«Ricordo cosa disse Pierpaolo: “Se funziona, mi faccio un tatuaggio a 52 anni”. Ha funzionato, e quel tatuaggio adesso lo abbiamo tutti. Rappresenta la nostra famiglia». Marco Brozzi, 45 anni, è il presidente della cooperativa Ceramiche Noi, uno dei più riusciti esempi italiani di “workers buyout”, il percorso legale che consente ai lavoratori di acquisire un’impresa avviata al fallimento.

Pierpaolo Dini, 52, è il vicepresidente. Fino a 2 anni fa erano dipendenti della Ceramisia, storica azienda di ceramiche per la tavola a Città di Castello, 40.000 abitanti nel nord dell’Umbria. Poi, un giorno di ottobre 2018, il titolare comunica a Marco, allora direttore della produzione, che ha avuto un’offerta in Armenia per delocalizzare l’attività. «Mi ha detto: “Chi se la sente mi può seguire. Ma agli altri lo dovrai dire tu”. È stato uno shock» ricorda Brozzi. «Quell’azienda l’ha fondata mio nonno nel 1952. Lavoravo lì da tutta la vita, da quando mi ci mandavano in punizione da ragazzino le volte che non studiavo».

Il “workers buyout” esiste dal 1985

Per 2 mesi Marco è come in lutto, non dorme più la notte, parla solo con sua moglie: ai colleghi non riesce a dire nulla. Finché «un giorno, sfogandomi con un amico, vengo a sapere della possibilità di formare una cooperativa e diventare imprenditori di noi stessi. Entro così in contatto con Andrea Bernardoni, il responsabile economico di Legacoop Umbria, che ci ha seguiti passo dopo passo nella procedura».


«Per fare una cosa del genere, la fiducia nei colleghi è fondamentale. Qui da noi, se hai bisogno di una mano, chi ti lavora accanto la tenderà sempre»


Marco e Andrea si confrontano, capiscono che le condizioni per tentare la sfida ci sono. «Per salvare un’azienda in questo modo serve una prospettiva di ripresa economica» spiega Bernardoni. «I bilanci di Ceramisia non erano rosei, ma il più dipendeva dai pesanti costi della struttura amministrativa, del tutto azzerati con la trasformazione in cooperativa». Perché è solo assumendo questa forma che i lavoratori possono ottenere l’anticipo della Naspi, l’indennità di disoccupazione, che dovranno investire nella nuova attività.

Il “workers buyout” esiste dal 1985 (vedi sotto), ma è negli ultimi anni che ha avuto la maggiore applicazione: sono 78 le imprese acquisite da ex dipendenti dal 2010 al 2020, con una percentuale di successo dell’82%.

La nascita della cooperativa

Elaborato il piano, Marco si trova davanti lo scoglio più difficile: convincere i colleghi. «Era gennaio 2019, feci tutto insieme» racconta. «Li convocai e dissi: “Ragazzi, c’è questo grosso problema. Ma c’è anche una soluzione”. Mi ricordo le loro facce incredule. Sono volate parolacce: “Tu sei matto” mi dicevano. Poi ci hanno riflettuto, hanno capito che si poteva fare davvero».

Al progetto aderiscono 11 dipendenti su 15, 4 donne e 7 uomini. Investono tutta la loro Naspi e una parte del Tfr, il trattamento di fine rapporto, per un totale di 180.000 euro con cui acquistano i macchinari più importanti dal vecchio proprietario. «Da gennaio a giugno abbiamo programmato il futuro. Spiegavamo la situazione ai clienti più importanti, quasi tutti esteri, presentando il piano industriale. I fornitori ci hanno aiutato, facendoci credito in attesa delle prime commesse».

Lavoratori Ceramisia
Da colleghi a soci
Gli ex dipendenti della Ceramisia, diventati poi soci delle Ceramiche Noi di Città di Castello (Pg)

Il 15 giugno i lavoratori della Ceramisia rimangono ufficialmente disoccupati, il 25 sono di fronte al notaio a inaugurare la cooperativa Ceramiche Noi. Il risultato è oltre le aspettative: tutti i clienti danno fiducia alla nuova proprietà, ne arrivano altri. In breve la cooperativa assume 3 nuove persone che fanno il proprio ingresso come soci lavoratori. «A metà dell’estate, mentre lavoravamo 14 ore al giorno per stare dietro agli ordini, ho capito che ce l’avevamo fatta» dice Marco.

