Sono ormai moltissimi anni che nelle vetrine dei negozi vediamo capi di abbigliamento in finta pelle. Giacche, gonne, pantaloni e cinture realizzati senza uccidere gli animali per nostro vanto. Una scelta etica che via via, nei decenni, ha trovato sempre più consensi nella società. Ma siamo sicuri che la finta pelle sia ecosostenibile? E’ davvero la soluzione migliore per sostituire la vera pelle? Gli esperti dicono di no perché quella che comunemente viene chiamata finta pelle è in realtà plastica, materiale che sappiamo essere estremamente dannoso per l’ambiente.
La finta pelle non si può riciclare
La pelle sintetica è un materiale popolare da decenni. Tuttavia, la maggior parte della pelle finta è prodotta dall’industria dei combustibili fossili e non esiste alcun sistema per riciclarla. Questo rappresenta un grosso problema, perché la sua produzione contribuisce quindi alla crisi climatica e crea l’inquinamento che distrugge i nostri ecosistemi.
L’opinione degli esperti
Gli esperti concordano sul fatto che sostituire la pelle vere con quella finta non rappresenti la soluzione al problema e non sia quindi una scelta etica. Secondo Jocelyn Whipple, specialista di materiali responsabili presso la società di consulenza sulla moda sostenibile “The Right Project”, “la pelle sintetica è un termine impreciso e vago; viene fornito con tutte le allusioni alle qualità positive intrinseche della pelle, che sono così lontane dalle qualità della plastica come materia prima in termini di durabilità, longevità e compostabilità naturale. Dobbiamo chiamare i materiali per quello che sono e valutarli in base ai loro meriti”. Whipple ha aggiunto che il consumatore deve avere una chiara comprensione dell’intero ciclo di vita di un prodotto, dalla produzione allo smaltimento. “Purtroppo, molti di questi indumenti finiscono come rifiuti tessili a migliaia di chilometri da dove sono stati acquistati e indossati per la prima volta”, ha concluso.
La finta pelle finisce in Africa
Yayra Agbofah, fondatrice di “Revival”, brand di moda ghanese specializzato in upcycling di vestiti usati, sostiene che la finta pelle (in PU – pelle di poliuretano – o PVC – cloruro di polivinile), sia un materiale problematico a causa della sua natura sintetica, che contribuisce a danneggiare l’ambiente durante la produzione e lo smaltimento. Agbofah ha espresso queste preoccupazioni dalla sua base nel vasto mercato Kantamanto di Accra, una delle più grandi destinazioni di abbigliamento di seconda mano al mondo.
Qual è l’alternativa?
Attualmente non esiste alcuna legislazione che regoli la produzione o l’utilizzo di questi materiali. Sebbene i sacchetti di plastica monouso siano stati tassati, non c’è nulla che impedisca a un marchio di produrre vestiti di plastica. Tuttavia, ci sono molti nuovi materiali in fase di sviluppo. Ad esempio il marchio alla moda Ganni, con sede a Copenaghen, che ha promesso di smettere di utilizzare pelle animale vergine entro la fine di quest’anno, sta sviluppando la sua caratteristica borsa Bou, realizzata con un materiale coltivato da batteri. Altri materiali alternativi possono essere ricavati dagli scarti agricoli: ad esempio utilizzando materiali avanzati dalla produzione del vino, oppure da pomodori, ananas e funghi.
Come per gran parte della vera pelle, tuttavia, spesso è necessario uno strato di PU per renderli durevoli e resistenti. I materiali misti rivestiti in PU non possono essere riciclati. In un’altra realtà viene utilizzato un materiale estratto dalla carruba. E ancora, altri capi di abbigliamento vengono prodotti in Mirum, un materiale a base vegetale utilizzato da Stella McCartney sulla sua passerella a settembre, che non contiene prodotti petrolchimici o plastica ed è riciclabile.
Il cambiamento richiede tempo
Il cambiamento su larga scala richiederà tempo, poiché non si tratta solo di lanciare un nuovo materiale, ma di cambiare l’intero sistema. Al momento per Whipple è ora importante essere trasparenti e comprendere ciò che mettiamo sul nostro corpo e cosa accadrà a questi prodotti quando non saranno più desiderati o utilizzabili. Agbofah ha incoraggiato le persone a dare priorità alla qualità rispetto alla quantità, scegliere pezzi durevoli e senza tempo e supportare i marchi impegnati in pratiche sostenibili. E ha aggiunto che i consumatori del nord del mondo dovrebbero considerare l’impatto negativo del loro consumo di abbigliamento sul sud del mondo.