Mi ricordo ancora di quelle gite sul lago di Como, la domenica mattina di quando abitavo a Milano e il mare mi sembrava troppo lontano per arrivarci in giornata. Proprio come nella canzone di Concato, mi alzavo presto per andare a passeggiare scegliendo a caso dove fermarmi: il Lario allora non era così di moda, e soprattutto sulla sponda lecchese, la più selvaggia, allungavo il collo tra vecchi cancelli di ferro battuto per curiosare e ammirare l’equilibrio tra botaniche spontanee e coltivate.
Proprio in quei luoghi, forse a Onno ma non ricordo, vidi per la prima volta una passiflora (Passiflora caerulea) in fiore, e me ne innamorai.
Non sapevo nulla di lei, nemmeno il nome (allora non si poteva farle una foto al volo e inserirla in Google Lens o nelle App di riconoscimento botanico), ma ero certa che un giorno saremmo diventate coinquiline da qualche parte, non in città. Sognando forte a volte le cose succedono e, qualche decennio più tardi, l’ho ritrovata (questa volta con nome, cognome e tutte le generalità in regola) nel mio Giardino Felice.
Chi lo avrebbe mai detto però che avremmo fatto la guerra per quasi un decennio, prima di continuare ad amarci?
Passiflora: invadente come poche
Quella pianta dal fiore meraviglioso che ora si arrampica -contenuto- su alcune brutte reti delle terrazze rendendole affascinantissime, parente stretta del passion fruit e cibo amato dagli uccelli oltre che da me, mi diede del gran filo da torcere all’inizio della nostra convivenza.
Rampicante dalle liane tenaci ed estremamente elastiche, negli oltre 50 anni di abbandono del giardino prima del mio arrivo -un tempo terreno agricolo adibito a frutteto/vigneto/uliveto- aveva ricoperto tutto e non se ne voleva proprio andare, neppure sotto i colpi sferzanti del decespugliatore che stavo imparando ad usare. Vinceva sempre lei.
Sapevo che sulle terrazze c’erano degli ulivi, li volevo vedere, ma loro giocavano a nascondino sotto la passiflora che ricopriva le chiome come un tappeto mobile e vegetale, talmente fitto da impedirgli di fruttificare.
Ci ho messo anni (di sudore, rabbia, mediazione) per decidere con lei i confini di una buona convivenza, ma ancora adesso quando mi distraggo un po’ se ne approfitta: una vera invadente, anche se per le piante il termine corretto sarebbe invasiva.
Passiflora: per non farsi soffocare
Il segreto, per le piante ma anche per le persone, è conoscere carattere, attitudine e abitudini. Così facendo difficilmente ci si sbaglia. E i difetti possono trasformarsi in punti di forza. Per esempio la passiflora, così tenace, raramente si ammala. Cresce veloce e robusta avvinghiandosi ovunque, in grado di donare bellezza a luoghi di difficile manutenzione. Resiste al caldo torrido (ma non tollera il gelo: al nord in inverno va protetta), al vento, all’arido, alle potature drastiche, all’incuria.
Vive bene al sole e in ombra, in terreni molto diversi, seppur preferisca quelli freschi e ricchi. Se la vorrete ospitare in vaso non vi deluderà per vigore, basta che le diate da bere nella stagione calda e un buon concime a primavera, per aiutarla in pre-fioritura. Ricordatevi che oltre ad esser indipendente è anche molto intraprendente, e viaggia piuttosto veloce: se volete che prenda una direzione precisa, suggeriteglielo in maniera decisa mostrandole la via (possibilmente con dei sostegni sui quali si possa arrampicare).
Pillola verde: gelatina di frutta
I frutti prodotti dalla P. caerulea sono commestibili. Non la bacca arancione (edule, ma insignificante) ma la sostanza violacea e gelatinosa al suo interno, che ricopre i semi scuri. Io la aggiungo a torte e gelati come guarnizione, oppure alle macedonie estive. La uso più che altro per dare colore al piatto, in quanto il sapore è “esotico” ma piuttosto insipido. Per un gusto spiccato e dolce occorre coltivare la specie P. edulis, conosciuta come passion fruit.
Curiosità: il fiore di Gesù
Il nome passiflora deriva dalla forma di alcune parti del fiore: i filamenti a spirale al centro della corolla simboleggiano la corona di spine indossata da Cristo durante la sua passione, mentre i tre stigmi rappresentano i chiodi utilizzati per la sua crocifissione.