Sebbene sia decisamente insolito assistere a una tragedia di proporzioni simili allo tsunami dell’Oceano Indiano del 2004, che uccise quasi 230 mila persone, i maremoti sono più comuni di quanto si possa pensare, anche in Europa.

Mediterraneo, quali rischi?

Nel Mediterraneo, e nei mari ad esso collegati, si sono verificati circa un centinaio di tsunami dall’inizio del XX secolo (circa il 10% di quelli registrati nel mondo nello stesso periodo). Anche se meno comuni, gli tsunami nell’Atlantico nord-orientale rappresentano ancora circa il 5% del totale.

Tra questi vi fu un evento particolarmente catastrofico, il terremoto di Lisbona del 1755. “Lo tsunami più potente di cui siamo a conoscenza nell’Atlantico è stato quello innescato dal terremoto di Lisbona del 1755”, afferma Hélène Hébert, coordinatrice nazionale del CENALT (Centro di Allarme Tsunami, con sede a Parigi). “Quel terremoto ha avuto una magnitudo vicina a 8.5 – spiega – simile a quelli che si verificano con più frequenza nell’Oceano Pacifico”.

Nonostante le coste francesi fossero in gran parte protette dalla penisola iberica, lo tsunami distrusse gran parte di Lisbona, Cadice e parti del Marocco, provocando diverse migliaia di vittime. Le onde arrivarono fino alla Cornovaglia sudoccidentale e all’Irlanda. “Questo è il tipo di grande tsunami che possiamo aspettarci che si verifichi ogni tre o cinque secoli. Quindi, potrebbe accadere domani o nel prossimo secolo ma sappiamo che accadrà“, conclude Hébert.

Allerta tsunami entro 15 minuti

Il CENALT, nato all’indomani dello tsunami del 2004 come parte di un’iniziativa più ampia dell’UNESCO per istituire sistemi di allarme maremoti in tutto il mondo, funziona 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, ed è presidiato da un team di specialisti nell’analisi dei dati geofisici della CEA (la Commissione francese per le energie alternative e l’energia atomica).

Due gli obiettivi principali: il primo è quello di rilevare eventuali terremoti che potrebbero provocare uno tsunami allertando le autorità competenti entro 15 minuti. Il secondo, far loro sapere tempistiche e ampiezza del fenomeno.

Le informazioni iniziali vengono raccolte da una rete di diverse centinaia di stazioni sismiche, ciascuna visualizzata su un enorme schermo che trasmette dati ogni volta che viene rilevato un terremoto. All’evento viene quindi assegnato uno dei tre livelli di minaccia a seconda della gravità – giallo, arancione o rosso – e inviato il corrispondente avviso. Vengono inoltre monitorati gli appositi mareografi per verificare il livello del mare.

Onde alte

Come funziona la tecnologia di rilevamento degli tsunami?

“Quando una delle stazioni sismiche lampeggia in rosso, significa che rileva un segnale”, spiega Pascal Roudil, coordinatore tecnico del CENALT.

Potrebbe essere un falso allarme, causato ad esempio da venti forti o dalle vibrazioni causate dal passaggio di mezzi pesanti. Ma se più stazioni iniziano a lampeggiare contemporaneamente, significa che l’area è interessata da un’onda sismica piuttosto forte.

Il sistema cerca quindi di trovare l’epicentro di questi rilevamenti e aggiunge l’informazione sulla mappa, sotto forma di un cerchio, la cui dimensione rappresenta la magnitudo e il colore indica la profondità.

“Il nostro obiettivo è allertare le autorità competenti entro 15 minuti perché lo tsunami può arrivare rapidamente“, continua Roudil. “Nel Mediterraneo occidentale, ad esempio, se si verificasse un terremoto vicino all’Algeria, attraverserebbe il mare entro un’ora e 15 minuti”. “Inoltre – conclude – anche se i nostri tsunami non sono delle proporzioni di quelli del Pacifico, non sono necessarie onde alte 30 metri per avere danni e feriti. Anche mezzo metro potrebbe essere pericoloso per i nuotatori”.

“È solo questione di tempo”

Fortunatamente, almeno fino ad ora, CENALT non ha dovuto far fronte a situazioni di reale pericolo.

Tra la sua nascita e il 2022, il centro aveva emesso 84 allarmi di “livello di informazione” (nessun rischio di tsunami) e solo due allarmi di “livello di allerta” (onde inferiori a un metro sulla costa), l’ultimo dei quali, a marzo 2021, ha causato un innalzamento del livello del mare a Tolone, in Francia, di circa 5 centimetri.

Ma, specificano gli esperti, “è solo questione di tempo. Non ci aspettiamo onde di 20 metri, come in Giappone, Cile o Sumatra, ma piuttosto onde di uno o due metri”, precisa Hébert.

Tuttavia, ciò che è estremamente pericoloso non è solo l’altezza delle onde, ma anche i flussi dell’acqua – e le inondazioni che raggiungono la riva – che possono causare danni alle spiagge, ai porti e alle strade“.

Tsunami e crisi climatica

L’innalzamento del livello dell’acqua, causato dalla crisi climatica, potrebbe aggravare ulteriormente la situazione. “Sebbene il livello dell’acqua non influisca di per sé sullo tsunami, potrebbe certamente avere un impatto dei suoi effetti sulla costa”, afferma Hébert. Ad esempio, se si tratta di un piccolo porto e il litorale è molto basso, uno tsunami potrebbe essere molto più pericoloso.