Secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Science, la tutela di appena l’1,22% della superficie terrestre, pari a circa 16.825 aree specifiche, potrebbe scongiurare la “sesta grande estinzione della vita sulla Terra“. Questi “Imperativi di Conservazione”, come li definiscono i ricercatori, rappresentano un’ancora di salvezza per la biodiversità del nostro pianeta e un’opportunità concreta per invertire la rotta verso l’estinzione di massa.

L’obiettivo è fermare l’estinzione di massa

L’obiettivo della ricerca, frutto di una collaborazione internazionale tra ambientalisti e ricercatori, è quello di fermare, il prima possibile, l’estinzione di massa che, secondo un autore dello studio ed esperto senior di biodiversità presso l’ONG RESOLVE, sarebbe già in corso. “Siamo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa nella storia della Terra, la prima causata dalle attività umane – ha affermato Eric Dinerstein -. Il nostro studio propone un modello concreto e accessibile per prevenire ulteriori estinzioni di specie, concentrandoci su un’area critica che ospita specie rare ma i cui habitat rimangono non protetti.”

Le foreste pluviali tropicali al centro della strategia

L’analisi ha identificato le aree terrestri che ospitano la maggior concentrazione di specie rare e minacciate. I risultati evidenziano che circa il 76% di queste aree si trova all’interno di foreste pluviali tropicali, concentrate in cinque nazioni: Brasile, Filippine, Indonesia, Madagascar e Colombia. “Proteggendo questi siti – ha spiegato ancora Dinerstein – potremmo salvare oltre 4.700 specie già conosciute, ma si stima che milioni di altre specie, ancora da scoprire, si trovino negli stessi habitat non protetti e che beneficeranno di questa tutela.”

Azione economicamente vantaggiosa

Ma quanto costa mettere in pratica questo modello? La ricerca ha dimostrato che la protezione di queste aree chiave è economicamente sostenibile, con un costo stimato di circa 34 miliardi di dollari all’anno per i prossimi cinque anni. “Si tratta di una cifra inferiore allo 0,2% del PIL degli Stati Uniti e rappresenta una frazione minima rispetto ai sussidi annuali alle industrie dei combustibili fossili o alle entrate generate dalle attività minerarie e agroforestali”, ha sottolineato il ricercatore.

C’è poco tempo per fermare l’estinzione

Tuttavia, i ricercatori ammoniscono che il tempo stringe. Tra il 2018 e il 2023, pur essendo stati protetti 1,2 milioni di chilometri quadrati di terra, solo una minima porzione ospitava effettivamente specie minacciate. Per questo motivo, è fondamentale agire tempestivamente per tutelare le aree più critiche. “C’è una finestra di opportunità che si sta restringendo per proteggere ciò che resta della natura selvaggia nelle ecoregioni del pianeta – ha affermato il co-autore Carlos Peres, professore di ecologia della conservazione presso l’Università degli Emirati Arabi Uniti -. La nostra analisi dimostra che mettere da parte solo l’1,2% di tutte le aree terrestri (identificate come quasi 17mila siti) per garantire la sopravvivenza di specie endemiche, minacciate e rare è un’impresa finanziariamente fattibile, ma temo che questa opportunità svanirà presto.”

Le prospettive per il futuro

La protezione degli “Imperativi di Conservazione” rappresenta un primo passo cruciale verso l’obiettivo di tutelare il 30% del pianeta entro il 2030, come stabilito dal Global Biodiversity Framework. Conservare queste aree non solo salverebbe la biodiversità, ma contribuirebbe anche a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, proteggendo foreste pluviali e altri ecosistemi vitali. “Cosa lasceremo alle generazioni future? – ha concluso Dinerstein -. Una Terra sana e vibrante è un’eredità fondamentale. Dobbiamo agire ora per scongiurare la crisi di estinzione e gli ‘Imperativi di Conservazione’ ci indicano la strada da seguire.”