Giardiniera selvatica

Chi lo avrebbe mai detto che, come giardiniera ma anche come essere umano libero da (pre)giudizi, sarei “maturata” grazie a lei, l’Ipomea? Detto così sembra sibillino, ma in realtà da questa pianta rampicante, come del resto da tutte le botaniche, c’è tanto da imparare per sopravvivere in giardino o nella giungla metropolitana. Quando adottai il mio pezzo di terra saggio e molto selvaggio, quello che ora, dopo anni di studio reciproco, fatica e sudore, tentativi più o meno riusciti, cambi di idee, di progetti e di vita posso finalmente chiamare Giardino Felice, ancora non sapevo che -se guardata con occhi puri- ogni singola pianta esprime un mondo estetico tutto suo: basta fermarsi ad osservarla fino a quando se ne comprende la potenzialità (estetica e di resistenza, ma molto più spesso di entrambe le cose insieme).

Ipomea
Dettaglio del mio Giardino Felice

Letture sagge di giardinaggio

Da neofita green un po’ bacchettona dividevo ancora il mondo botanico in specie ornamentali, eduli, orticole, spontanee, invasive… e non facevo altro che vedere “erbacce” ovunque: in giardino, sui muri a secco, nelle creüze attorno a casa, persino sui marciapiedi di città. Poi ho avuto la fortuna di incrociare letture sagge (Pia Pera, Stefano Mancuso, Gilles Clément, Oliver Filippi ma potrei continuare a lungo, se vi interessa approfondire leggete qui, e paesaggisti illuminati, persone molto più attente e rispettose del Genus Loci che dell’ego progettuale. Tra tutti Marco Bay e Antonio Perazzi ai quali ho imparato direttamente e indirettamente: lo ripeto, spesso basta osservare. Grazie a loro e a tanta -tantissima!- esperienza in campo ho capito che classificare è una esigenza puramente umana: la natura vive e basta, e spesso lo fa in modo armonico senza stilare elenchi di buoni e cattivi, giusti e sbagliati. Lei si regola, e le viene molto meglio se noi non interveniamo affatto.

Ipomea che cresce su un oleandro

Ipomea: una meravigliosa storia d’amore

Ma veniamo all’Ipomea, e a come la mia relazione con lei sia iniziata male, basata su luoghi comuni, per trasformarsi poi in una meravigliosa storia di amore, di bellezza, di resistenza. Ma soprattutto di intelligenza: usare quello che si ha creando valore. Ho passato i primi anni (e non vi dico quanti perché un po’ me ne vergogno) ad estirpare “erbacce”. Sì, chiamavo così, con disprezzo, tutto ciò che la natura mi offriva in maniera esuberante e senza chiedermi il permesso. Ma chi ero/chi sono io per poter decidere chi ospitare nel mio Giardino Felice?

Il terreno era ricoperto dalle classiche infestanti mediterranee:

  • Passiflora (Passiflora caerulea). Si, quel fiore meraviglioso che ora si arrampica -contenuto- su alcune brutte reti delle terrazze rendendole affascinantissime, parente stretto del passion fruit e cibo amato dagli uccelli oltre che da me, in piccole quantità.
  • Rovo selvatico (Rovus ulmifolius) che ora vive sereno in una grande colonia al confine sud del giardino creando una recinzione naturale oltre che una fonte di frutta (le more) per tutti e per tutta l’estate.
  • Infine lei, l’Ipomea (Ipomea L.), che con la sua esuberanza aveva ricoperto tutti gli ulivi abbandonati da decenni, privandoli di luce ma adornandoli di enormi fiori a campana che dal blu intenso del mattino mutavano poi all’azzurro fino a richiudersi color violetto la sera.

