Ogni anno in Italia 80.000 imprenditori passano il timone dell’azienda ai figli. Lo ha fatto anche Franco Ziliani, patron di Berlucchi, storico brand vitivinicolo della Franciacorta. Ha lasciato in maniera eclatante, vendendo ai figli le sue quote della Frazil, la cassaforte che controlla la Guido Berlucchi “per insegnare loro il valore di quello che hanno ricevuto”. «È una modalità insolita ma in linea con uno dei capisaldi sui quali si fondano le aziende familiari di successo: tenere separati affetti e affari» spiega Markus Weishaupt, amministratore delegato di Weissman & Cie Italia, società internazionale di consulenza per imprese familiari e autore di Family Business Model (Franco Angeli). «Accade più spesso, invece, che l’eredità aziendale sia considerata scontata». Ma non è così. Tanto che, secondo i dati Eurispes, solo in 3 casi su 10 i passaggi generazionali funzionano. Sono più frequenti il fallimento o la vendita a terzi. «I fattori che rendono questo momento così rischioso sono tanti e sottovalutati» continua l’esperto. «Per prima cosa non è detto che i figli dispongano delle stesse doti imprenditoriali dei genitori. Bisognerebbe avere l’onestà di valutare la loro attitudine, voglia e passione per l’impresa di famiglia». Se anche tu sei alle prese con un’eredità aziendale, ispirati alle esperienze del patron delle bollicine e di Leonardo Bagnoli, amministratore delegato Sammontana: qui spiegano come hanno affrontato questa fase delicata in maniera efficace.
Franco Ziliani, 86 anni, ha venduto la sua quota di maggioranza dell’azienda ai figli, Arturo, Cristina e Paolo (nella foto in alto), mantenendo la carica di presidente con un simbolico 1,2%.
«Ci ho pensato tanto, almeno 5 o 6 anni: lasciare quello che hai creato non è mai facile» racconta. «Per questo ho voluto maturare bene la decisione e abituarmi all’idea. Ho avuto la fortuna di avere dei figli appassionati di vitivinicoltura e innamorati dell’azienda di famiglia. Hanno sempre lavorato qui con me e ho potuto constatare amore e dedizione. Ma invece di lasciare loro l’azienda ho voluto che la comprassero, indebitandosi: bussare alle banche, chiedere finanziamenti e lavorare per pagarli è un tipo di stress che altrimenti non avrebbero mai provato. Ed è un’ansia positiva perché fa riflettere a fondo su ogni scelta e ogni spesa. Così hanno la consapevolezza di non poter mai prendere nulla alla leggera. Oggi io mi sono defilato, ma a volte non resisto a dire la mia sulle decisioni: loro cercano di convincermi che la loro linea è più giusta e io, alla fine, li lascio fare senza intralciarli. Prima, però, pretendo che mi spieghino con i fatti e in maniera logica le loro ragioni, così hanno modo di rifletterci una volta in più ed essere davvero convinti di quello che fanno».
Il consiglio «Ho cominciato diversi anni prima di andare in pensione a lasciare i miei figli liberi nei settori di loro competenza: la comunicazione, la produzione e l’area commerciale» dice Ziliani. «Così ho avuto il tempo di analizzare come prendevano le decisioni. E anche di capire se lavoravano con passione e responsabilità, non solo per spirito di sacrificio e senso del dovere».
Leonardo Bagnoli, 43 anni, amministratore delegato di Sammontana, marchio della gelateria italiana, è subentrato alla guida dell’azienda di famiglia dove anche fratelli e cugini lavorano e compongono il Cda (a destra, nella foto in basso, con Marco e Loriano Bagnoli).
«Ho sempre desiderato lavorare nell’azienda di famiglia, così mi sono laureato in Economia e commercio e sono entrato come dipendente in una società di revisione bilanci. Poi, appoggiato da mio padre e mio zio, ho deciso di cominciare in Sammontana dal basso. All’inizio ero un garzone, scaricavo i gelati nei bar insieme ai nostri venditori, un’esperienza importante per scoprire chi sono i clienti e cosa vogliono. In seguito sono diventato responsabile commerciale di un’area: dovevo convincere i gestori dei bar a fornirsi da noi. Subire la frustrazione dei rifiuti ed entusiasmarsi per un contratto firmato mi è servito a capire se valevo qualcosa, perché quando sei figlio del capo è difficile che qualcuno te lo dica sinceramente. Quindi sono passato al Controllo di gestione, un ruolo strategico per studiare il budget e relazionarmi con i vari reparti. A quel punto ero davvero pronto per diventare amministratore delegato».
Il consiglio «Fare esperienza sul campo mi ha legittimato nel citare prove concrete a sostegno dei miei progetti e portare sul tavolo notizie di prima mano che i direttori non avevano» afferma Bagnoli. «Ogni giorno mi sforzo di “spersonalizzare” l’azienda. Cerco di andare al di là delle mie idee per fare quello che è giusto per il mercato. La logica del “a me piace così” in un’azienda a conduzione familiare spesso prevale, ma bisogna ragionare come se si fosse in una public company».
Gli errori dei padri
1 «Spesso i padri lasciano le aziende in difficoltà, ma chi vuole ereditare i debiti?» si chiede Markus Weishaupt. «Prima di uscire di scena, allora, conviene mettere a posto i conti». 2 Il passaggio non va imposto, ma preparato per gradi. Per esempio facendosi aiutare da un consulente specializzato a scrivere uno statuto di famiglia che indichi esattamente come deve essere guidata l’impresa. 3 Dopo la cessione, spesso i genitori restano in azienda come superdirettori intralciando il lavoro degli eredi. Sbagliato: al massimo dovrebbero ritagliarsi un ruolo da consulenti.
E quelli dei figli
1 Invece di mettersi subito al lavoro nella propria azienda conviene fare esperienza fuori, magari in una società di revisione: così si impara a leggere e analizzare i bilanci. 2 Spesso, presi dall’entusiasmo, i giovani vogliono rinnovare tutto per distinguersi dai padri. All’inizio è bene seguire le regole e introdurre le novità solo quando si è padroni della situazione. 3 In genere i “figli di” iniziano come assistenti del capo. L’ideale, invece, sarebbe lavorare nel settore vendite della propria azienda: è la prima linea. Aiuta a capire cosa funziona e anche come motivare chi andrà a vendere il tuo prodotto.
Qualche numero per capire
Secondo una ricerca di PwC, network di consulenti aziendali, il 20% dei figli non vuole lavorare nell’azienda di famiglia. Il 59% crede che sarà difficile guadagnarsi la stima dei collaboratori; mentre il 64% pensa che i padri avranno difficoltà a cedere davvero le redini.