Secondo una ricerca della Ellen MacArthur Foundation, la produzione di abbigliamento continua ad aumentare, raddoppiando negli ultimi 15 anni, mentre il numero medio di volte in cui indossiamo gli indumenti è diminuito del 36%. Ma se usarli più a lungo bastasse per ridurre l’impatto della moda sul Pianeta? Un po’ come un effetto farfalla, per il quale piccole variazioni iniziali producono grandi variazioni a lungo termine, una semplice azione determina il futuro. Allora, ecco le novità green che la moda ha messo in campo negli ultimi tempi, cosa sta succedendo e cosa puoi fare tu.


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– Made for a Woman della designer Eileen Akbaraly è un brand equo-solidale che in Madagascar produce meravigliosi abiti
e accessori di rafia.

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– Marché Noir del designer togolese Amah Ayivi
fa rivivere capi dismessi.

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– La felpa della selezione sostenibile di Emporio Armani.

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– Le sneakers Open for a Change di Valentino.

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– Upcycled by Miu Miu rielabora pezzi vintage.

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– H&M Spring Statement è fatta con materiali riciclati o da fonti sostenibili.

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– Su Gucci Vault, trovi pezzi vintage Gucci.

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– Vinted, piattaforma per l’acquisto e la vendita di abbigliamento usato e vintage.

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– La collezione sostenibile Iso.Poetism premiata da Zalando.

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– DressYouCan è un un servizio di noleggio di abiti.

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– Una proposta su Vestiaire
Collective, la app di moda di seconda mano.

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– Un modello vintage sartoriale di Elle Remodelista.

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– Il recupero fatto da Icon-Up di Salvatore Ferragamo.

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– Il recupero fatto da Icon-Up di Salvatore Ferragamo.

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– Zara è uno degli esempi di fast fashion che si impegna a produrre moda con criteri sostenibili.

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– The RealReal offre usato di lusso.

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– La collezione Ecomachia di Gilberto Calzolari riutilizza capi militari anni ’40.

Le scelte sostenibili dei big

Le maison puntano sempre più sui loro archivi, un capitale culturale che ne definisce l’identità e dà inesauribile ispirazione. E così, ecco il progetto Icon-Up di Salvatore Ferragamo, che rinnova scarpe recuperate al termine del loro ciclo di vita, reinventa cinture da scarti di produzione, recupera sete da prodotti in giacenza. Gucci Vault, il portale-concept-contenitore voluto da Alessandro Michele, ha pezzi vintage e di seconda mano by Gucci riportati all’antico splendore o rieditati. E poi ci sono gli 80 abiti di Upcycled by Miu Miu, creati con capi d’epoca non firmati che vengono ripristinati, rimodellati e decorati a mano.

Il concept R–EA Recycled Emporio Armani è incentrato sulla rigenerazione: ogni tessuto è certificato, i filati sono realizzati in Italia, il cotone è organico, il packaging compostabile. Con Open for a Change, invece, Valentino rivisita le iconiche sneakers Open e Rockstud Untitled con materiali derivati da mais e poliestere riciclato, mentre Stella McCartney, pioniera della moda sostenibile, usa pelle vegetale ricavata dai funghi (imitata da Hermès!).

Del resto, la richiesta è in aumento: il report di Lyst conferma un +178% di visualizzazioni delle pagine dedicate alla pelle vegana nel 2021 e un aumento del 38% delle ricerche per capi in materiali a base di funghi. E poi c’è Marine Serre, stilista francese amata dalle star: la nuova collezione, realizzata con il 45% di filati riciclati e il 45% di materiali rigenerati, offre abiti fatti con sciarpe di seta riciclata, spugne rigenerate in giacche, gonne e stivali, cappottini nati da tovaglie.

Il fast fashion fa sul serio

Anche i colossi del pronto moda, sempre nel mirino delle autorità e sotto osservazione da parte dei clienti, stanno mettendo a punto iniziative efficaci. H&M ha affiancato al progetto di raccolta di abiti usati lo strumento Circulator, con cui analizzare tutte le fasi del processo creativo dei capi, dall’aspettativa del ciclo di vita ai materiali. L’attenzione ai tessuti si intensifica: viscosa sostenibile, poliestere riciclato, tencel e cotone bio predominano. Il packaging usa solo sacchetti di carta certificata FSC (Forest Stewardship Council), i cui profitti vengono devoluti a WWF Italia.

Nella Collezione Committed di Mango ogni capo contiene almeno il 30% di fibre sostenibili certificate ed è prodotto con processi che risparmiano acqua, usano energie rinnovabili, riducono i prodotti chimici. L’obiettivo del gruppo spagnolo è il 100% di capi con proprietà sostenibili entro l’anno. Zara e i marchi Inditex mirano a usare solo tessuti riciclati o bio entro il 2025, eliminando la plastica monouso entro il 2023 e usando energia rinnovabile per negozi e magazzini. Lo standard “Join Life” identifica i capi realizzati con materiali e processi sostenibili: entro l’anno interesserà il 50% della produzione.

Un nuovo trend

Scovare piccoli brand virtuosi va di moda. Sempre più piccole aziende e start-up investono impegno e risorse per il bene del Pianeta. Abbiamo imparato a cercare, sostenere e condividere nuovi talenti come quello di Gilberto Calzolari, che ha chiamato la sua collezione “Ecomachia”, battaglia ambientale, trasformando autentici capi della Seconda guerra mondiale in abiti romantici. O Avavav, brand fiorentino che usa solo tessuti dismessi o riciclati da aziende toscane.

