Le microplastiche

Vi siete mai chiesti quale sia l’impatto ambientale degli abiti che indossiamo? Sapete che milioni di microfibre finiscono in mare dalle nostre lavatrici? Vestiti, jeans, la classica T-shirt possono avere un costo che non si limita a quello necessario per farli entrare nell’armadio ma che può riguardare il conto che l’ambiente paga durante tutta la loro esistenza: dalla produzione al fine vita. Secondo l’Onu l’industria della moda sarebbe responsabile di più emissioni di CO2 di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme, utilizzerebbe circa 93 miliardi di metri cubi d’acqua – sufficienti per soddisfare il fabbisogno di cinque milioni di persone – e scaricherebbe ogni anno nell’oceano circa mezzo milione di tonnellate di microfibra, che equivale a 3 milioni di barili di petrolio.

Tra queste microfibre che raggiungono gli oceani ci sono anche le microplastiche di cui sempre più spesso si sente parlare perché hanno invaso le acque del pianeta, vengono ingerite dai pesci e entrano così a far parte della nostra catena alimentare. Ma cosa sono? Dove sono nel nostro guardaroba?

Da dove vengono le microplastiche

Le microplastiche sono dei piccolissimi pezzi di materiale plastico, solitamente inferiori ai 5 millimetri e vengono divise in due categorie. come si può leggere sul portale dell’Europarlamento. Le microplastiche primarie che sono quelle che vengono rilasciate direttamente nell’ambiente e hanno origine ad esempio da prodotti per la cura del corpo e di make-up (che in Europa però son vietati da qualche anno!) alle quali vengono aggiunte quelle che “fuggono via” dal lavaggio dei tessuti sintetici ma anche dall’abrasione degli pneumatici durante la guida. Poi abbiamo le microplastiche secondarie che provengono dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste di plastica, bottiglie o reti da pesca.

Nel 2017 l’Onu ha dichiarato che ci sono 51 mila miliardi di particelle di microplastica nei mari. Nel solo Mar Tirreno centro settentrionale secondo i dati (2020) pubblicati da Greenpeace c’è una diffusa presenza di microplastiche e microfibre, in particolare nel Canale di Corsica fino a Capraia, dove è stata registrata, dall’associazione ambientalista, una concentrazione superiore al milione e mezzo di particelle per chilometro quadrato, paragonabili a quelle presenti nei grandi vortici oceanici.

Di tutte le microplastiche presenti nelle acque del pianeta ben il 35% di quelle primarie deriverebbe dal lavaggio di capi di abbigliamento sintetici.

Pensate a quante volte ogni settimana lavate i vostri abiti in lavatrice (o anche a mano), questo gesto apparentemente innocuo può far defluire verso fiumi e mari ingenti quantità di questi minuscoli frammenti di plastica che i normali filtri dell’elettrodomestico non riescono a trattenere. Un inquinamento destinato a crescere visto la grande diffusione che hanno oggi le fibre sintetiche dovuta principalmente al dilagare della “moda veloce”.

Inquinamento e moda low cost

Se andiamo a leggere le etichette dei nostri abiti scopriremo che la maggior parte di loro è realizzato in poliestere, nylon oppure presenta un mix di fibre dove in percentuali più o meno alte quelle sintetiche sono quasi sempre presenti. La ragione risiede nel fatto che si tratta di materiali che assicurano un certa versatilità di impiego accanto ad un basso costo, caratteristiche che ne hanno fatto i pilastri della Fast fashion.

Questa nuova frontiera della moda fa dell’obsolescenza veloce dei capi di abbigliamento uno dei suoi pilastri portanti: sapete ad esempio quante volte indossiamo uno stesso indumento? In Europa si stima che un capo sia scartato dopo averlo indossato 7-8 volte (dato riportato da SERR 2022). Secondo uno studio della MacArthur Foundation, fondazione che opera nel settore dell’Economia Circolare, negli ultimi 15 anni il numero di volte in cui indossiamo un vestito è diminuito del 36%. Inoltre, solo in Europa dal 1996 la quantità di vestiti acquistati per persona è aumentata del 40% a seguito di un forte calo dei prezzi dei capi. Acquistare sempre più abiti a basso costo, ma spesso finendo per rinunciare alla qualità: è questa la tendenza emblema di una società dove conta più l’apparire che l’essere… ma che ha un costo alto per il pianeta.

Ad ogni lavaggio gli abiti, figli della fast fashion, realizzati con fibre sintetiche rilasciano microplastiche ma non solo. Essendo fibre resistenti e essenzialmente non biodegradabili continuano ad inquinare anche quando non le utilizziamo più visto anche l’assenza di una vera e propria filiera per la gestione del fine vita che ne possa garantire il riciclo.

Cosa possiamo fare per ridurre l’inquinamento da microplastiche

Per ridurre l’inquinamento da microplastiche provenienti dal nostro armadio una prima cosa da fare è scegliere con attenzione gli abiti che indossiamo. Prediligere fibre naturali come cotone e seta è sicuramente il primo passo. Ma se nel vostro guardaroba sono già presenti vestiti sintetici o misti? Non disperate anche in questo caso sono tante le cose che si possono fare.

Il primo consiglio è lavare i capi lo stretto indispensabile abbandonando il detto “una messa e una lavata”. È poi importante allungare il più possibile il loro utilizzo e, nel caso in cui ad esempio la camicia tanto desiderata non riscontrassero più i vostri gusti, rimetterla in circolo.

Tra i comportamenti che vi aiuteranno a gestire in modo green i vostri abiti vi è sicuramente quello di leggere bene le etichette per capire come lavare correttamente una maglia o un pantalone. La ong Marevivo nella campagna #stopmicrofibre individua alcune best practice da mettere in pratica per ridurre l’impronta ambientale del bucato. Innanzitutto lavare a basse temperature, che oltre a far risparmiare energia (cosa fondamentale in questo periodo), riduce il rilascio di queste piccole particelle. Prediligere poi programmi di lavaggio brevi e con il cestello a piano carico che evita un eccessivo attrito tra gli indumenti e quindi un maggior rilascio di microfibre. Infine utilizzare detergenti neutri che danneggiano meno il tessuto.

Non solo il lavaggio, anche l’utilizzo dell’asciugatrice genera il rilascio delle microfibre quindi per il bene del pianeta e delle vostre tasche per asciugare il bucato meglio tornare ad utilizzare il classico stendino e l’aria aperta che non costa nulla.

Borse filtri e sfere per catturare i piccoli frammenti

Altra soluzione è quella di utilizzare strumenti appositamente progettati per catturare anche i frammenti più piccoli delle microplastiche. In commercio ad esempio vi sono delle “borse” per il lavaggio in cui inserire gli indumenti prima di posizionarli all’interno della lavatrice. Questi involucri impediscono il passaggio delle microfibre evitando la loro dispersione nelle acque del pianeta.

Esistono poi delle speciali sfere, in gomma o silicone, che inserite nel cestello della lavatrice aggrovigliano tra le loro maglie le fibre che gli indumenti perdono impedendo così che le stesse scendano negli scarichi.

Infine vi sono anche dei filtri da installare nella lavatrice in grado di evitare che le microplastiche oltrepassino la loro barriera.

Cosa farne poi del materiale recuperato? Naturalmente non va gettato negli scarichi fognari perché vanificherebbe il lavoro di questi strumenti, quanto raccolto andrà gettato nel bidone della raccolta indifferenziata.