di ricerca.