Upcycling con l’intreccio: lo zen botanico da portare ovunque
Inizio da un ricordo tragico per trasformarlo poi in un fatto bello: voi cosa facevate durante le lunghe ora a casa, durante la pandemia? Eravate del gruppo farine&lieviti oppure maglia&crochet? Io ho avuto la fortuna immensa di non vivere questo dramma detentivo, perché “casa”, da me, è il mio Giardino Felice.
Mi ricordo quella primavera come la meteorologicamente più bella degli ultimi dieci anni, cioè da quando sono qui. E durante tutti quei mesi di paure ed incertezze, ho avuto modo di vivere all’aria aperta, lavorare, seminare, trapiantare, progettare, far talee, studiare… Mi sono salvata, come sempre più spesso mi succede, grazie all’aiuto di piante e fiori. E da allora ho deciso di cambiare vita e vivere qui (se vi va, trovate la storia al completo nelle pagine del mio romanzo autobiografico, L’erba corre quando vuole: diario di campagna di una donna di città). Ma avevo ancora molto tempo libero, e così tanto a disposizione, prima, non l’avevo mai avuto.
Quindi ho iniziato -anche- ad intrecciare!
Io e l’upcycling – intreccio: amore vero
Avevo visto, passeggiando distrattamente su Instagram, qualche account di persone che avevano ripreso questa tradizione manuale in disuso, gente che intrecciava per lavoro, per passione, per insegnare e tramandare un vecchio lavoro, per creare vere e proprie opere d’arte. Insomma, c’era un po’ di tutto in rete, e allora mi sono detta: perché no? Così -mi ricordo come fosse ieri- ho preso le cesoie, un cesto di vimini non ancora fatto da me, e ho iniziato a passeggiare in giardino e poi nel boschetto, alla ricerca di botaniche che “a naso” potessero funzionare, e a farmi un piccolo campionario vegetale del tutto sperimentale, perché allora non avevo proprio idea di cosa potesse servire o esser giusto, di come si faceva e perché. Per fortuna ho iniziato in una maniera così naïf, altrimenti non avrei mai provato piante, steli, rami e foglie “non tradizionali”.
Da quella primavera non ho più smesso di intrecciare, e ora le mie mani si muovono in automatico. Adesso lo faccio per lo più in inverno, usando gli scarti di potatura e di pulizia del giardino e facendolo in casa, quando scende il sole e debbo lasciare il campo buio per rientrare nella mia grotta, riscaldata e illuminata dal camino a legna. Non ho più smesso e continuo a farlo con piacere: è uno dei pochi gesti che riesco ad abbinare ai pensieri.
Do it yourself: cosa intrecciare?
Con un po’ di tempo, molta fantasia e l’accettazione che si può e si deve anche sbagliare, con l’intreccio si possono creare tantissimi manufatti differenti. Dipende da cosa ci piace, che materiale abbiamo a disposizione e quanto manuali siamo.
Io ho iniziato facendo trecce che poi sagomavo in formine da appendere sotto al patio: leggere e completamente integrate al paesaggio, mi piaceva vederle muovere al vento. Poi piccoli cesti, tovagliette per la tavola, cesti sempre più grandi e strutturati, copri vaso, ante per i mobili da esterno, perfino alcune porte tra le quali quella del nuovo pollaio…
Scuola: ad ognuno il suo cesto, anche online
C’è chi, come a me, piace esplorare da autodidatta prima di approfondire in maniera mirata, e chi invece preferisce esser seguito passo-passo, magari perché ha poco tempo e vuole ottimizzare, oppure semplicemente è più insicuro e preferisce esser accompagnato.
Ora ci sono diversi corsi e workshop di cesteria, anche e soprattutto nelle grandi città, perché il bello di questa pratica è che si può fare ovunque e non occorre avere un giardino per potersi approvvigionare di materiale, quello si può acquistare.
Esistono anche corsi online, come quello che Giacomo Pisanu, mastro cestaio di Cesteria Facile, organizza più volte l’anno, semplificando per altro di molto la vita dei corsisti, perché spedisce direttamente a casa uno starter-kit con tutto l’occorrente per incominciare e li segue poi passo passo ma da lontano.
Altro guru nostrano è Nico Solimano, sostenitore dell’intreccio “in presenza”. E per rendere possibile questo suo sentire, gira in tutta Italia portando il suo motto “anche nonno li faceva”.
Pillola verde: le specie più adatte all’intreccio
Nonostante i maestri cestai indichino specie di piante ben precise per ogni tipo di progetto, io vi consiglio di provare con ciò che avete: sarà quella specifica botanica ad ispirare e guidare il vostro lavoro. Quindi lasciatevi trasportare da ciò che, letteralmente, avrete tra le mani (magari non chiedendo ad un filo d’erba di reggere come fosse un ramo).
Le essenze più usate in cesteria sono salice e nocciolo, anche se in ogni territorio -nel passato- la gente intrecciava i rami flessibili delle piante che aveva intorno, spesso dopo la potatura. Qui in Liguria, per esempio, la tradizione vuole l’ulivo protagonista di piccoli e grandi cesti, comprese le gerle da lavoro.
Io continuo a sperimentare un po’ con tutto, e i risultati migliori li ho avuti con botaniche davvero inaspettate come l’Ipomea per i piccoli cesti, perché flessibile, elastica ed estremamente duttile, anche se un poco effimera, oppure le foglie di yucca, di palma: loro sono al contrario molto durature perché molto spesse e fibrose.
Curiosità su upcycling e intreccio
Ci sono persone che intrecciano qualsiasi filo d’erba, anche quelli apparentemente più fragili e delicati, trasformandoli in vere e proprie opere d’arte. Se siete a caccia di idee ma soprattutto di tanta, tanta bellezza, immergetevi nei lavori di Nicole Robins, una artista australiana pluripremiata che crea pezzi “da museo”.