Spagna, Grecia, Croazia, Est Europa, ma anche Tunisia. Sono alcuni dei paradisi fiscali per pensionati, che offrono agli italiani non solo aria migliore e vita più slow, ma potere d’acquisto maggiore. La Tunisia è protagonista di un piccolo boom: qui l’afflusso degli italiani è raddoppiato negli ultimi anni e a oggi ci sono già circa 1.600 connazionali che hanno scelto il Paese nordafricano per viverci. Secondo i dati Inps sono 229.000 i pensionati italiani con residenza fiscale all’estero. «Essere vicino all’Italia, vivere dove il costo della vita è più basso e ci sono agevolazioni fiscali ad hoc sono le ragioni che spingono verso queste destinazioni» spiega Martina Cancian di Expatria, società che si occupa di gestire pratiche burocratiche per i trasferimenti. Ma conviene vivere da pensionato expat?

I benefici fiscali per i pensionati che si trasferiscono all’estero

Prima di tutto chiariamo perché li chiamano paradisi fiscali per pensionati. «Alcuni Stati prevedono una tassazione agevolata ad hoc per i pensionati stranieri» spiega Cancian. Per esempio, in Grecia vige un’imposta del 7% per 15 anni sui redditi di chi si trasferisce, in Tunisia la tassazione grava solo sul 20% del reddito. Non conviene più il Portogallo: fino ad aprile 2020, le pensioni estere erano esentasse, mentre da aprile 2020 fino a dicembre 2023 è stata introdotta un’aliquota al 10%, per poi eliminare del tutto il regime agevolato da gennaio 2024, tanto che le preferenze si stanno spostando verso mete come la Grecia. In altri Stati, come la Croazia non sono previste agevolazioni, ma l’imposizione fiscale è comunque più bassa rispetto all’Italia.

La Tunisia agevola anche i pensionati pubblici

«Le agevolazioni interessano solo chi ha lavorato nel privato. Per i pubblici, i cosiddetti pensionati ex Inpdap, le imposte sulla pensione vengono trattenute alla fonte. Ci sono però delle eccezioni, come la Tunisia e pochi altri Stati, che in virtù di un accordo con l’Italia, hanno bypassato il problema e consentono di godere del regime agevolato» prosegue Cancian.

Almeno 183 giorni all’estero per avere i benefici

La normativa italiana prevede che si possa trasferire la residenza fiscale se si trascorrono in quel Paese più della metà dei giorni dell’anno. A conti fatti, almeno 183. In Europa, in virtù del principio di libera circolazione delle persone, non ci sono passaporti da timbrare ai confini. «In ogni caso la legge va rispettata e nonostante vi sia, in ambito UE, la libera circolazione, chi risiede fiscalmente all’estero è tenuto a trascorrere la maggior parte del periodo d’imposta nel nuovo Paese di residenza» sottolinea l’esperta. C’è poi, come prevedibile, il vincolo della residenza. In pratica, chi decide di vivere da expat deve affittare casa in loco, e dimostrare di risiedervi stabilmente.

Meglio farsi aiutare da un’agenzia specializzata

Sono tante e abbastanza complesse le pratiche previste per chi si trasferisce all’estero, tanto che il consiglio, per chi non ha dimestichezza con carte bollate e burocrazia, è quello di rivolgersi a un professionista o a un’agenzia specializzata.

«Le procedure cambiano leggermente da Paese a Paese, ma in linea di massima, prima della partenza è necessario mettere insieme un fascicolo da presentare all’autorità fiscale del Paese estero. Facciamo esempi pratici: servono i documenti che attestano il reddito da pensione, la domanda di trasferimento della residenza, e se previsto, la richiesta di inclusione nel regime di tassazione agevolato. Servirà naturalmente anche andare sul posto per cercare l’immobile da affittare o comprare. A questo punto andrà dichiarata la presenza sul territorio, e, se si intende trasferirsi nel nuovo Paese per più di 12 mesi, bisognerà iscriversi all’Aire, l’Anagrafe degli italiani all’estero. Altro passo fondamentale è l’apertura di un conto corrente e l’iscrizione alla sanità pubblica» spiega l’esperta.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che l’anno successivo al trasferimento si deve presentare la dichiarazione dei redditi nel nuovo Stato, e si può essere soggetti alla cosiddetta campagna di accertamento di esistenza in vita, che l’Inps conduce a campione ogni 12 mesi.

Pensionati all’estero e problemi di salute

Tema cure mediche: se servono, a chi ci si può rivolgere? I pensionati italiani residenti in un Paese Ue hanno diritto a ricevere cure mediche in quel Paese e quindi per loro non è necessario sottoscrivere un’assicurazione sanitaria integrativa. Però attenzione: non sempre sarà possibile tornare a curarsi in Italia, al di là delle urgenze. «Se un pensionato italiano residente all’estero si frattura una gamba mentre si trova in Italia, avrà accesso a tutte le prestazioni necessarie. Ma se desidera sottoporsi in Italia a un intervento programmabile, dovrà inviare una richiesta di autorizzazione nel Paese in cui ha la residenza. E se quella prestazione viene erogata anche lì, non è semplice ottenere l’ok per essere curati in Italia» chiarisce Cancian.

Le cose cambiano se l’expat vive in uno stato extra Ue. In Tunisia, per esempio, è necessario stipulare in loco una polizza sanitaria. Inoltre, dentro come fuori dall’Europa, non è sempre facile trovare le eccellenze su cui possiamo contare nel nostro Paese. «Spesso le strutture private sono però di buon livello, e molto meno costose rispetto ai nostri standard». Il consiglio, in definitiva, è di verificare tutte queste variabili e fare due conti.