Voi lo avete mai mangiato un prato? Perché io, da quando vivo e sperimento botaniche selvatiche ed eduli qui al Giardino Felice, ho trasformato il prato nella mia mensa quotidiana. Raccolgo e cucino erbe spontanee tutto l’anno, ma la ricchezza e varietà di foglie e fiori che trovo in primavera è senza paragoni.

Il sambuco si trova nei parchi cittadini come negli incolti di campagna.

Ho iniziato con il tarassaco, piuttosto facile da riconoscere con le sue foglie dentate disposte a rosetta e i fiori giallo sole, tra i primi a comparire dopo l’inverno: questa botanica mi ricorda mia nonna, un ricordo sfocatissimo ma vivo, che lo raccoglieva per cucinare chissà cosa, in memoria di quel “cibo di sussistenza” di un’Italia post bellica e affamata. Ma era il secolo scorso, e tante cose sono cambiate, anche e soprattutto in tavola.

Cappero. Io li raccolgo sui muri a secco delle strade che portano al mare, ma è una pianta che cresce ovunque, anche in città, ma mai dove la si vorrebbe piantare.

Foraging: mi mangio il prato (non solo) a primavera

Quello che oggi chiamiamo foraging infatti non è che il re-looking in chiave cool della raccolta in campo di erbe selvatiche (mezza frase, tre parole inglesi: chiedo venia, ma lo faccio proprio per far capire che tutto già esisteva prima degli anglicismi e prima di queste mode botaniche post-pandemia). È foraging l’andar per funghi, per erbe e fiori eduli, per radici, bacche, frutti e anche per alghe. È foraging raccogliere nei boschi, negli incolti, nei prati e sulle spiagge. Si può fare foraging in montagna, in campagna, nei parchi fuori città o al mare: ovunque possiamo trovare qualcosa di buono da mangiare.

Finocchietto marino o critmo che si raccoglie sulle scogliere.

Vi piace l’idea? Anche a voi smuove qualche ricordo remoto oppure siete neofiti di questa disciplina vecchia almeno come la storia dell’uomo sulla terra? Perché i nostri antenati, prima della scoperta dell’agricoltura e dell’allevamento, erano in effetti raccoglitori/cacciatori.

Raccolto di erbe e fiori, passando dall’orto e dal giardino.

Riconoscimento in campo: perché servono tutti i 5 sensi

Violette per profumare lo zucchero.

Nonostante il foraging sia una pratica antica come l’uomo, oggigiorno è andata persa come gran parte delle tradizioni popolari. Negli ultimi decenni del secolo scorso “il messaggio” legato alla raccolta nel selvatico riportava ad una vita di sussistenza, povera e con molti limiti, anche alimentari. Per fortuna da qualche anno ci si sta riavvicinando alla cosa, purtroppo però avendone completamente perso i saperi che di solito si tramandavano di generazione in generazione proprio in campo.

Torta salata con mix di erbe selvatiche.

Se si vuole raccogliere occorre conoscere, perché molte delle erbe eduli (ma anche dei frutti, dei fiori…) hanno dei falsi amici velenosi o pericolosi per l’uomo, quindi meglio farsi accompagnare in campo da chi sa, oppure iscriversi ad un corso di riconoscimento per imparare le basi facendo una bella passeggiata in natura: cosa volere di più?

Per iniziare ad informarsi io consiglio di navigare nel selvatico virtuale di https://wood-ing.org, una piattaforma che unisce passione, professionalità, talento e creatività. Un foraging intelligente e conservativo, che fa bene all’uomo e anche alla natura.

I consigli per il foraging di primavera fatto bene

Raccolto quotidiano di erbe spontanee. Il momento migliore è proprio la primavera.

Per chi vuole cimentarsi da subito nella raccolta, approfittando della stagione di grande abbondanza e biodiversità, il consiglio più utile è forse quello di imparare ad usare tutti e 5 i sensi, provando a recuperare quel poco di primitivo che è rimasto in noi:

  • Vista: le piante hanno dettagli infinitesimanente piccoli ma altrettanto importanti. Un fiore giallo a primavera non è necessariamente tarassaco. La minuzia dell’osservazione fa davvero la differenza.
  • Olfatto: ogni botanica ha un suo odore. Quando raccogliete spezzettate tra le mani la foglia, il fiore, ed annusate a piene narici. Il ricordo olfattivo è importantissimo e vi aiuterà nei futuri riconoscimenti.
  • Tatto: toccate, e fatelo con calma. Ci sono foglie lisce come velluto ma anche ruvide, cerulee, succulente, secche, lisce, idrorepellenti… ci sono erbe come la borragine che potrei riconoscere ad occhi chiusi solo usando i polpastrelli.
  • Udito: Si, anche l’udito serve, e non è uno scherzo: se attorno a voi sentite rumori di auto, motori, traffico… allora non siete nel posto giusto, perché occorre sempre raccogliere in sicurezza e lontano da smog o altre fonti inquinanti. Se invece sentite gli uccelli cantare, il via vai di api e bombi…siete dove dovreste essere, in uno scampolo di natura.
  • Gusto: ci siamo, finalmente. Perché ogni erba ha un sapore preciso ed è per questo che le raccogliamo. Ma attenzione, portate alla bocca (per assaggiarle in campo o per mangiarle una volta a casa) solo botaniche che avete già riconosciuto come eduli. Mi raccomando, non vorrei che vi facciate del male (e su questo sono serissima, perché può succedere).

Pillola verde: prima di raccogliere

Preparazione dello sciroppo di sambuco che poi uso per l’Hugo e i ghiaccioli.

Non mi stancherò mai di ripetere che per raccogliere tutto ciò che è selvatico occorre prudenza ed una buona capacità di osservazione, meglio se in campo. Per chi però volesse iniziare ad avvicinarsi all’argomento su di un libro, tra poco potrà farlo al meglio leggendo ed osservando un volume dedicato al foraging, in uscita a fine aprile ma con possibilità di pre-ordine.

Foglie di borragine impanata. Io le sostituisco alle melanzane per una parmigiana invernale.

Erbe spontanee: riconoscerle, raccoglierle e conservarle, edito da Gribaudo, è un glossario illustrato, pratico e molto esaustivo non solo per il riconoscimento delle botaniche in natura ma anche per apprendere le tecniche da utilizzare in campo. Scritto da Wateki Taliana Tobert e dal duo del Bosco di Ogigia – Francesca Della Giovampaola e Filippo Bellantoni – svela i segreti di 40 specie eduli ma non solo: ne mostra i “sosia” con i quali un neofita green le può confondere. E questo è il tema che più mi sta a cuore.

Copertina del libro Erbe Spontanee

Ecco il link per il pre-ordine: (anche se è sempre bello fare un giro in libreria, non trovate?).

Curiosità: c’è un nome per tutto

In italiano si chiama alimurgia, che significa letteralmente “scienza che studia l’utilizzo nel cibo selvatico in cucina”, soprattutto nei momenti di carestia e povertà. Raccogliere botaniche spontanee era infatti parte di una economia di sussistenza necessariamente bucolica, e oggi questo ritorno, oltre al lato glamour, ha forse la stessa natura post-crisi economica.