Una volta era “solo” il telefono che poteva squillare. Oggi, anche quando viene tolta la suoneria, lo smartphone è una continua fonte di distrazione: notifiche di messaggi, chat e social tolgono l’attenzione da ciò che stiamo facendo, con una frequenza sempre maggiore. Diventare vittime della Smartphone addiction, la dipendenza da dispositivi come appunto cellulari o tablet, è ormai facilissimo. Secondo gli studiosi, il fatto di essere “inondati” di messaggi e notifiche ha come conseguenza quella di diminuire i livelli di attenzione del 40% e di creare un costante stato di “ansia” che non permette di lavorare bene.
È quello che viene chiamato “switch cost”, ovvero il prezzo che si paga in termini di perdita di concentrazione, attenzione e anche denaro, come conseguenza di un minor rendimento. Soltanto negli Stati Uniti, dove sono state condotte apposite ricerche, si stima che ogni anno le aziende perdano 28 miliardi di ore-uomo. Considerando uno stipendio medio di $ 21/ora per ciascun lavoratore, il costo per le imprese è stato calcolato in 588 miliardi di dollari l’anno.
Al “prezzo” economico, si aggiungono le alterazioni nel funzionamento del cervello. “Molti studi confermano che l’uso costante di smartphone, con le sue stimolazioni, può avere effetti soprattutto su bambini e adolescenti, nei quali lo sviluppo del cervello e dei lobi frontali è in pieno sviluppo. Anche sugli adulti, però, sono state provate conseguenze sia sulle capacità cognitive superiori, come attenzione, concentrazione, memoria e percezione, sia nell’area emotiva e sociale” spiega a Donna Moderna Flavio Cannistrà, psicologo e psicoterapeuta esperto di Terapie brevi.
Cos’è lo “switch cost”
Siamo tutti così abituati a ricevere notifiche di varia natura (con suonerie e alert differenziati) che è ormai inimmaginabile vivere senza l’idea di poter essere raggiunti da qualche aggiornamento da parte di app o contatti. Ma tutto questo “bombardamento”, secondo gli esperti, non fa affatto bene al cervello e al fisico. Causa, infatti, un perenne stato di allerta: il corpo rilascia i cosiddetti “ormoni dello stress”, gli stessi che un tempo servivano per mantenere l’attenzione vigile e permettere all’uomo di fuggire in caso di attacco o di lanciarsi all’inseguimento di una preda. Ma nella nostra società non esiste alcuna legge della giungla: a quell’istinto si è sostituito quello di controllare ossessivamente lo smartphone.
Proprio il fatto di distogliere in continuo l’attenzione (“switch” in inglese) ha però dei “costi”. “Basti pensare che una ricerca del MIT di Boston ha dimostrato che per tornare alla piena funzionalità e concentrazione sul compito abbandonato occorrono dai 15 ai 25 minuti” spiega Cannistrà. Dati confermati da altre ricerche analoghe condotte da un colosso come Microsoft sui propri dipendenti, dalle quali è emerso che il tempo medio necessario per tornare alla massima concentrazione è di 24 minuti.
Il problema è che è il cervello stesso a spingerci a monitorare lo smartphone: “Gli studi hanno confermato che le notifiche attivano diverse aree del cervello e in particolare quella che crea lo stimolo sul sistema di ricompensa. Quando riceviamo “like” o commenti sui social si produce dopamina, la responsabile del nostro senso di gratificazione. Si tratta di un meccanismo ancestrale che serviva a premiare comportamenti utili alla sopravvivenza. Oggi, però, il cervello è “confuso”: si evolve in modo molto più lento rispetto alla tecnologia e si comporta come in passato. Quando sentiamo un “bip” ci premia con la dopamina, ma questa finisce con lo sviluppare comportamenti di dipendenza, che ci spingono proprio a controllare lo smartphone con frequenza, in cerca di nuove gratificazioni”.
Lo studio
Uno studio, presentato in occasione dell’incontro annuale della Radiological Society of North America, ha dimostrato come le interruzioni dovute dalle notifiche dei devices modificano la chimica del cervello, creando proprio lo “switch cost”: “Pensiamo che interrompa l’efficienza del nostro cervello, diminuendola di circa il 40%” ha spiegato Scott Bea, psicologo della Cleveland Clinic alla CBS – “Non permette di concentrarsi e ci disorienta”.
Analizzando un gruppo di ragazzi di 15 anni, ai quali era stata diagnosticata la smartphone addiction (la dipendenza da smartphone) e paragonando il loro comportamento con quello di un “gruppo di controllo” della stessa età e sesso, i ricercatori hanno notato che gli adolescenti che non riuscivano a stare lontani dai loro dispositivi soffrivano in maniera molto più consistente di ansia, insonnia, impulsività e depressione.
