Lo smart working potrà continuare a essere attivato da parte delle aziende che lo riterranno una modalità consona alle mansioni dei propri dipendenti e all’attività dell’impresa, ma occorrerà rispettare alcune norme generali. Complice la nuova ondata di pandemia in molti Paesi, come in Danimarca, si sta tornando al lavoro agile per ridurre i contatti fisici tra dipendenti. In Italia mancava ancora un quadro di regole generali che ora è arrivato.
Il ministero del Lavoro ha infatti siglato un Protocollo che contiene le linee guida all’interno delle quali è ora possibile firmare contratti specifici tra lavoratore e azienda, pur nel rispetto della legge in materia: «In realtà il Protocollo ripercorre gli elementi essenziali proprio della legge del 2017 sullo smart working, richiamandola esplicitamente, anche se contiene alcuni elementi importanti. Il limite, invece, è che da un lato lascia intatto l’obbligo di negoziare individualmente tra azienda e lavoratore e quindi non prevede un contratto nazionale collettivo o almeno aziendale; questo si traduce in una serie di criticità per le imprese, che devono siglare accordi con ogni singolo dipendente. Dall’altro non semplifica le procedure online di attivazione dei contratti stessi, che sono lente e farraginose, con tempi di caricamento lunghi» spiega Antonello Orlando, esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
Il Protocollo è composto da 16 gli articoli, che vanno dal diritto alla disconnessione ai permessi fino al luogo di lavoro. Ecco i punti principali.
Lo smart working continua
La prima indicazione riguarda la possibilità di fare ricorso al lavoro agile anche dopo la fine del periodo emergenziale, che in Italia dovrebbe terminare il 31 dicembre, seppure con possibilità di proroga a seconda della situazione pandemica.
Il lavoratore può dire di “no”
Il fatto che un’azienda proponga lo smart working al proprio dipendente, non significa però che questo debba necessariamente accettarlo. È vero che in molti casi l’utilità e i vantaggi sono reciproci, ma se un lavoratore volesse rifiutarlo sarebbe in diritto di farlo, senza dover per questo incappare in demansionamenti, riduzione dello stipendio o persino licenziamento. Il testo siglato dal ministero del Lavoro, sindacati e associazioni datoriali, infatti, prevede che l’eventuale rifiuto «non integra gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, né rileva sul piano disciplinare». «Questa possibilità è stata esplicitata anche se naturalmente era possibile anche prima, dal momento che lo smart working è frutto di una negoziazione individuale tra azienda e lavoratore» chiarisce l’esperto.
Orario di lavoro
Rappresenta uno dei punti più delicati dello smart working: l’orario di lavoro del dipendente che presti servizio da casa. Il Protocollo prevede in modo esplicito che il lavoratore agile non dovrà avere vincoli di orario, perché potrà organizzare il lavoro in modo autonomo, purché siano rispettati gli obiettivi prefissati: «La giornata lavorativa svolta in modalità agile si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro e per l’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati» si legge infatti nel testo.
Si può lavorare da dove si vuole
Il Protocollo stabilisce che il lavoratore è libero di individuare il luogo dal quale svolgere la prestazione in modalità agile, purché abbia caratteristiche tali da consentire condizioni di sicurezza e riservatezza. A seconda del tipo di mansione, quindi, potrebbe venire esclusa una determinata location se questa non garantisce la necessaria riservatezza, ad esempio se si ha a che fare con dati sensibili. Sarà la contrattazione individuale a indicare condizioni specifiche.
«L’aspetto interessante è che il Protocollo auspica che l’indicazione del luogo di lavoro avvenga a livello di contrattazione collettiva, quindi almeno in sede di contratto aziendale e non con il singolo dipendente» spiega Antonello Orlando.
Lo stipendio non cambia
Se la modalità di lavoro non cambia, non muterà neppure la retribuzione. A questo proposito le linee guida stabiliscono in modo chiaro che il lavoratore agile «potrà godere degli stessi diritti economici». «Un importante riconoscimento, a proposito di diritti non solo riguardo allo stipendio, è la totale equiparazione, come per la legge 104, che può essere riconosciuta anche al lavoratore agile» spiega l’esperto.
Il diritto alla disconnessione
Un altro passaggio al centro delle attenzioni riguarda poi il diritto alla disconnessione, più volte dibattuto sia prima che in occasione della pandemia. A questo proposito è stato sancito che il dipendente dovrà avere diritto a una fascia oraria all’interno della quale «non sarà tenuto a prestare servizio». Ad oggi già molte aziende bloccano le attività (ad esempio la possibilità di invio e ricezione di email) dopo determinate fasce orarie, nel rispetto del periodo di riposo giornaliero o settimanale del lavoratore. Sarà comunque sempre possibile per il lavoratore sospendere la prestazione lavorativa fruendo di permessi.
Questo va concordata tra il lavoratore stesso e l’azienda tramite negoziazione.
«In questo caso è importante che si sia chiarito, all’articolo 3 del Protocollo, che in caso di malattia o infortunio il lavoratore possa disattivare i dispositivi, senza fornire riscontri finché non riprenderà l’attività» spiega l’esperto dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
Pc e telefono forniti (anche) dall’azienda
Con il lockdown si è posto il problema degli strumenti con i quali effettuare il lavoro agile. Qualche azienda ha dato la possibilità di portare fisicamente a casa il computer dell’ufficio, ma anche alcune parti di arredo, come le sedie utilizzate alla scrivania nella sede di impiego. Altre hanno fornito, ad esempio, cellulari o portatili, ma senza indicazioni univoche. Ora il Protocollo stabilisce che sarà l’accordo individuale con l’azienda a indicare chi dovrà farsi carico degli strumenti indispensabili per il lavoro, che possono anche essere fax o connessioni internet, anche se «di norma» – come si legge nel testo – saranno forniti dal datore di lavoro. Il testo, infatti, cita in modo esplicito la condizione «salvo diversi accordi e di norma» che lascia intendere che il lavoratore possa anche usare apparecchiature personali, se queste sono in grado di proteggere, ad esempio, da attacchi informatici.
Incentivare il lavoro agile
L’indicazione generale, comunque, resta quella di «incentivare l’utilizzo corretto del lavoro agile anche tramite un incentivo pubblico» alle aziende che regolamenteranno lo smart working con accordo collettivo di secondo livello. Anche la legge del 2017 prevedeva forme di incentivi fiscali e contributivi, ma a condizione che lo smart working permetta incrementi di produttività e maggiore efficienza.
Nel testo, in realtà, si parla persino di una «necessità» di supporto al lavoro agile, anche se si sottolinea l’esigenza che ciò avvenga in modo equilibrato e tenendo conto della sostenibilità ambientale e sociale.
Serve una semplificazione per lo smart working
Infine, il testo esorta a semplificare le procedure per l’accesso allo smart working, parlando di «misure di semplificazione del regime delle comunicazioni obbligatorie relative all’invio dell’accordo individuale che seguano le stesse modalità del regime semplificato attualmente vigente». Insomma, bisogna snellire la burocrazia, altrimenti lo smart working di smart avrebbe molto meno.