È toscano anche Elle Remodelista che, con la sua sapienza sartoriale, trasforma capi vintage in pezzi unici. E ancora: le giacche di Nasco Unico sono fatte a mano con materiali di recupero; i tailleur di T-Earth prodotti dall’azienda Tonello sono di seta ottenuta da bachi che completano il proprio ciclo di vita naturale, lasciando il bozzolo come falene e nutrendosi in una piantagione di ricino che vive di sola acqua piovana. L’elenco è infinito quando si va a caccia di novità e capita di imbattersi in storie controcorrente. Come quella di Amah Ayivi, stilista del Togo, fondatore della showroom parigina Marché Noir. In Francia è uno dei couturier vintage più apprezzati, capace di creare un impero partendo da un problema sociale e ambientale: quello degli scarti dell’abbigliamento dell’Occidente. Ogni anno la gente dona abiti usati a diverse organizzazioni: molti vengono dati ai bisognosi, un’altra parte viene venduta in Africa e Asia. Qui, nei grandi mercati dell’usato Ayivi acquista capi vintage, li riporta in Europa e li trasforma in ricercate creazioni.

Il binomio perfetto: riuso, rivendo

Secondo una stima di Fashion for Good, il consumo di abbigliamento entro il 2030 salirà del +65%. E l’impatto sul Pianeta sarà notevole. Ecco perché urge imparare a non sprecare e considerare le nuove pratiche una sana abitudine. Come la compravendita di capi usati (o “pre-loved”, più poetico): quello che non ti piace più può essere la gioia di qualcun altro, e farti guadagnare. Il trend è in forte crescita: pensa al successo di Vinted, piattaforma per l’acquisto e la vendita di abbigliamento usato e vintage, che con i suoi 50 milioni di utenti sta spopolando in tutto il mondo.

Per la capsule collection che nasce dal programma di upcycling ReCollection di The RealReal (usato di lusso online), invece, sono stati coinvolti grandi marchi: grazie agli artigiani di Atelier & Repairs, realtà di Los Angeles specializzata in moda circolare, si dà nuova vita a capi firmati, rovinati e destinati al macero.

Vestiaire Collective è la prima app di moda di seconda mano al mondo con certificato B-Corp che ne attesta l’impegno a mantenere i più elevati standard ambientali e sociali. Zalando ha lanciato un programma di sostenibilità e circolarità in tre mosse: progettazione, uso (dallo scorso ottobre a Berlino offre servizi di cura e riparazione) e riuso, attraverso la possibilità di acquistare articoli pre-loved.

Se sei furba, noleggia

Altra pratica lanciata dalla Gen Z: curiosare, soprattutto in vista di occasioni importanti, tra le piattaforme di fashion renting alla ricerca di pezzi griffati da sfoggiare e restituire. Tra quelle italiane, DressYouCan offre un servizio di noleggio di abiti e accessori di alta moda per 4 giorni, con sanificazione, copertura assicurativa, spedizioni, orli e tintoria inclusi; Drexcode è specializzata in abiti da cerimonia che puoi acquistare a un prezzo d’occasione dopo l’affitto; Pleasesdontbuy, servizio del brand Twinset propone abiti da cerimonia, che puoi visionare sul sito e provare in boutique prima di noleggiarli. Rent Fashion Bag è invece dedicato all’affitto di borse dei grandi designer: i prezzi variano e chi si abbona ha uno sconto. Eppure, anche qui c’è da riflettere.

Uno studio pubblicato da Environmental Research Letters ha valutato che, fra trasporto e lavaggio a secco dopo ogni servizio, la moda in affitto non è così salutare per l’ambiente. Ci vorrebbero anche qui linee guida come quelle che regolamentano il “Diritto alla riparazione”, entrato in vigore lo scorso anno in tutti i paesi dell’Ue. È l’opportunità (per ora offerta a chi acquista elettrodomestici) di poter effettuare una riparazione invece di essere costretti a rottamare un prodotto seminuovo e comprarne un altro. Se questo diritto fosse esteso anche alla moda, i brand dovranno offrire una garanzia su zip che si rompono, bottoni che saltano, cuciture che si scuciono e provvedere alla riparazione.

Insomma, il panorama di iniziative virtuose è vasto, interessante, lungimirante, creativo. In un mondo in cui si scarta e si inquina sempre di più, gesti come recuperare con amore, restituire valore, riusare con estro aiutano a non dimenticare il passato. Ma soprattutto ad andare incontro al futuro consapevoli – come quelle famose farfalle – di stare facendo ognuno la propria, importantissima parte.

La moda sostenibile in cifre

è la posizione dell’Italia nella top 10 di crescita della moda sostenibile secondo Lyst. La green fashion cresce a velocità diverse: in testa c’è la Danimarca (+114%), seguita da Australia (+110%), Germania, Spagna, Francia e Canada. Noi siamo al 20%.

63% è la percentuale dei consumatori che nel 2020 ha scelto prodotti sostenibili, valutando, per le proprie scelte di acquisto, gli sforzi ambientali e sociali dei brand. Nel 2019, sostiene l’Osservatorio Millennials e Generazione Z di PWC Italia, erano solo il 29%.

-1% è la quota di tutti i prodotti tessili nel mondo che, secondo la Fondazione Ellen MacArthur, vengono riciclati in nuovi prodotti. Troppo poco.

8,25 miliardi di dollari è il valore che il mercato del fashion green potrebbe raggiungere nel 2023, arrivando a quota 9,81 miliardi nel 2025 e a 15,2 nel 2030. Lo sostengono le ultime ricerche di PWC Italia.

663.000 le tonnellate di rifiuti tessili prodotti ogni anno in Italia e destinati a discarica o inceneritore e che, in gran parte, potrebbero essere riutilizzati (dati Ispra). P.S. Sai che dal 1° gennaio 2022 la raccolta differenziata del tessile è obbligatoria?