E se, all’inizio del nuovo anno universitario in autunno, rischiassimo di avere le aule semivuote? Non per le misure di distanziamento sociale o per la didattica a distanza, ma per la mancanza di matricole. L’allarme arriva da uno studio dello Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno: almeno 10.000 ragazzi freschi di maturità – due terzi dei quali vivono al Sud – potrebbero rinunciare a iscriversi.
Una brusca retromarcia, visto che per 5 anni, dal 2014 al 2019, il numero era sempre aumentato raggiungendo quota 307.553. Colpa della crisi economica legata alla pandemia, che ha tagliato i redditi delle famiglie. «Questo è un grosso problema, dal momento che siamo già tra gli ultimi Paesi in Europa per numero di laureati: solo il 27,8% delle persone fra 30 e 34 anni, contro una media del 40%. I giovani hanno fame di lavoro e l’alta formazione è un’arma formidabile per affrontare le sfide di oggi» avverte Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano e presidente della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane.
Dopo la recessione del 2008 il calo degli studenti universitari arrivò al 10%
«I dati dello Svimez proiettano sulla situazione attuale quanto successo dopo la crisi finanziaria del 2008, quando ci fu un calo di iscrizioni anche del 10%. Ma siamo davvero in anticipo per soppesare la reale portata della riduzione. Di certo la flessione più evidente si avvertirà sul numero degli studenti stranieri, ne arrivano quasi 15.000 l’anno, per le incertezze legate agli spostamenti fra Paesi» avverte Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano e presidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane). E ci sono atenei in controtendenza: Genova già adesso dichiara il doppio delle richieste. A Milano la Cattolica ha esaurito i posti per i corsi a numero chiuso. Tra chi mostra progressi ci sono anche l’università della Calabria (+15% di preiscrizioni) e Palermo (+33% rispetto a 5 anni fa).
Gli atenei del Sud offrono sconti agli studenti emigrati che rientrano
Per invogliare i giovani a iscriversi l’ateneo del capoluogo siciliano ha esteso la “no tax area”, cioè la soglia entro cui non si pagano tasse, fino a 25.000 euro l’anno di reddito familiare Isee. E la Regione Sicilia già nei mesi scorsi aveva stanziato 1.200 euro per ogni studente emigrato deciso a rientrare. Una mossa seguita in fretta dalla Puglia, che promette di azzerare il conto per chi torna, e dall’università della Basilicata, che invita i suoi giovani con il 50% di sconto. Iniziative legittime, ma bollate come “concorrenza sleale” dal ministro dell’Istruzione, Gaetano Manfredi. «Io credo che la mobilità sia un valore, non andrebbe frenata» commenta Resta.
E Gilberto Capano, professore di Scienze Politiche a Bologna e co-autore di Salvare l’università italiana (Il Mulino) osserva: «La verità è che anche nell’istruzione si riflette il divario Nord-Sud che conosciamo in tutti gli ambiti, dal lavoro alla sanità. Esistono corsi ottimi negli atenei meridionali: Fisica alla Federico II di Napoli vale quella di Bologna o di qualsiasi altro ateneo. Ma chi sale al Nord lo fa per i servizi e la qualità di vita, anche se vivere lontano da casa costa». Una transumanza certificata da un’analisi della società di consulenza Talents Ventures, secondo cui 3 regioni – Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna – da sole raccolgono il 50% degli universitari d’Italia.
Il governo riduce le tasse per la metà degli iscritti
E lo Stato che ruolo gioca? «Stavolta la risposta a livello di risorse è stata imponente» osserva Ferruccio Resta. Con l’ultimo decreto Rilancio è stabilito che per l’anno 2020-2021 non paga le tasse universitarie lo studente che proviene da una famiglia con reddito Isee fino a 20.000 euro, contro i 13.000 di prima. E fino a 30.000 ci sono riduzioni a scaglioni. Una misura che vale oltre 160 milioni di euro e di cui dovrebbe beneficiare almeno la metà del milione e 700.000 universitari italiani. Il decreto Cura Italia di marzo, invece, conteneva 85 milioni destinati alla didattica a distanza.
L’ultimo decreto Rilancio ha stabilito che per l’anno 2020-2021 non pagano le tasse gli studenti che provengono da famiglie con reddito Isee fino a 20.000 euro
Che sia l’e-learning l’arma per fronteggiare il calo delle matricole? In Italia le università telematiche contano 90.000 iscritti, circa il 5% del totale. E i grandi atenei tradizionali si attrezzano per potenziare l’offerta di corsi “blended”: ovvero, metà in remoto e metà in presenza. «L’online ha i suoi pregi, ma andiamoci piano nel considerare il bit il cuore della formazione del futuro. Per alcuni percorsi, da Medicina a Chimica, l’opzione non si pone perché servono ore e ore di pratica in laboratorio e in corsia. Ma anche per un umanista il rapporto di fiducia che si crea in aula tra docente e studente è diverso, più coinvolgente ed efficace» osserva Capano. Non solo: dietro l’angolo si cela un pericolo discriminazione. «Soprattutto al Sud, rischiamo una sorta di “class social divide”» conclude il professore. «Se acceleriamo troppo sulla didattica a distanza, tra qualche anno avremo da un lato i più ricchi che possono permettersi la vita da fuori sede e andranno a seguire, in presenza, i corsi migliori. E dall’altro, i più poveri che resteranno a casa, obbligati, più che allettati, all’alternativa online».
Gli atenei migliori d’Italia
In testa Bologna, seguita da Padova, Firenze e dalla Sapienza di Roma. Sono le prime 4 nella classifica 2020 delle università statali stilata dal Censis: è basata su punteggi assegnati a diversi aspetti (strutture, borse di studio, livello di internazionalizzazione). Bologna primeggia nel gruppo dei mega-atenei, quelli con oltre 40.000 iscritti. Tra i grandi, fra 20.000 e 40.000, si trovano Perugia e Pavia; tra i medi Trento e Sassari; tra i piccoli vince Camerino; tra i Politecnici ci sono Milano, Venezia e Torino. La Bocconi di Milano è la prima università privata.