Mariangela ha 43 anni. Vive alla periferia di Roma con 2 figli a carico, entrambi minorenni, di cui uno gravemente malato. Non ha un compagno. «Ci siamo separati poco dopo la nascita del nostro secondo figlio» racconta. «Fino ad allora io mi occupavo della casa, mentre lui ha lavorato prima come camionista e poi, per essere più sicuro, all’interno di un’azienda».
Da quando è rimasta sola è cominciato il suo calvario: «Non sono riuscita a trovare un lavoro stabile perché c’erano i bambini da accudire. Non potevo permettermi una baby sitter e non avevo nessuno a cui lasciarli. Mese dopo mese i soldi sono diminuiti e, alla fine, non sono più stata in grado di pagare l’affitto. Quando è arrivato l’ufficiale giudiziario mi è crollato il mondo addosso. Ho resistito allo sfratto per 6 mesi, poi le condizioni di salute di mio figlio si sono molto aggravate». Siamo a ottobre 2019: polizia, ufficiale giudiziario e medico valutano la situazione e convincono il proprietario dell’immobile a concedere un ultimo mese di proroga. «Ho vissuto quei 30 giorni con il cuore in gola, finché dal Comune mi hanno comunicato che mi era stata assegnata una nuova sistemazione. Sono scoppiata in un pianto liberatorio: finalmente quell’odissea era terminata».
Il peggio, però, ancora non è passato: oggi Mariangela vive in un monolocale non arredato. Il bagno era rotto, l’hanno riparato i volontari dell’associazione anti-sfratto del quartiere. «Le difficoltà sono ancora tante, ma mi sento una privilegiata. Nonostante tutto».
Sfratti: la situazione è esplosa dopo la liberalizzazione dei canoni
Quella di Mariangela non è una storia isolata. Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno, sono 30.127 i nuclei familiari ad aver materialmente subìto uno sfratto nel 2018. Se le cifre sono migliorate rispetto alla rilevazione dell’anno precedente (-5,69%), parliamo comunque di 82 evacuazioni al giorno, 3 ogni ora. Le richieste di esecuzione sono molto più alte (118.823), così come i provvedimenti di sfratto emessi dall’ufficiale giudiziario (56.140). L’88% (ben 49.290) avviene per morosità: esattamente come accaduto a Mariangela. «Gli sfratti di questo tipo si sono impennati a partire dalla liberalizzazione del mercato degli affitti nel 1998 e hanno raggiunto l’apice dopo la crisi del 2008» spiega Antonio Falotico, segretario generale del Sicet (Sindacato inquilini casa e territorio).
In Italia gli alloggi popolari sono meno di 1 milione. In Francia, con una popolazione analoga, sono 5 milioni. Risultato: 650.000 famiglie sono in lista d’attesa
Al di là di soluzioni-tampone, come sussidi economici offerti perlopiù dagli enti locali, poco è stato fatto. Specie nei grandi centri non si riesce ad affrontare l’emergenza: nella sola città di Roma gli sfratti eseguiti sono stati 2.150 sui 2.754 dell’intero Lazio; a Napoli sono stati 1.463 sui 2.091 della Campania.
Non che vada meglio al Nord. La Lombardia è in assoluto la Regione col maggior numero di sfratti eseguiti: 6.707. Tra le tante storie di morosità, c’è quella di Bruno, 77 anni, che vive nella periferia di Milano: «Sono sempre stato un insegnante precario». Per sostenersi e arrotondare, una volta andato in pensione, ha continuato a dare ripetizioni. «Da 2 anni, però, non riesco a trovare altre occupazioni. Il mio fisico non è più quello di un tempo e nessuno vuole un 77enne». Così, con la sola pensione inferiore ai 1.000 euro, Bruno è stato raggiunto da un avviso di sfratto. «Per fortuna il Comune mi ha riconosciuto la morosità incolpevole e ha rinviato di altri 6 mesi l’esecuzione». L’orologio corre e la data ultima è fissata a maggio. «Proprio ora» ammette quando lo contattiamo «sto andando all’ennesimo colloquio. Mi sento uno schifo: ho 77 anni, i miei amici a cui avrei potuto chiedere ospitalità sono tutti morti. Praticamente sono rimasto solo». Né può accedere, almeno per ora, alle case popolari: «L’ultimo Isee che ho presentato, poiché fa riferimento agli anni passati, superava la soglia minima».
Servono più case a prezzi calmierati
A cogliere in pieno la gravità di questo fenomeno è il professor Francesco Daveri, economista dell’università Bocconi di Milano: «Sono gli effetti tangibili dell’aumento delle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Il ceto medio, così come lo conoscevamo, è stato cancellato». E se un tetto riesci a conservarlo, magari non puoi goderne: «Gli ultimi dati Eurostat ci dicono che il 14% degli italiani non è in grado di riscaldare il proprio appartamento. È un segno di immiserimento relativo molto consistente, ed è difficile pensare che sia riferito solo ai cosiddetti poveri». La ragione, spesso, consiste proprio in affitti o mutui troppo alti: «Una volta la quota che il buon padre di famiglia riservava alla casa era il 20%. Ora si arriva anche al 35% e pian piano diventa una soglia insostenibile».
Un’emergenza, dunque, cui lo Stato deve ancora rispondere: «Da tempo» spiega Falotico «sollecitiamo la ripresa degli investimenti pubblici per incrementare la dotazione di alloggi di edilizia popolare a canone sociale. Nel corso degli ultimi anni abbiamo accumulato forti ritardi rispetto ad altri Paesi europei: basti pensare che in Italia le case popolari sono meno di 1 milione, mentre in Francia, con una popolazione più o meno analoga, sono 5 volte tanto. Il risultato è che abbiamo circa 650.000 famiglie in lista d’attesa».
→ Cosa fare se si rischia lo sfratto
Ecco 3 consigli di Antonio Falotico, del Sindacato inquilini casa e territorio.
1. Rivolgersi a un sindacato inquilini per proporre un accordo stragiudiziale (per pagare a rate il debito o – se si ha una soluzione abitativa – lasciare l’alloggio in cambio del non pagamento di tutto o parte del debito).
2. Se la morosità non è troppo alta, si potrebbe ridurre il debito con la cauzione versata alla stipula del contratto.
3. Se il proprietario non accetta che si rateizzi o congeli il debito, si può chiedere al giudice di non convalidare lo sfratto e di assegnare un termine per pagare (la legge prevede non più di 90 giorni).