di Marco Merola, giornalista scientifico e fondatore di Adaptation.it

Acqua vuol dire cibo. Alcuni alimenti riusciremo ancora a mangiarli (almeno per un po’), altri li vedremo scomparire dalle nostre tavole, altri ancora “riappariranno” dopo anni di emarginazione.

I danni della siccità sulle colture e sul terreno

Questa volta a decidere non è l’uomo, ma la natura che ci sta imponendo di adattarci. Poche piogge (nel 2022, in Italia, un terzo in meno rispetto agli anni precedenti), grandi e prolungate ondate di calore ma anche siccità e alluvioni hanno comportato perdite di raccolti importanti per i cereali (frumento, orzo, riso e mais), la soia, le foraggere, gli ortaggi e le olive. E sappiamo già che nel 2023 saranno 8.000 gli ettari di terreno in meno coltivati a riso, tra Lombardia, Piemonte e Veneto.

La siccità fa spostare le colture

Ma c’è un altro fenomeno su cui riflettere: la “redistribuzione” delle colture sul territorio. Un esempio su tutti: l’olivo è ormai presentissimo in Valtellina, dove nell’ultimo decennio si è passati da zero a 10.000 piante di ulivo su quasi 30.000 metri quadrati di terreno. Secondo le proiezioni dell’Agenzia europea dell’ambiente (Eea), l’aumento della temperatura da qui ai prossimi 100 anni comporterà lo spostamento delle colture di 180 chilometri verso Nord e di 150 metri di altitudine. Il motivo, concomitante con l’aumento delle temperature, è proprio l’assenza di piogge, soprattutto al Nord. Unica regione a salvarsi, per il momento, l’Emilia Romagna, dove le precipitazioni hanno ricaricato fiumi e falde.

Ripensare le colture con le serre idroponiche

Da questo quadro emerge una duplice necessità: ripensare l’agricoltura e razionalizzare le colture. Per quanto riguarda il primo aspetto, stanno prendendo sempre più piede le colture “fuori campo”, in ambiente controllato. È il caso delle serre idroponiche come quelle di Sfera Agricola, nel Grossetano, dove si utilizza un mix di (pochissima) acqua e nutrienti (senza terra) per far crescere pomodori e insalate su un piccolo substrato artificiale. O delle serre aeroponiche, dove addirittura le piante sono sospese in aria e sulle radici viene nebulizzata direttamente una soluzione che le alimenti. In entrambi i casi il consumo idrico è del 90-95% inferiore rispetto alla coltivazione in campo e, soprattutto, quel po’ d’acqua usata può essere recuperata e riutilizzata. Le colture possono essere anche sistemate su piani sovrapposti, in speciali torrette tecnologiche e automatizzate, secondo i dettami del “vertical farming”, così da non occupare troppo spazio al suolo. Un importante centro di ricerca e sviluppo di questo sistema si trova vicino Verona, è la Ono Exponential Farming, mentre a Cavenago Brianza, in Lombardia, c’è l’impianto più grande d’Europa (9.000 metri quadrati), targato Planet Farm.

Scegliere le specie che sopportano la siccità

Là dove si deve continuare a coltivare in campo, invece, la scelta ai fini del risparmio idrico deve ricadere su quelle specie vegetali che richiedano meno acqua per crescere. Allora, ecco che nel distretto agricolo del Po si è cominciato ad abbandonare il mais e a piantare il sorgo, mentre al Sud si sta cercando di capire come rendere compatibili le colture di kiwi, mango e avocado (frutti “idroesigenti” per eccellenza) con gli scenari di siccità che ci attendono nell’estate del 2023 e, molto probabilmente, anche in quelle a venire.

Servono strutture per affrontare la siccità

«Ha di certo senso, dal punto di vista economico, adeguare le colture al cambiamento climatico» spiega Antonino Sgrò, presidente della Federazione regionale degli agronomi e forestali della Calabria. «Le colture cosiddette sub-tropicali e tropicali vanno sicuramente a impattare sul livello delle falde calabresi, perché richiedono la creazione di pozzi dedicati, ma il problema non sono il kiwi, il mango e l’avocado, bensì l’assenza di infrastrutture di stoccaggio e redistribuzione dell’acqua. Nella nostra Regione l’acqua c’è, solo che mancano reti consortili tra i produttori che consentano un più razionale sfruttamento della risorsa idrica». Kiwi, mango e avocado rendono economicamente molto di più dell’ulivo o degli agrumi, quindi, un po’ a causa delle temperature, un po’ in ragione del business, in Calabria, soprattutto nella piana di Gioia Tauro e nella zona di Rosarno, è in corso un lento ma inesorabile turnover delle coltivazioni.

La risalita dell’acqua salata

Avere poca acqua nelle falde significa essere esposti al rischio di risalita di acqua salata (che si trova al di sotto di esse). Bisogna quindi che l’agricoltura si adatti anche a quest’altra eventualità. In tal senso, un’idea molto interessante è quella lanciata dai veneziani del Comune di Cavallino-Treporti: coltivare la salicornia (o asparago verde di barena) su terreni abbandonati proprio perché diventati salini. L’obiettivo è far inserire questa misura tra quelle per la protezione delle aree umide già definite dal progetto Interreg Crew Italia-Croazia, che ha visto impegnati vari atenei veneti: lo Iuav, l’Università Ca’ Foscari e l’Università di Padova.

Coltura idroponica: come funziona

Anche nei piccoli orti casalinghi si sta diffondendo la coltura idroponica, senza terra e con poca acqua

Con la crescita degli orti, anche nei condomini cittadini, spesso si sperimentano metodi non tradizionali come quello idroponico, cioè la coltivazione effettuata “fuori dal suolo”, in assenza di terra. Le piante sono collocate in un substrato di argilla espansa o di perlite.

I VANTAGGI L’idroponico permette di avviare colture anche in zone aride, in terreni rocciosi o sabbiosi e indoor. Il consumo di acqua è ridotto rispetto a quello per le colture tradizionali.

I COSTI Per un privato che desidera avviare una coltivazione idroponica in casa, secondo il sito idroponica.it la spesa da sostenere – per uno starter kit di base – oscilla intorno ai 500 euro.