Diventare imprenditori di se stessi

Tra i lavoratori che hanno deciso per il “salto” c’è anche Samuela Marzà, 47 anni, addetta al reparto decorazioni: «Io ho deciso subito di provarci. Quest’azienda è la mia seconda casa, non riuscivo a pensarmi da nessun’altra parte. La prima persona a cui l’ho detto è stata mio marito Fabio. Immaginavo avrebbe fatto storie, rinunciare a migliaia di euro di Naspi senza garanzie… E anche fosse andata bene, sapevamo già che per i primi mesi non avremmo avuto lo stipendio. Invece lui mi ha incoraggiata: “Se avessi colleghi come i tuoi, mi butterei anch’io senza pensarci due volte”. Mia figlia Elisa, che si era appena iscritta all’università, ci scherzava su: “Se mi stufo di studiare vengo a darvi una mano”. Ora che sono imprenditrice di me stessa, un lavoro che già amavo è diventato meraviglioso. Da un lato sono più serena, dall’altro mi sento responsabilizzata. La sera non vado mai via senza aver controllato ogni dettaglio. E il nuovo ruolo mi spinge a interessarmi a tutti gli aspetti della produzione, non solo a quelli di cui mi occupo materialmente».

Lavoratori Ceramisia
Una fase della produzione delle Ceramiche Noi di Città di Castello (Pg).

Il miracolo e il pareggio di bilancio

A miracolo compiuto, per il vicepresidente Pierpaolo arriva il momento di rispettare il fioretto: un tatuaggio a 52 anni. «Non ci avevo mai pensato, anzi, mi arrabbiavo coi miei figli quando me lo chiedevano». Ma a sorpresa, uno dopo l’altro, tutti e 11 i soci prendono la stessa iniziativa. La scelta del disegno viene da sé: un grande cuore che racchiude una fiamma che arde, il logo di Ceramiche Noi. Ognuno sceglie una parte del corpo diversa, chi la spalla, chi l’avambraccio o la schiena. E molti personalizzano il logo con una frase: Marco si è fatto scrivere “Tutti per uno, un sogno per tutti”, Pierpaolo “Io ci credo”, Samuela “È la realtà che comincia”. «Per fare una cosa del genere, la fiducia nei colleghi è fondamentale» sintetizza lei. «E qui, se hai bisogno di una mano, chi ti lavora accanto la tenderà sempre».


«Mi ero detto: Se funziona, mi faccio un tatuaggio a 52 anni. Ha funzionato, e quel tatuaggio adesso lo abbiamo tutti. Rappresenta la nostra famiglia»


Ceramiche Noi ha superato anche l’anno del Covid, chiudendo in pareggio il bilancio 2020 e inaugurando il primo punto di vendita diretta, accanto allo stabilimento. «Certo, qualche difficoltà c’è stata: siamo indietro del 30% rispetto al piano industriale» ammette Marco. «Ma nella crisi abbiamo avuto fortuna, la cassa integrazione è arrivata subito e riusciremo a tenere tutto il personale. Abbiamo aperto un negozio dove vendiamo ceramiche a prezzo di costo, per rinsaldare il rapporto con la comunità. E abbiamo brevettato un piatto antibatterico con una patina speciale per proteggere la ceramica dalle infezioni, pensato per le mense e i self service dove c’è grande ricambio di stoviglie. Siamo sicuri avrà grande successo. Soprattutto, però, lavoriamo ogni giorno con l’entusiasmo di avere il nostro destino in mano. E non c’è soddisfazione più grande».

Lavoratori Ceramisia
I piatti con patina antibatterica brevettati nel 2020.

→ Cos’è il “workers buyout”

I “workers buyout” è l’acquisizione o il salvataggio di un’impresa da parte dei suoi dipendenti. In Italia è stato introdotto dalla legge n. 49 del 1985 (detta legge Marcora), che ha istituito un fondo destinato al sostegno delle cooperative formate da lavoratori di aziende fallite. Costituendosi in cooperativa, gli ex dipendenti possono ottenere l’anticipo dei 24 mesi di Naspi (l’indennità di disoccupazione) a patto di reinvestirla nell’acquisizione dell’azienda o nell’apertura di una nuova attività.

A fine gennaio 2021, Legacoop, Confcooperative e Agci hanno firmato con le maggiori sigle sindacali un accordo per promuovere la diffusione di questo strumento di risoluzione delle crisi aziendali.