«Ho assistito per strada a una violenta lite di coppia. Lei era molto spaventata, lui urlava e la minacciava. Ho chiamato il 112 lasciando i miei dati e poi l’ho raggiunta nel bar dove si era rifugiata, mentre lui se n’era andato. Abbiamo parlato e quando sono arrivati i carabinieri l’hanno ascoltata e steso il verbale. Hanno voluto anche il mio numero di cellulare, che ho lasciato pure a lei. Non hanno ascoltato lui. Qualche giorno dopo lei mi ha chiamato dicendomi di non impicciarmi, che non avrebbe denunciato e che comunque in fondo con quell’uomo ci stava bene. Io ho cercato di spiegarle che in certi casi non è necessario denunciare, ma lei mi ha messo giù il telefono. Ci sono rimasta molto male, perché dall’esterno è evidente che quella ragazza è vittima di violenza. Ma come farglielo capire? E soprattutto: non dovevo intervenire?».
Come correre in aiuto di una donna aggredita
Può succedere di trovarsi nella situazione che ci ha descritto via mail una lettrice. E intervenire è importante, anzi, doveroso.«L’unica cosa da fare è proprio chiamare il 112» conferma Francesca Maur, consigliera nazionale della Rete D.i.Re (direcontrolaviolenza.it). «Nel frattempo, se la lite è molto violenta, anche urlare aiuta a far desistere l’aggressore. Meglio non intervenire fisicamente, però, perché l’uomo potrebbe essere armato. Le forze dell’ordine, una volta sul posto, ascoltano la donna e raccolgono la testimonianza di chi ha visto e sentito la scena. Anche l’aggressore va ascoltato, separatamente».
Come vanno poste le domande a una donna aggredita
Importante è il modo in cui si interrogano le persone. «Occorre fare domande aperte, che indaghino anche il passato e permettano alla donna di raccontare lo sviluppo nel tempo della violenza. Se emerge che il caso non è isolato, che lui ha avuto altri comportamenti violenti, ovvero che siamo in presenza di maltrattamento, il giudice attiva il Codice Rosso. Questo fa sì che la donna sia risentita entro pochi giorni per confermare quanto detto. In quella fase si ascoltano di nuovo anche i testimoni e si redige il Sit, il verbale di sommaria informazione, in cui si ricostruiscono i fatti necessari all’autorità giudiziaria per valutare la presenza di un reato di violenza di genere».
Se c’è reato, si persegue d’ufficio
Talvolta la donna fa marcia indietro e non vuole essere risentita. «Succede perché, nell’andamento del cosiddetto ciclo della violenza, l’uomo attua la “luna di miele”: chiede scusa, promette che non accadrà più, minimizza. Se però in base alle informazioni raccolte il giudice può ipotizzare un reato perseguibile d’ufficio – ovvero uno dei reati sentinella della violenza, come percosse, lesioni, maltrattamenti anche psicologici, stalking, violenza sessuale – applicherà a tutela della donna una misura per impedire il ripetersi delle violenze». È importante che le donne sappiano che da certe violenze sono tutelate anche se decidono di non denunciare.