Una delle ultime tendenze in fatto di moda è aderire a una causa sostenibile e solidale. Sono sempre di più, infatti, le aziende tessili che hanno deciso di portare avanti il proprio lavoro abbracciando una filosofia il più possibile positiva e rispettosa di ambiente e forza lavoro.
A farlo sono sia i grandi marchi che le catene di fast fashion, le ultime a convertirsi, se pur parzialmente, a questa nuova visione imprenditoriale.
Ogni realtà ha scelto un modo differente per dare il proprio contributo e ciò ha portato alla nascita di tantissimi termini, sui quali a volte può essere difficile orientarsi. Ecco quindi un piccolo riassunto dei più comuni, utile da tenere in considerazione al prossimo giro di shopping.
Cosa significa moda sostenibile
Un’azione, per essere sostenibile, deve impattare il meno possibile sulla natura e l‘ambiente circostante. Deve cercare cioè di non inquinarlo o di farlo solo marginalmente, di non prosciugarne le risorse e di rispettare l’intero ecosistema. Questo concetto può essere applicato ad ogni ambito e la moda non fa eccezioni.
Per potersi definire tale, la creazione di un capo deve rispettare l’ambiente e la società in tutte le sue fasi: dall’ideazione alla scelta dei tessuti e alla produzione, fino al trasporto e alla distribuzione nei punti vendita.
Le materie prime, ovvero i tessuti, solitamente sono naturali (anche se non è obbligatorio), mentre lavorazione e tintura non devono essere chimiche, questo sì per forza.
Altro punto fondamentale è la riduzione degli sprechi in ogni passaggio, ovvero il contenimento di costi di elettricità e acqua, oltre che l’uso consapevole di quest’ultima.
Anche il rispetto dei lavoratori che realizzano i vestiti è tenuto in grande considerazione: per questo nessuna fase contempla sfruttamento di manodopera e prevede condizioni di lavoro umane e pagamenti equi.
Infine, i capi sostenibili dovrebbero essere i più duraturi possibile visto che più un vestito resiste al passare del tempo, meno sarà necessario comprarne uno nuovo.
Cosa significa moda ecologica e biologica
Ogni volta che questi termini vengono utilizzati nelle pubblicità nel campo della moda, il rischio è quello di confonderli con la sostenibilità.
In effetti, i concetti molto spesso si accavallano, ma esistono differenze sostanziali che è fondamentale conoscere.
Un vestito ecologico è fatto con materiali dal basso impatto ambientale. Questo significa che i tessuti sono rigorosamente naturali, riciclabili e, a volte, riciclati e biodegradabili o compostabili. Non solo. Vuol dire anche che nella loro lavorazione e tintura non vengono usati pesticidi sintetici o sostanze chimiche dannose. A volte, soprattutto nel caso del cotone, il raccolto e lo smistamento vengono fatti a mano.
Per essere definito biologico, invece, un abito deve sottostare a tutti i parametri di quelli ecologici, ma non basta: i materiali devono provenire da agricoltura biologica.
Esistono, infine, abbigliamenti vegan, cruelty free o animal free, ovvero in possesso di una certificazione che testimoni l’assenza di materiali di origine animale o il non sfruttamento degli animali stessi.
Cosa significa moda etica o equo-solidale
Questi termini si riferiscono non all’abito in sé, ma alle condizioni di lavoro di chi si occupa di ogni fase della filiera, dalla produzione alla distribuzione.
Per ricadere nella categoria etica, un’azienda deve quindi adempiere ad alcuni obblighi e regole volti al benessere del lavoratore. Deve inoltre garantire un’interazione rispettosa, una giusta paga e l’eliminazione di ogni forma di sfruttamento.
L‘abbigliamento equo solidale, invece, prevede che la produzione o la vendita al dettaglio sostengano associazioni benefiche, Onlus o Ong che si occupino dello sviluppo sociale di una comunità svantaggiata o di un Paese in via di sviluppo.
Spesso si tratta di piccole realtà artigianali.
Cosa ci dicono le etichette
Se per quanto riguarda gli alimenti siamo molto più abituate a prestare attenzione alla loro composizione prima di portarli a tavola, in fatto di abbigliamento la maggior parte di noi è sicuramente più superficiale.
Leggere le etichette di un vestito o una maglietta prima di aggiungerli al nostro carrello, reale o virtuale che sia, è invece molto importante. Una volta fatto, tuttavia, saperle decifrare non è altrettanto immediato. Ecco quindi le sigle più comuni, corrispondenti a certificazioni ben precise.
Una delle più diffuse è Oeko-Tex standard 100, che certifica la sicurezza del capo da indossare, dal punto di vista chimico.
Se volete comprare qualcosa i cui tessuti siano realizzati con fibre provenienti da agricoltura biologica dovete cercare il certificato Gots (Global Organic Textile Standard).
Il GSR (Global Recycled Standard) garantisce che il prodotto in questione sia composto almeno dal 20% di materiale riciclato, mentre il BCI (Best Cotton Initiative) spiega che la fibra è stata coltivata nel rispetto dell’ambiente e dello sviluppo.
Non manca un occhio di riguardo agli animali. Responsible Down Standard attesta che le piume provengano da allevamenti in cui il benessere degli ospiti è garantito.
Importantissimo anche controllare il Paese di realizzazione del capo. Per quanto questo da solo non garantisca il rispetto di certi parametri, sicuramente stando alla larga da alcuni Paesi è molto più probabile non incorrere in abiti non proprio green.