La dottoressa delle tartarughe
Daniela Freggi, 62 anni, fondatrice del Centro recupero tartarughe marine di Lampedusa
«Sono cresciuta girando il mondo, grazie al lavoro dei miei genitori, e ho imparato a rispettare il nostro Pianeta. Presa la laurea in Scienze Biologiche, sono arrivata a Lampedusa – era il 1990 – e, dopo aver parlato con i pescatori che trovavano le tartarughe incastrate nelle reti, ho aperto l’ospedale a loro dedicato con il mio socio e mentore, Antonio Di Bello. E pensare che all’inizio non mi piacevano. Sono state loro a insegnarmi ad amarle, perché combattono ostinatamente per vivere e sono fondamentali per l’ecosistema marino. Sono le uniche consumatrici di meduse, senza di loro il mare ne sarebbe invaso, con conseguenze terribili: i pesci morirebbero, non ci sarebbe più turismo…
Le operazioni di salvataggio non hanno orari, quando arriva la chiamata dei pescherecci hai pochi minuti per intervenire. Ogni anno ne accogliamo almeno 150, dal 1990 ne abbiamo operate 2.500 e salvate 6.000. E la scorsa estate abbiamo aperto le nostre porte a migliaia di turisti. Tutto grazie all’aiuto dei volontari, un esercito prezioso fatto di ragazzi e anche diversi pensionati. Qualche volta ho paura che questo sforzo vada in fumo, ma poi guardo le nuove generazioni e mi torna la fiducia».
La madrina dei delfini
Laura Pintore, 30 anni, esperta cetacei del Wwf
«Il colpo di fulmine è scoccato a 8 anni. Da buona sarda, trascorrevo l’estate a Santa Teresa di Gallura e lì ho visto per la prima volta un delfino: sembrava volesse parlarmi. Da quel giorno ho dedicato la mia vita ai cetacei, i giganti del mare ma anche gli animali più sociali al mondo. Ho studiato Scienze naturali e poi Etologia. Per la tesi ho trascorso 6 mesi in Grecia, osservando le stenelle, una specie particolare di delfino. Poi sono entrata in contatto con il Wwf e sono stata la prima a svolgere una ricerca di dottorato finanziata da loro: studio l’impatto del rumore delle navi sulle balene nel Mar Ligure. Ho anche lanciato il progetto “Vele del Panda”: organizziamo vacanze sostenibili in barca a vela nel Mediterraneo alla ricerca dei nostri cetacei, dal capodoglio alla balenottera. Siamo partiti con una barca nel 2020, ora ne abbiamo 8. A bordo facciamo lezioni con gli ospiti e intanto noi esperti raccogliamo dati da usare per progetti di tutela di queste specie: sono creature imponenti ma anche fragili, perché il loro habitat è a rischio. Il momento più emozionante? Eravamo al largo di Carloforte e all’improvviso ecco un capodoglio: il plancton si è illuminato, rendendo l’acqua fosforescente».
La guardiana delle foche
Ginevra Boldrocchi, 35 anni, coordinatrice scientifica di One Ocean Foundation
«Le mie giornate profumano di salsedine da quando ero piccola e insieme al mio papà giravamo il mondo per scoprire i fondali tropicali. E il mare è il filo che le unisce anche oggi. Sono ricercatrice all’Università dell’Insubria e lavoro per One Ocean Foundation (1ocean.org, ndr), nata nel 2018 per trovare soluzioni per la salvaguardia degli oceani. Dal 2019 mi occupo in particolare del Canyon di Caprera, in Sardegna, collaborando al progetto “Spot the Monk” dell’Università di Milano Bicocca: i canyon sono zone in profondità in cui si formano correnti che portano nutrienti in superficie e creano una biodiversità unica. In questo vivono 7 delle 8 specie di cetacei del Mediterraneo, più la foca monaca. Che, con il suo muso buffo, è il simbolo perfetto dell’impegno e della speranza: fino a poco tempo si pensava si fosse estinta nelle nostre acque, invece grazie al grande lavoro di conservazione è tornata. Ma siamo solo all’inizio: il progetto mira a ottenere un riconoscimento internazionale per tutelare l’area nel tempo. Va raccolta una grande mole di dati che ne dimostrino la specificità, ma queste ricerche sono molto costose e servirebbero più fondi dalle istituzioni. Posso lanciare un appello? Non dimenticateci!».