Per il mondo del lavoro è stata una vera rivoluzione. Nel giro di poche settimane nel nostro Paese si è passati da 570 mila smart worker (stime del Politecnico di Milano), a 8 milioni di persone che hanno lavorato da casa durante il lockdown. Un’esperienza dettata dall’emergenza, ma che ha conquistato gli italiani: secondo un’indagine della Cgil, il 60% degli intervistati vorrebbe continuare con questa modalità. «Anche se finora, nei fatti, più che lo smart working hanno sperimentato un’esperienza allargata di home working» specifica Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi consulenti del lavoro.
Ma che differenza c’è? «Il lavoro agile o smart working è flessibile nella scelta dei tempi e degli spazi, perché l’accento si sposta sugli obiettivi» spiega Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano. «Ad esempio si può scegliere di lavorare spostandosi tra le diverse sedi dell’azienda o in un coworking. Questa emergenza, al contrario, ha limitato lo spazio alla casa, con un orario che ha coinciso quasi sempre con quello previsto per chi si reca in azienda».
La strada da fare, insomma, è ancora lunga. E la speranza è che l’esperienza maturata in questi mesi spinga anche le aziende più scettiche a un salto culturale. Intanto però con l’arrivo della fase 2 e la riapertura di molte società, in tanti si domandano che cosa possono ottenere dalla propria azienda.
Lo smart working si può chiedere ma non pretendere
«La legge che lo regola, la 81 del 2017, non lo configura come un diritto del dipendente, quindi il datore di lavoro si può rifiutare» spiega Mirko Altimari, docente di Diritto del lavoro della facoltà di Economia dell’Università Cattolica. «I contratti collettivi delle varie aziende, però, possono garantirlo in presenza di determinate situazioni, per esempio per le donne che rientrano al lavoro dopo la maternità». Durante queste settimane ancora segnate dall’emergenza Covid il governo ha previsto una tutela in più: nel decreto Rilancio è stato stabilito che tutti i dipendenti con figli che hanno meno di 14 anni hanno diritto al lavoro agile fino al 31 luglio, a patto che anche l’altro genitore lavori e non sia, per esempio, in Cassa integrazione.
I diritto non cambiano e il contratto neppure
Lo smart working è una modalità organizzativa e non introduce una nuova tipologia di contratto. Vanno garantiti gli stessi diritti del collega che sta sempre in azienda e le condizioni non devono cambiare in termini di stipendio, ferie, infortuni e malattie professionali. «Serve però un accordo scritto, il cosiddetto patto di lavoro agile, un passaggio cui si è derogato durante la fase emergenziale ma che per legge d’ora in poi è fondamentale» dice il professor Altimari. «L’accordo contiene le “istruzioni per l’uso” dello smart working». Tra le voci citate dal patto e che vanno esplicitate ci sono, per esempio, il numero dei giorni dedicati ogni mese al lavoro agile, la strumentazione, dal computer alla webcam, messa a disposizione del dipendente e i buoni pasto.
Strumentazione tecnologica adeguata
Allo smart worker spetta una strumentazione tecnologica adeguata ma questo resta un punto critico perché la legge 81 prevede che il datore di lavoro debba metterla a disposizione. Peccato che poi non specifichi quali strumenti vadano forniti. Risultato: la maggior parte delle aziende fornisce il computer e lo smartphone ma, per esempio, non paga la connessione Internet. E secondo un’indagine della Fondazione studi consulenti del lavoro, durante l’emergenza Covid i dipendenti hanno usato per la maggior parte computer privati, senza le necessarie misure di sicurezza.
Si lavora da casa o da remoto solo alcuni giorni alla settimana
Niente a che vedere quindi con quello che si è fatto nei mesi del lockdown. «La legge prevede che la prestazione lavorativa debba essere eseguita in parte in azienda e in parte fuori» dice il professor Altimari. «La maggior parte degli accordi stipulati in Italia comprendono in media un giorno alla settimana di lavoro agile e quattro tradizionali». «Ma è fondamentale contrattare anche le fasce orarie durante le quali si è disponibili per riunioni o videochiamate e quelle in cui non si è al computer: è un punto indispensabile per evitare il rischio di non staccare mai» consiglia lo psicologo del lavoro Massimo Perciavalle. Il cosiddetto “diritto alla disconnessione” è previsto dalla legge e le aziende che hanno un accordo di smart working prevedono esplicitamente un orario di reperibilità.
Anche gli stagisti possono imparare a distanza
Durante l’emergenza coronavirus, oltre 24.000stage sono stati sospesi e in molte Regioni non sono mai ripartiti: a denunciarlo la testata online La Repubblica degli Stagisti. «Ma la possibilità di far proseguire i tirocini anche da remoto esiste» commenta la direttrice del sito Eleonora Voltolina. «Le Regioni hanno autorizzato il cosiddetto smart internshipping, un modo per garantire agli stagisti la continuità dei percorsi formativi e una piccola entrata per affrontare le proprie spese. L’azienda deve attestare per iscritto di essere in grado di gestire il tirocinio a distanza e mettere a disposizione dello stagista un’adeguata strumentazione tecnologica».
Un olandese su tre lavora già in maniera agile
I Paesi Bassi detengono il primato come nazione europea più smart. Già prima dell’emergenza sanitaria, il lavoro agile era una realtà per oltre il 30 per cento degli olandesi (contro una media europea dell’8 per cento). Merito soprattutto dell’alto tasso di multinazionali presenti che hanno investito molto sulla digitalizzazione.
«In Italia il tessuto economico è fatto soprattutto di piccole e medie imprese che tendono ad avere un maggior controllo sui dipendenti» dice Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi consulenti del lavoro. L’Olanda nel 2015 è diventata il primo Paese in Europa a regolamentare ufficialmente il lavoro da casa con il “Flexible Work Act” che riconosce ai lavoratori il diritto di chiedere modifiche di orario, tempi e luogo di lavoro. Queste richieste possono essere rifiutate solo per ragioni comprovate.