Il progetto M.A.R.E.
L’hanno battezzata citizen science ed è un modo per coinvolgere tutti in attività scientifiche che fino a qualche tempo fa erano riservate solo agli esperti. È così che mi sono ritrovata in mezzo al mare Mediterraneo a bordo di un catamarano di 14 metri, a fare campionamenti di zooplancton marino per valutare lo stato di salute delle nostre acque. Il progetto si chiama M.A.R.E. (sta per Marine Adventure for Research & Education) e nasce da un’idea della Fondazione Centro Velico Caprera (centrovelicocaprera.it) in collaborazione con One Ocean Foundation (1ocean.org).
Salvaguardiamo il mare Adriatico
Quella di M.A.R.E è un’esperienza unica, all’insegna della ricerca scientifica: realizzata con il sostegno di Polaroid Eyewear, Yamamay e Sorgenia, è arrivata alla seconda edizione. Nel 2022 il percorso si è concentrato nelle acque del Tirreno, attraverso la mappatura di 22 aree marine protette. Quest’anno, invece, gli esperti si stanno dedicando all’Adriatico. Io ho costeggiato il tratto di mare che va da Ancona a Ravenna, a circa metà dell’itinerario del catamarano che, salpato a fine aprile dalla base della Marina Militare di Taranto, approderà l’8 luglio a Corfù, in Grecia, circumnavigando tutto il bacino adriatico, per un totale di 17 tappe, 10 settimane e 1.400 miglia.
Saliamo a bordo
Le quattro giornate a bordo, in mezzo al mare, in compagnia di un equipaggio tutto al femminile, guidato dal comandante Alberto Radaelli, sono scivolate via veloci come le onde che abbiamo solcato, tutti contagiati dall’entusiasmo delle due giovani biologhe marine e ricercatrici Ilaria Melato e Giulia Liguori, tra analisi al microscopio, prelievi e lezioni sui cetacei.
Inizia il check up del mare
Se è vero che la passione smuove il mondo, tra i ricordi più belli che mi porto a casa ci sono lo sguardo di Ilaria, a bordo grazie a una borsa di studio dell’Università di Padova, che scrutava l’orizzonte, pronta ad avvistare la pinna di qualche delfino (tursiopi per la precisione, una specie che popola le zone costiere del mar Adriatico) e l’energia di Giulia, che fa parte del team di One Ocean Foundation e non vedeva l’ora di coinvolgerci nel suo lavoro. Retino speciale alla mano, tutti i membri dell’equipaggio si sono alternati alla fase di campionamento, l’operazione clou della spedizione che consiste nel prelevare acqua a circa 20 metri di profondità per poi setacciarla un po’ alla volta.
Come sta davvero il nostro mare?
A quel punto si raccoglie lo zooplancton con una pompetta e lo si conserva in provette, che alla fine del progetto saranno analizzate nei laboratori dell’Università degli studi dell’Insubria. In greco plancton significa “errante” e descrive una comunità ecologica di organismi vegetali e animali, che sono un vero e proprio bioindicatore naturale dell’inquinamento ambientale. Mentre lavoriamo, Giulia e Ilaria ci spiegano che questi esserini, un po’ come delle carte assorbenti marine, trattengono sostanze chimiche come i metalli (tra cui il famoso mercurio) e altri contaminanti organici e tossici come il Ddt che nonostante sia bandito da decenni è ancora presente nelle nostre acque. Il Progetto M.A.R.E. 2022 è servito anche a mostrare che fortunatamente nel mare Tirreno c’è un decremento di questa pericolosissima sostanza.
A scuola di microscopio
E poi ci sono stati i momenti emozionanti al microscopio portatile, osservando la varietà di forme di vita quasi invisibili a occhio nudo. Abbiamo fatto a gara a chi le identificava prima, con l’aiuto di una mappa illustrata. E soprattutto abbiamo capito che nel plancton ci sono tutti i “cuccioli” dei principali invertebrati marini, come quelli delle meduse, che prima di crescere vagabondano nel mare spinti da venti e correnti.
In mare sulle tracce del Dna ambientale
Questo è il cuore della citizen science: fare divulgazione in modo accessibile, sensibilizzare e creare consapevolezza sull’importanza dell’universo marino. Ma anche, diciamolo, farci innamorare della scienza e dei risultati che riesce a ottenere. Come mi hanno spiegato a bordo, una parte dei prelievi d’acqua del mare viene destinata all’analisi molecolare delle tracce di Dna ambientale. In pratica significa che si potranno identificare le cosiddette specie marine “criptiche”, quelle che sfuggono all’osservazione visiva. L’anno scorso una ricerca fatta con la stessa tecnica di rilevazione ha riservato una bella sorpresa: si pensava che la foca monaca fosse in via di estinzione e invece il rilevamento del suo Dna ambientale nel canyon di Caprera, in Sardegna, ha provato ai biologi di One Ocean Foundation che è ancora presente nel Mediterraneo e sta solo giocando a nascondino con noi umani.
Gli occhiali imperdibili da portare al mare
Tra gli oggetti che più spesso si ritrovano sui fondali marini ci sono gli occhiali da sole che, quando cadono in acqua, affondano all’istante. Per questo, Polaroid Eyewear, tra i sostenitori del progetto M.A.R.E, ha ideato una linea galleggiante e sostenibile in collaborazione con il Centro Velico Caprera: la montatura è super leggera, con lenti polarizzate e non ti scivola dal viso grazie agli inserti gommati e al cordino elastico. Ma anche se dovesse finire in mare, la recuperi in un batter d’occhio (polaroideyewear.com).