Colpa del cortisolo, l’ormone dello stress per eccellenza, che tiene il fisico e la mente in allerta costante, riducendo però la possibilità di dedicarsi ad altri compiti in modo completo.
“Sono molti gli studi che confermano l’azione del cortisolo, che non solo ci rende vigili, ma in qualche modo affatica il nostro cervello. Basti pensare a quando, alla sera, sfogliamo le notifiche su Facebook con un semplice gesto del dito: in realtà stiamo leggendo decine di informazioni, ciascuna delle quali viene in qualche modo processata ed elaborata, causando un affaticamento cognitivo. Il cervello in quel momento è una macchina che lavora e si surriscalda. Una ricerca ha dimostrato che in un anno noi accumuliamo più informazioni di quante ne acquisiva un uomo del 1.500 in una vita intera. Occorrerà attnedere per capire che impatto tutto questo bombardamento potrà avere in futuro, in particolare sulla memoria spiega Cannistrà.
La sindrome da testo fantasma e l’ansia da esclusione
Il continuo controllo dello smartphone già oggi è responsabile di almeno due “sindromi”: quella del testo fantasma e quella da “esclusione”. Nel primo caso, nonostante il cellulare sia spento o in altra stanza, il nostro cervello continua a pensarci, quindi si distrae anche in assenza di una notifica vera e propria.
Nel secondo caso, invece, si prova ansia quando non è possibile controllare il proprio smartphone, per verificare se qualcuno ci ha cercati o cosa hanno scritto e commentato i nostri contatti su social o chat. “Il timore – spiega lo psicologo – è quello di rimanere in qualche modo eslusi, tagliati fuori dal corso degli eventi”.
La distrazione e l’ansia in termini produttivi hanno entrambe un “costo”, così come lo hanno “nei rapporti sociali, nelle relazioni di coppia e nell’apprendimento delle competenze sociali. In questo caso si fa riferimento a quelle capacità che possiamo sviluppare solo quando interagiamo di persona con altri. Se dobbiamo chiedere qualcosa a qualcuno, è naturale che possiamo provare difficoltà o imbarazzo, ma facendolo impariamo a gestire le emozioni e a superare le difficoltà. Chi invece è abituato a interagire solo tramite lo smartphone non è in grado di sviluppare queste competenze” conclude l’esperto.
Come guarire dalla dipendenza
Eppure “guarire” è possibile: ci vogliono, però, tempo, pazienza, e qualche semplice accorgimento. Il primo è rivolto soprattutto ai genitori:
1) Il buon esempio: occorre che i genitori diano per primi il buon esempio davanti ai figli, non rimanendo vittime degli smartphone in ogni momento;
2) Spegnere e accendere: è una buona norma quella di non tenere sempre accesi smartphone e tablet, abituandosi invece a fare uno switch off, uno spegnimento, in determinate ore;
3) Disattivare tutte le notifiche: ciò vale sia per quelle sonore che per quelle visive, in modo da non esserne distratti, abbassando i livelli di dopamina che queste invece innalzano;
4) Free digital time: può aiutare non solo il fatto di creare momenti nei quali non si consultano né usano dispositivi tecnologici, ma soprattutto stabilire un monte ore settimanale/mensile digital free, ad esempio dicendosi: “Questa settimana devo raggiungere un totale di 20 ore in cui non ho mai consultato il cellulare” (ovviamente solo nelle ore in cui si è svegli!).
5) Meno e meglio: esistono diverse App che bloccano l’accesso ai social o ad altre app stesse, in determinate fasce orarie o quando si supera un limine di tempo massimo. “Possono aiutare a prendere consapevolezza del tempo che vi si dedica” spiega lo psicologo.
Anche gli stessi produttori di smartphone hanno capito che l’abuso può avere effetti controproducenti e stanno correndo ai ripari. Apple, ad esempio, introdurrà una funzione chiamata Screen Time, che fornirà un resoconto giornaliero e settimanale del tempo totale trascorso sulle singole app, del numero di notifiche ricevute e delle volte in cui si usa il cellulare, bloccandolo. Per i più piccoli è anche stata pensata la possibilità di impostare dei limiti temporali di utilizzo. Anche Google permetterà a breve di avere un resoconto specifico dell’uso del dispositivo, consentendo anche di inserire quantità di tempo oltre le quali le app diventeranno “grigie” (così come la home) per essere meno invogliati a usarle.