Tra le prime botaniche ad arrivare qui nel Giardino Felice ci fu il comune rosmarino (Rosmarinus officinalis, ora rinominato Salvia rosmarinus per complicarci la vita). Per me rappresentava la resilienza tipica di molte piante mediterranee abituate a vivere in luoghi ostili (ventosi, torridi, magri, aridi e salini). Ero davvero convinta, e lo sono tuttora, che fosse un highlander vegetale, visto che sopravviveva pure al pollice nero di mia madre nel suo giardino comasco tutt’altro che mediterraneo.

Moltiplicare le piante rampicanti: la pianta che lo fa da sola

Ma il vero motivo per il quale me ne riempii fu – più pragmaticamente – il suo prezzo: in vivaio costava pochissimo – il mio budget era scarso ma io volevo tanto senza ancora saper moltiplicare – ed era l’emblema di quello che, anni dopo, sarebbe diventato il mio credo in giardino: piante belle da osservare, facili da coltivare, buone da mangiare (e nel suo caso pure molto profumate).

Dopo 10 anni di cure e esperimenti ho decine (dovrei dire centinaia…) di piante di rosmarino, quasi tutte moltiplicate da me mediante talea in acqua o nel terriccio: erano i miei inizi nell’affascinante mondo della propagazione vegetale e anche in questo il rosmarino non deludeva. Ma la vera sorpresa fu quando scoprii che… era pure capace di “farlo da solo”.

Una storia di radici e cordone ombelicale

Rosmarino prostrato, botanica che si propaga bene per propaggine. Sopra, i melograni che invece preferiscono la talea.

Tra i tanti rosmarini, avevo acquistato anche la varietà ‘prostrato’, quello per intenderci che produce lunghi rami tappezzanti o ricadenti. E mentre mi cimentavo a propagarlo tentando talee in ogni stagione, lui si organizzava da solo producendo piccole radici laddove i rami trovassero la giusta situazione (un pochino di terra sciolta, qualche foglia decomposta, della sabbia da edilizia che qui non manca mai per i perenni lavori in corso).

Radici che poi, nelle giuste condizioni, si sviluppavano a tal punto da creare nuove piante indipendenti dalla madre: il mio lavoro era solo tagliare il cordone ombelicale.

Scoprii più tardi che questa tecnica moltiplicativa si chiama propaggine ed è tipica delle piante con rami sarmentosi (lunghi, flessuosi) come glicine, vite, passiflora, clematis, rincospermo, bignonia e gelsomino.

Moltiplicare le piante rampicanti: come fare

Sebbene moltiplicare per propaggine sia una operazione davvero semplice, c’è un vincolo insormontabile: la nuova pianta deve restare attaccata alla madre per alcuni mesi, perché il ramo in radicazione funge anche da cordone ombelicale in grado di fornire tutti i nutrimenti fino a che non sarà autosufficiente. Solo allora si potrà staccare e trapiantare altrove. Non si può fare quindi prelevando parti di piante di amici o trovate in natura, cosa invece possibile quando si usa la tecnica della talea.

Le prime radichette avventizie di una propaggine eseguita su un rosmarino prostrato.

Per fare una propaggine basta scegliere un ramo sano e dirigerlo verso il suolo, interrandolo per qualche centimetro (eventualmente aiutandosi con dei piccoli ganci o forcine). Il ramo deve fuoriuscire dal punto di contatto col terreno sia dal lato “pianta madre” che in direzione opposta: proprio quest’ultimo segmento diventerà la nuova pianta.

Jasminum primulinum al quale ho appena staccato il cordone ombelicale dalla pianta madre.

Fatto ciò, basta aspettare. Nel giro di qualche mese la porzione di ramo interrata produrrà delle radici in prossimità degli internodi. Radici che saranno in grado di nutrire in autonomia la nuova botanica pronta ad esser travasata solo dopo aver tagliato il ramo che ancora la connette alla pianta madre.

Per rendere più pratica l’operazione, io preparo la propaggine direttamente in un vaso e non nel suolo, così non devo poi travasare correndo il rischio di rovinare le nuove radici ancora delicate.

Pillola verde per moltiplicare le piante rampicanti: taglio amico

Bignonia rosa e, sullo sfondo, Rincospermo. Entrambe adattissime alla tecnica della propaggine.

Per aiutare la radicazione si può decidere di incidere il ramo con una lama sterilizzata ed affilata proprio in prossimità del nodo interrato. Da quella piccola ferita usciranno le radici, dette avventizie.

Curiosità: riproduzione asessuata

Passiflora caerulea, adattissima alla propaggine come tutte le altre specie di passiflora.

Oramai lo sappiamo, le piante possono fare molte cose. Possono muoversi, attraverso gli stoloni ma anche grazie a vettori in grado di trasportare lontanissimo il loro seme (animali, persone, vento o acqua); possono comunicare tra loro, scambiandosi vicevolmente informazioni, spesso di pericolo. Possono vivere senza terra, senza acqua o immerse completamente in quest’ultima, a volte anche se salina; possono perfino decidere come riprodursi, scegliendo tra via sessuata o asessuata. Nel primo caso il polline trasportato da animali o vento raggiunge l’ovario di un fiore che diventa frutto e produce semi. Dalla germinazione di questi ultimi verranno a crearsi nuove piante che non necessariamente saranno identiche alla pianta “madre” (proprio perché, come per noi umani, c’è coinvolto un altro genitore).

La Clematis, coi suoi rami sarmentosi, ben si presta ad esser propagata con questo metodo.

La riproduzione asessuata o vegetativa permette invece ad alcune specie di “farlo da sole”, producendo cloni identici alla pianta madre. La propaggine, come la talea o la moltiplicazione di tuberi e rizomi, fa parte di quest’ultima opzione.