Ho scoperto la bellezza delle orticole in fiore da pochi anni, esattamente da quando sono diventata scambista di semi, e mi ricordo ancora il momento del mio “battesimo” sull’Appennino Ligure in una nevosa giornata d’inverno, durante un “mandillo di semi e saperi”: così si chiamano le manifestazioni underground dove nerd della botanica di tutte le età si incontrano per pianificare i propri orti e giardini. Parto da casa il 31 gennaio con un cielo blu blu blu e 17 gradi, inerpicandomi su una statale bellissima, costeggiata da imponenti castagni nudi, e arrivo a Montebruno con la neve, dopo aver disseminato tutti i 17 gradi per strada, uno alla volta come pollicino, con quasi due ore di auto per soli 66km.
Una follia botanica, una delle tante. Forse la migliore mai fatta. Al mandillo non si vende ma si regala o scambia, e io spacciavo “merce buona”. Tra tutto ciò che portavo con me, sapevo che i semi del sichuan erano piuttosto rari e io ne avevo in quantità, quindi quasi solo con quelli ho fatto tanti scambi, rientrando nel tepore del “mio” Tigullio con un ben-di-Dio botanico e un grande insegnamento: se usi semi naturali, non ibridi, meglio se autoctoni e antichi, ogni anno puoi recuperarli e iniziare la tua piccola banca del tramando. Lo sapevate? Ma torno al principio, raccontandovi perché proprio grazie a quella gita fuori porta ho scoperto quanto un finocchio, una cipolla, un aglio, un cardo siano bellissimi oltre che molto buoni.
Orto in fiore
Al ritorno dal mandillo avevo materiale in quantità e una gran voglia di provare tutto per sperimentare la vera autosufficienza vegetale, quindi piantai più del dovuto per lasciare un paio di esemplari per ogni specie “andare a seme”: si dice così quando si decide di non raccogliere un ortaggio per portare le sementi a maturazione completa. Facendo in questo modo si possono ammirare tutte le fasi di vita di una pianta. Sì, a molti sembrerà scontato ma non lo è per tutti: diverse orticole, se non raccolte per esser consumate, vivono anni, diventando veri e propri cespugli, alcuni di loro di inaspettato effetto ornamentale (chissà poi perché si continua a fare questo distinguo tra orto-buono e giardino-bello…).
Tra le scoperte più recenti c’è proprio il cardo (Cynara cardunculus), pianta che nel pieno del suo vigore diventa un arbusto alto quasi 2 metri, con enormi foglie glauche di rara bellezza. E che, proprio in estate, incanta con la sua fioritura color violetto e grandi boccioli tondi dalla silhouette molto decorativa. Il cardo è davvero multitasking: perfetto in giardino nelle bordure miste in stile inglese o in assolo in un grande vaso, in inverno è anche buono cucinato in padella, gratinato al forno o trasformato in zuppa.
Cardo: chi è?
Pianta molto antica di origine mediterranea, i primi riferimenti certi al cardo sono stati ritrovati nella civiltà egizia. Parente del carciofo ma anche di topinambur, girasole, margherita e crisantemo (appartengono tutti alla famiglia botanica delle Asteraceae), vive bene in tutto il territorio italiano e alcune specie si trovano spontanee in natura. Facile da ospitare, resiste sia alle estati torride e siccitose che ai freddi invernali (anche se non sopporta la vita sotto zero per lungo tempo).
La sua posizione ideale è in pieno sole: solo così ci regalerà una abbondante fioritura, che si farà attendere per un po’ (di solito dal secondo anno di vita) ma durerà per settimane, dispensando bellezza per gran parte dell’estate. In inverno, poi, le coste delle foglie di piante giovani, messe a terra la primavera precedente, sono una vera delizia: io vi consiglio si seminarne una parte per la cucina ed un’altra per il puro piacere di osservare l’evoluzione in tutte le stagioni. Ne basta anche un solo esemplare per abbellire un terrazzo spoglio di un pollice diversamente verde, perché il cardo sta davvero bene con tutti.
Pillola verde: seminare il futuro
Quasi nessuno è più facile da coltivare partendo da seme. Infatti il suo è bello grosso (seme grosso=facile germinazione: non è matematico ma funziona), quindi facile da interrare. Anche per lui vale la regola del “per tre”: va sotterrato ad inizio primavera con una profondità tre volte superiore alla sua grandezza. Una volta attecchito, basta dedicargli qualche piccola cura durante i primi mesi di vita (sta parlando di irrigazione di supporto, specie se in vaso). Il resto lo farà tutto da solo.
Curiosità: amaro QB
Per ottenere foglie più carnose e dolci, in autunno occorre procedere con la sbiancatura, una operazione che consiste nel piegare la pianta delicatamente verso il basso ricoprendola con uno strato di terra per circa 2 settimane prima di esser raccolta. Se il gusto resta ancora un po’ amaro, basta immergere le coste in acqua e succo di limone prima di esser cotte. Questa miscela garantirà anche che si mantengano candide senza ossidare.