Quando il mare entra in giardino
Qui nel Giardino Felice le piante godono della mia stessa vista panoramica. L’azzurrità del mare, ma da lontano, incorniciato da un golfo verdissimo, e sullo sfondo il faro del Monte, a picco sulla scogliera. Succede però, specie quando piove e tira vento da sud, che l’aerosol salino di quel mare visto da lontano si avvicini molto…
Ma il sale, non fa male alle piante? Perché in effetti viene usato come potente erbicida, per altro spacciato per naturale (non fatelo mai, vi prego, perché fa morire tutto, sopra e sottoterra. E non credete se vi dicono che disinfetta. Lui, uccide).
Provando a decifrare questa strana relazione tra piante e sale (perché, mi dicevo, i litorali sono pieni di botaniche rigogliose, varie, e il mio giardino non ha mai troppo sofferto lo scirocco), ho capito che, proprio come per le persone, ci sono alcune specie botaniche che nel salino o salmastro hanno trovato il loro habitat.
Si chiamano alofite (per saperne di più, scorri subito a curiosità 1).
Il mio primo incontro con l’Agave
Ma esistono anche moltissime altre piante che “tollerano” il sale, riuscendo a conviverci perché sono tipe davvero toste. Queste ultime, con gli anni e l’esperienza, sono diventate la base del mio giardino e di tutti i giardini mediterranei. Non solo del litorale, ma anche di città.
In effetti riprodurre la macchia tipica delle coste italiane anche in luoghi molto distanti dal mare è una moda che sta prendendo sempre più piede, e funziona non solo perché il clima si sta ammorbidendo un po’ ovunque, ma anche e soprattutto perché le piante autoctone delle nostre coste o naturalizzate (cioè introdotte dall’uomo in ambienti con condizioni simili a quelle di origine) sono perfette per il giardino moderno: poca manutenzione, scarsissima irrigazione, specie sane che non necessitano di trattamenti per poter dare il meglio di sé. E -importantissimo- che si esprimono bene anche in piccoli spazi, anche in un unico vaso.
Qui affiorano i ricordi di 30 anni fa, quando da giovanissima redattrice di moda aspettavo con ansia la sfilata di Dolce&Gabbana, ancora nel vecchio spazio accanto a San Babila. Aspettavo, più che altro, il loro allestimento per lo show che ogni volta mi trasportava in un magico giardino mediterraneo, ricostruito alla perfezione (colori, odori, sapori) in centro città. Proprio lì vidi per la prima volta (o forse per la prima volta la notai davvero) una enorme Agave (Agave americana) contenuta in un piccolo e sgargiante vaso siciliano, la testa di Moro. Quella pianta, anche da sola, bastava per portarmi metaforicamente al mare.
Agave: un giardino in vaso
Originaria del Messico, più precisamente di quella zona compresa tra il nord dell’America Centrale e il Sud del Nord America (giuro, sembra uno scioglilingua geografico ma ha un senso) l’Agave è arrivata in Europa con i primi conquistatori e, giunta sulle coste italiane, si è naturalizzata senza fatica.
Pianta succulenta dalla caratteristica crescita a rosetta, può raggiungere qualche metro di diametro. Le sue foglie altamente fibrose (dalle quali si ricava il Sisal, una fibra tessile oggi in disuso) terminano con una spina apicale legnosa, che in passato veniva usata come ago da cucito. Io consiglio di spuntarla leggermente, specie se la pianta si trova in spazi piccoli, perché è davvero dura, pungente e pericolosa.
Esistono decine di specie di Agave, qui la più diffusa è l’americana, perché resiste sia alle alte temperature che a quelle prossime allo zero. Robusta, sana, indipendente nel fabbisogno idrico, è anche molto longeva, e ci avvisa molto prima di morire, regalandoci una unica fioritura spettacolare.
Il fiore infatti impiega mesi per formarsi, crescendo su uno stelo legnoso che può raggiungere anche i 10 metri di altezza. Questo colpo di scena, che richiede tantissima energia, è il suo ultimo saluto. Ma prima di lasciarci provvederà a produrre decine di polloni basali, ognuno dei quali, se staccato e messo nella terra, produrrà una nuova pianta in grado di vivere bene anche in un piccolo vaso, meglio se non di plastica.
Vi dò un’ultima ragione per spiegarvi questa passione per una succulenta non autoctona ma che ormai fa parte del nostro paesaggio: come tutte le piante che amo, non solo è bella, ma è anche buona. Dalla distillazione delle sue foglie si ricavano tequila e mescal.
Curiosità 1: che cos’è una alofita?
In botanica, si chiamano alofite quelle piante che riescono a vivere in terreni salini o in acque salmastre. Sono più diffuse di quello che si pensa, perché non sono tipiche solo dei litorali. Esistono alofite che vivono anche nel deserto, perché un’altra loro caratteristica è quella di “farcela” anche in climi siccitosi.
Esempi di alofite “nostrane” e spontanee sono artemisia marittima, finocchietto di mare, tamerice e festuca rossa.
Curiosità 2: giardino balneare
Vite da spiaggia: non parlo delle vacanze che prima o poi arriveranno, ma di una botanica, la vite, che viene coltivata, curata, amata, potata insieme a decine di altre piante da Daniele Muzio, il responsabile degli storici Bagni Segesta di Sestri Levante. Lui definisce la sua oasi verde sulla sabbia “un giardino balneare che fa stare bene”, e capitandomi di passarci spesso (anche quando il vecchissimo glicine era in fiore) non posso che dargli ragione. Amo la spiaggia libera e immersa nella natura, ma questo luogo è davvero un compromesso comodo, e bello. (Info qui)
Pillola verde: “Sale, piante del monte, storie di mare”
Per chi volesse approfondire l’argomento delle alofite e dei giardini salati(*) in riva al mare, vi aspetto a Camogli dal 14 al 16 Giugno. Con il supporto del Comune ho creato un festival dedicato al paesaggio del litorale: bello, fragile, biodiverso e ricco di storie da ascoltare, anche per chi vive in città.
Il festival non poteva che chiamarsi SALE, piante del Monte, storie di Mare e farà una panoramica su questo bel territorio che ospita me e tutte le piante e le persone che lo vivono – per sempre o solo per una vacanza – attraverso conversazioni, laboratori, passeggiate, presentazioni di libri. Venite?
Se volete più info e tutto il programma dell’edizione zero di SALE, cliccate qui.
(*) La bella definizione “giardino salato” non è mia, anche se mi sarebbe piaciuto, ma del paesaggista e caro amico Marco Bay, che a questo tema ha dedicato un raffinatissimo libro fresco di stampa “I Giardini di Venezia”, con Toto Bergamo Rossi, edito da Marsilio Arte (per info guardate qui).
Ci vediamo, anche con Bay, a Camogli in riva al mare!