Le mie giornate nel Giardino Felice

Passavo le mie giornate a decespugliare, strappare, sudare: accecata dall’emergenza (leggi: un bisogno di ordine che era -col senno di poi- una necessità più mia che del mio giardino). Ma lei, l’Ipomea, era più veloce di me. Questa pianta infatti cresce diversi centimetri a settimana, produce centinaia di fiori dalla tarda primavera fino ai primi freddi, si arrampica per metri fino a quando ha un sostegno e poi, inarrestabile, continua la sua crescita ricascando nel vuoto… sempre felice, sempre fiorendo e rifiorendo. Poi un giorno, forse più stanca che consapevole, l’ho guardata per la prima volta con occhi “nuovi”, liberi da pregiudizio: mi ricordo ancora dove fossi seduta, mi ricordo ancora che le dissi: “quanto sei bella”.

Dettaglio di fiore e foglia

Ipomea: la grande bellezza rampicante

L’Ipomea, che da me cresce spontanea da prima che io arrivassi, è in effetti una pianta ornamentale proposta nei vivai in diverse varietà (se volete comprarla online guardate qui, io amo questo luogo fisico e virtuale per la selezione ricercata: https://www.ladredipiante.com/vivaio/ipomea-violacea). Coltivata o spontanea, il carattere resta quello:

  • Rigogliosa rampicante che ama il sole, ma un po’ come la Clematis le piace tenere il “piede” in ombra, specie se ospitata in vaso.
  • Predilige il clima mite e se alloggiata in un luogo riparato mantiene le foglie anche in inverno (altrimenti perderà la sua parte aerea ma non preoccupatevi, al primo tepore ricaccerà più svelta di prima). Resiste comunque a temperature anche leggermente inferiori allo zero.
  • Non ha bisogno di innaffiature né concime se piantata a terra. In vaso invece occorre aiutarla un po’, ma solo in primavera con un buon concime organico e nei mesi più caldi con qualche innaffiatura serale.
  • Si riproduce da sola, o meglio, la pianta “cammina” attraverso gli stoloni (fusti striscianti che emettono nuove radici sul terreno, arrivando a tappezzare aree di grandi dimensioni).
  • Produce fiori senza sosta (se la vostra non lo fa controllate la sua posizione, evidentemente gode di poco sole oppure il terreno -o il concime- è troppo ricco di azoto che favorisce la crescita fogliare e non floreale).
  • Non subisce attacchi di parassiti, non si ammala mai, non ha (quasi mai) bisogno di noi. E’ la perfetta coinquilina.
  • Assume portamento rampicante se vicina ad un muro/albero/sostegno, altrimenti la potete trasformare in tappezzante (laddove non ci sia calpestio) oppure cascante, con splendide ricadute verdi puntinate di vistose campanelle azzurre, viola o blu.
Ipomea
L’Ipomea si arrampica facilmente su muri e corde

Pillola verde

L’Ipomea è anche chiamata “Morning glory” (gloria del mattino), perché i fiori si aprono all’alba mostrando tutta la loro sfacciata bellezza, per poi richiudersi già nel pomeriggio. Bellezza che però è effimera: durano pochissimo sulla pianta, ma per fortuna la fioritura è ininterrotta e copiosa per tutta la bella stagione. Purtroppo le corolle campanulate non resistono da recise: io ne raccolgo qualcuna a fine estate per farle essiccare come nei vecchi erbari per poi usarle per decorare buste e pacchi di natale ma anche -più semplicemente- per approfittare anche in inverno della loro bellezza.

Curiosità 1: per non sballare

Bella, solare ma al tempo stesso “tenebrosa”: i semi dell’Ipomea contengono un principio attivo dalle proprietà allucinogene/psichedeliche con effetti simili all’LSD. Visto che lo “sballo” dipende sia dalla dose che dalla varietà botanica, meglio (molto meglio!) non scherzare: già con 2/4 semi ingeriti si possono riscontrare effetti psicotici pericolosi per la salute.

Curiosità 2: piccoli intrecci felici

Oltre ad esser belli e a crescita rapida, i fusti di Ipomea sono anche molto flessibili e resistenti: io li uso per intrecciare piccoli cesti, corde o formine decorative che abbelliscono il giardino e col tempo si degradano naturalmente, tornando alla terra senza inquinare. Se volete saperne di più su come fare, scrivetemelo qui così posso preparare un reel ad hoc sui miei intrecci fatti a mano e imperfetti.

Ipomea
Decorazione fatta con fusticini di Ipomea intrecciati