Lo smart working per lavori fragili e genitori di under 14 non sarà prorogato. Fallito il tentativo di inserire un ulteriore rinvio nel Milleproroghe, il 31 marzo si chiude la pagina aperta durante la pandemia. La differenza è sostanziale: a partire da quella data, chi vorrà praticare il lavoro agile dovrà accordarsi con il datore di lavoro, e, soprattutto, potrà richiedere questa modalità solo se le sue mansioni originarie consentono di lavorare fuori dal luogo di lavoro.

Dipendenti pubblici, decide il dirigente

Per i dipendenti del settore pubblico il diritto al lavoro agile era già terminato il 31 dicembre scorso. La direttiva del ministero per la Pubblica Amministrazione del 29 dicembre, infatti, affida ai dirigenti la possibilità di autorizzare ai dipendenti sulla base di accordi individuali, e individuare le misure organizzative necessarie, per tutelare coloro che sono “più esposti a situazioni di rischio per la salute”, e garantire la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile a chi ha “gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute, personali e familiari”.

Fine smart working: cosa prevede la normativa nel privato

Dal 1° aprile anche i dipendenti privati dovranno quindi tornare in presenza, salvo che non ci siano accordi aziendali che vanno in una diversa direzione. In alternativa, i lavoratori possono firmare con il datore di lavoro un accordo scritto, in cui stabiliscono che le mansioni possono essere svolte utilizzando la formula del lavoro agile, e ne stabiliscono modalità, diritti e doveri.

Occhio ai diritti: dalla disconnessione alla location

«Il lavoratore può sempre chiedere il lavoro agile, ma la decisione se accettare o meno è dell’azienda» chiarisce Elisa Lupo, consulente del lavoro. «Nel momento in cui si firma l’accordo, poi, bisogna tenere presente che nel documento vanno indicati tra le altre cose alcuni aspetti molto importanti per la qualità della vita del lavoratore. Tra questi, la definizione dei tempi di riposo, e le misure, sia tecniche sia, organizzative, per assicurare il diritto alla disconnessione, ma anche il modo in cui il datore di lavoro può esercitare il controllo sulle prestazioni del dipendente».

Quanto alle modalità, sottolinea l’esperta, resta il diritto per i lavoratori di svolgere le proprie mansioni in qualunque sede, a casa come al mare. «Il datore di lavoro può però stabilire, per esempio, per una questione di sicurezza aziendale, che il lavoratore non debba connettersi a reti pubbliche, o non possa lavorare in luoghi pubblici, dove le informazioni sensibili potrebbero essere messe a rischio».

Diritto di priorità per fragili e genitori

Quanti ai lavoratori fragili, coloro cioè che a causa di una patologia, di una terapia o di una disabilità sono considerati più a rischio in caso di contagi da virus, pur avendo perso il diritto allo smart working, conservano un vantaggio. «Per i fragili, così come i genitori di figli con meno di 14 anni, rimane la priorità di accesso rispetto agli altri lavoratori» aggiunge Lupo. Se per esempio l’accordo aziendale sul lavoro agile stabilisce che una percentuale di dipendenti può scegliere questa modalità, questi lavoratori non possono essere esclusi a vantaggio di altri.

Fine dello smart working: e se gli accordi non ci sono?

In questo caso, dal primo aprile i lavoratori dovranno tornare in presenza, pena il rischio di vedersi comminare sanzioni disciplinari per assenza ingiustificata. Le aziende non sono obbligate a inviare comunicazioni scritte, quindi inutile aspettarsi un avviso formale.

3,6 milioni di lavoratori agili

Oggi, secondo i dati dell’osservatorio Smart working del Politecnico di Milano, sono circa 3,6 milioni di lavoratori che svolgono attività da remoto. La previsione per il 2024 è di un’ulteriore crescita, e non solo nelle grandi imprese.