“Siamo quello che mangiamo”. Un detto che, in fatto di alimentazione sostenibile, ha ragione da vendere: per condurre uno stile di vita a basso impatto ambientale dovremmo optare per alimenti sostenibili la cui produzione non depauperi le risorse naturali e produca la minor quantità di scarti e rifiuti possibile. Ma sappiamo davvero riconoscere quali sono i cibi meno sostenibili nel marasma di opzioni che ci dà lo shopping da scaffale? Certo, capire che il mango e la papaia giunti nel supermercato sotto casa per via aerea dal Brasile non sono campioni si sostenibilità è un gioco da ragazzi, ma come la mettiamo con quegli alimenti sibillini che sembrano” healthy – eco – green” ma si rivelano una spina nel fianco per la sostenibilità? Proviamo a fare chiarezza.

Quali sono i cibi non sostenibili che sarebbe meglio limitare

La strada da percorrere per alimentarsi in maniera del tutto sostenibile è lunga e potrebbe essere parecchio impervia. Per questo, una volta scoperti i cibi meno sostenibili in assoluto, è consigliabile attuare una doppia strategia: da un lato limitare fortemente gli ingredienti poco sostenibili che però considerate irrinunciabili e, dall’altro, eliminare quegli alimenti “di corredo” dei quali potete fare a meno senza battere ciglio. Ma c’è una terza via: spesso, per contenere l’impatto ambientale di ciò che si mangia, è sufficiente scegliere meglio facendo luce sul metodo di produzione: l’avocado messicano è poco sostenibile, quello siciliano lo è molto di più.

In generale i cibi non sostenibili sono quelli che:

  • vengono profondamente trasformati a livello industriale (ultra processati) sfruttando in maniera estesa le risorse idriche ed energetiche
  • producono, nelle fasi di lavorazione, emissioni nocive e imballaggi non riciclabili
  • provengono da colture estere e necessitano di un trasporto oneroso in termini di impronta ecologica
  • si trovano in commercio fuori stagione
  • sono il risultato di una catena di produzione poco etica che ha inizio con l’allevamento intensivo e con metodi di agricoltura poco rispettosi del suolo e dell’ecosistema in cui si inseriscono
  • provocano ripercussioni ambientali e sociali negative nei paese dove sono prodotte

La lista dei cibi meno sostenibili

Scendendo più nel dettaglio elenchiamo una lista di cibi poco sostenibili che sarebbe meglio limitare o per i quali è necessario approfondire molte variabili, dalla produzione della materia prima all’imballaggio, passando per il trasporto.

1- La carne

Sono molti gli studi che confermano l’insostenibilità della carne per via del consumo di terra, di acqua ed energetico che comporta la sua produzione ma anche per le sostanze reflue e le emissioni degli animali stessi. Chi sceglie di non eliminarla può ridurre il suo consumo a una o due porzioni a settimana cercando di acquistare da allevamenti ecologici e possibilmente locali.

2- I latticini

Lo stesso discorso fatto per la carne vale per i latticini: la dose da non superare secondo il decalogo di Greenpeace sul cibo sostenibile del 2019 è di 600 grammi a settimana. L’indicazione è di nuovo quella di prediligere allevamenti ecologici all’aperto dove l’alimentazione dell’animale è basata sul pascolo e sui residui agricoli. Dunque senza sottrarre quote di terreno che potrebbero essere destinate all’alimentazione umana per foraggiare il bestiame.

3- Il pesce

Alcune tipologie di pesce gravano pesantemente sull’ambiente perché frutto di un sovrasfruttamento che comporta squilibri negli ecosistemi marini e di una pesca intensiva ed illegale. Tra i pesci meno sostenibili troviamo: salmone, tonno rosso, pesce spada, crostacei, merluzzo, cernia e dentice, palombo, verdesca, smeriglio e vitella di mare. Invece, hanno un impatto ambientale più ridotto lo sgombro, la palamita, le sarde, il cefalo, la ricciola e l’orata. Acquistando sempre di stagione.

4- La quinoa

La quinoa è coltivata nelle Ande e arriva in Europa comportando ingenti emissioni di CO2. Inoltre, l’incremento esponenziale della domanda ha provocato grossi cambiamenti nella vita sociale ed economica delle popolazioni andine che hanno così impoverito la loro alimentazione e lo stile di vita. Anche il terreno ne risente perdendo biodiversità per fare spazio a monocolture di quinoa. Ma c’è una buona notizia: anche l’Italia ha la sua prima filiera corta di quinoa: dalla produzione alla commercializzazione. In linea generale è sempre una buona abitudine leggere bene le etichette e scegliere prodotti da coltivazioni italiane.

5- La soia

Secondo i dati Wwf Stati Uniti, Brasile e Argentina producono l’80% della soia a livello mondiale e la domanda è aumentata di quindici volte rispetto agli anni cinquanta. La coltivazione di soia, dopo la moratoria volontaria Amazon Soy che vieta la conversione diretta della foreste amazzoniche in colture di soia dopo il 2006, sembra aver messo un tampone alla piaga della deforestazione ma pare siano ancora molti gli agricoltori che distruggono illegalmente aree di foresta per coltivarla. La maggior parte della soia viene destinata alle produzioni animali: in Italia ne vengono usate a questo scopo 3,7 milioni di tonnellate l’anno. Se acquistate prodotti a base di soia, meglio accertarsi della provenienza della soia che dovrebbe essere italiana o almeno europea.

6- L’olio di palma

Anche se è in atto una controtendenza e la dicitura “senza olio di palma” è sempre più presente sulle etichette alimentari, questo olio, prodotto soprattutto in Indonesia e Malesia, continua ad essere presente in tantissimi prodotti dalle creme spalmabili ai biscotti. È causa di una massiccia deforestazione e di conseguente squilibrio della flora e della fauna locali.

7- Le banane

L’impatto ambientale negativo della banane si deve non tanto alla loro coltivazione ma all’esportazione da Ecuador, Filippine, Costa Rica, Colombia e Guatemala al resto del mondo. Cosa le rende peggiori dell’altra frutta esotica? Il fatto che sono tra gli alimenti più mangiati al mondo e, ad esempio, il frutto più popolare negli Stati Uniti.

8- Il cioccolato

Non avremmo mai voluto senticerlo dire, eppure il cioccolato potrebbe far parte della lista dei cibi meno sostenibili. Proviene da una pianta che cresce solo in alcune aree attorno alle foreste equatoriali e, a causa dell’aumento della domanda, i piccoli produttori stanno piantando cacao deforestando e distruggendo la biodiversità locale. Senza contare l’impatto ambientale dei tanti processi di lavorazione che trasformano il seme di cacao nella famosa tavoletta.