Vivendo in un luogo dove la natura fa spesso tutto da sé, nelle mie passeggiate fuori dal Giardino Felice ho la fortuna di imbattermi sempre in piccole e grandi meraviglie botaniche. Ginestre maestose e proprio ora in fiore che tempestano di giallo il paesaggio; pruni selvatici nati sui bordi dei sentieri grazie al “lavoro” di qualche uccello, in questa stagione carichi di piccoli frutti deliziosi, un po’ aciduli. Piante ornamentali o da orto scappate da qualche giardino prendendo un passaggio dal vento o da un animale; orchidee selvatiche e iris di tutti i tipi, compresi i giaggioli puzzolenti (Iris foetidissima) già sfioriti ma in preparazione per dare il meglio di sé, in autunno, con un baccello rubicondo davvero molto decorativo; monete del papa (Lunaria annua) con i loro fiori fucsia riuniti a pannocchia che si trasformano in frutti madreperlacei ed ancor più decorativi, cosi anni ’70.
Tra le scoperte preferite di questi anni di marcia e foraging c’è anche “il muro dei capperi”, una enorme parete soleggiata e protetta che fa bella mostra di sé sulla strada che da Sant’Ambrogio porta al mare.
Queste sono piante di tutti e di nessuno, piante “di strada”, sotto agli occhi di chi passa senza nemmeno rendersi conto di quel piccolo tesoro botanico. Eppure la pianta del cappero (Capparis spinosa) è sia molto buona che bella… come si fa a non notarla?
Cappero: una bellezza umorale
Il cappero è affascinantissimo: una volta scelto dove vivere -e lo decide sempre e solo lui, mica il giardiniere- poi fa tutto da solo. Amante degli spazi assolati (è una botanica eliofila, necessita di molte ore di luce solare diretta), aridi, poveri ma soprattutto asciutti e ben drenati, non ha certo bisogno di noi per vivere bene.
Più il luogo è ostile, più si insedia e lo fa suo, creando delle piccole comunità monospecie. Il posto perfetto? Le fessure di un muro a secco esposto a sud e protetto dai forti venti (quest’ultima necessità aumenta andando verso il nord Italia, perché in meridione non è poi così infastidita dalla brezza, neppure quella marina ricca di sale).
Nonostante la sua facilità di coltivazione, è invece una pianta piuttosto ostile e umorale, un po’ difficile da far insediare dove decidiamo noi in giardino o sul balcone. Il miglior consiglio e forse l’unico che vi posso dare è provare a pensare al contrario di come fareste, cioè proponendole terra povera, sabbiosa o sassosa, nessun fertilizzante e acqua ridotta al minimo, quel “quanto basta” per non sentirvi troppo in colpa.
Cappero: lo riconosci?
Se come me avete muri a secco da insediare, provate lì, altrimenti ricostruite con l’ingegno questo micro-ambiente così particolare, magari utilizzando cocci, sassi e mattoni di tufo. Ma voi (ri)conoscete la pianta o vi è famigliare solo il suo sapore?
Ora che osservo il cappero in tutte le stagioni, lo so individuare anche da lontano, perché il suo portamento ricascante con foglie lucide, carnose -verdi sopra e glauche sotto- è davvero inconfondibile durante tutto l’anno. Lo noto un po’ ovunque, anche quando percorro in auto l’Aurelia. Mi ricordo pure di qualche esemplare aggrappato ai muri del Castello Sforzesco di Milano, ma allora facevo ancora fatica a identificarli, e soprattutto non ero una urban forager in cerca di tesori verdi in centro città.
Mentre vi scrivo qui nel Tugullio sono tutti in fiore con petali turgidi, bianchi, che lasciano la scena a stami violetti dal look drammatico, quasi imbarazzante: stanno donando davvero il meglio di sé. Ma ora cosa faccio: godo della loro bellezza, osservandoli sulla pianta o li raccolgo per mangiarli?
Fiore, bocciolo, frutto ma anche foglia: cosa si mangia del cappero?
A molti sembrerà una ovvietà, ma non tutti sanno che il cappero, quello che abitualmente gustiamo sottaceto o in salamoia, non è il frutto della pianta ma il bocciolo del suo fiore ancora chiuso. (Ok, se non sapevate nemmeno che il cappero arriva da una pianta scrivetemi in privato che approfittiamo dell’estate per un bel ripasso di botanica).
Invece in molti meno sono a conoscenza che di questa botanica si mangia quasi tutto:
- Fiore, una gioia aggiunto nelle insalate tardo primaverili.
- Frutto, chiamato cucuncio, lasciato riposare in aceto o sale.
- Foglie, preparate in salamoia e poi aggiunte alle pietanze per insaporire col tipico gusto di “estate mediterranea”.
- Bocciolo, il “vero” cappero, dopo esser stato lavorato per togliere l’amaro, proprio come per le olive.
Pillola verde: provare a propagare
Come fa una pianta così autosufficiente che vive in ambienti inospitali ad esser difficile da propagare? In effetti questa è forse la sua caratteristica più spiccata, perché decide lei dove, come e con chi stare. Vi racconto un paio di dritte, ma sono per chi è più ostinato di lei: raccogliete i semi solo quando i cucunci arrivano a piena maturazione e si aprono naturalmente; conservateli all’asciutto fino all’autunno; quindi spargeteli in un vaso contenente sabbia e cocci misti al terriccio, e dimenticatevelo al sole; aspettate la primavera prima di dare qualche innaffiata, provando ad imitare la natura.
Il segreto dei contadini è invece quello di “sparare” i semi con una cannuccia direttamente dentro le fessure dei muri a secco. Io ho provato così tante volte, perdendo il fiato e ottenendo così tanti insuccessi, che mi sono rassegnata, fino a quando ho trovato delle alleate…
Curiosità: l’amica lucertola
Per un buon successo in giardino, ma non solo, la cosa che più serve è imparare ad osservare. Sapete che le lucertole sono le più grandi e affidabili propagatrici del cappero? Questi piccoli rettili hanno molte caratteristiche in comune con la pianta.
Entrambi amano il caldo secco, vivono negli incavi degli stessi muri, detestano le giornate di pioggia e amano il sole a picco, ma non solo: le lucertole sono ghiotte dei cucungi, che divorano da maturi espellendone poi i semi “a casa”, proprio in quelle fessure perfette per la buona germinazione. Capite perché insisto sempre nel dire che non ci può esser biodiversità vegetale senza quella animale?