L’esempio conta più di mille parole, recita un noto modo di dire. Nessuno lo mette in dubbio, ma forse anche le parole hanno la loro importanza, soprattutto se si tratta del rapporto tra genitori e figli. Lo sa bene Biagio Antonacci, che in una intervista ha posto l’attenzione sul rapporto (difficile) col padre. «Non mi ha mai detto “Ti voglio bene”», ha raccontato il cantante, diventato padre per la terza volta a 58 anni. Ma la sua non è l’unica storia di incomunicabilità in casa. Perché si fatica tanto a dire ai propri figli cosa si prova per loro o a far loro dei complimenti?
Biagio Antonacci e il padre: la rivelazione
«Ci sono dei genitori che hanno un rapporto amorevole coi figli, ma che non si danno del tutto, ecco io la chiamo timidezza, perché il bene c’era è chiaro, ma la timidezza di dire a tuo figlio magari “Bravo, ti voglio bene”, fargli un complimento. Io non ho mai ricevuto questo da mio padre, sapevo che veniva ai miei concerti e piangeva, ma non mi ha mai detto “Bravo, hai fatto bene, è stata una bella cosa”, non riusciva a dire ti voglio bene nemmeno a me», ha rivelato Antonacci in una intervista. Il cantante, che ha compiuto 60 anni lo scorso novembre, ha raccontato anche che «Quando era sul letto di morte, io volevo dirglielo, ma avevo paura di fargli capire che erano i suoi ultimi giorni e me lo sono tenuto dentro. Ai miei figli lo dico sempre “Ti voglio bene, ti voglio bene, ti amo, ti voglio bene” perché non vorrei arrivare a quel punto di non aver regalato una sensazione così bella come il bene».
Biagio Antonacci parla di timidezza
Biagio Antonacci, dunque, parla di timidezza. Ma si tratta davvero di questo o di altro? «Si tratta soprattutto di un tratto culturale, un retaggio del passato che però resiste molto fortemente anche oggi» spiega Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana, esperta di adolescenti e giovani. «Si è stemperato rispetto alla generazione precedente dei nostri nonni, che pensava che i figli andassero baciati nel sonno quando non si accorgono. Oggi sappiamo che questo è un concetto sbagliato e persino deleterio, che pian piano si sta scardinando. Certe credenze riguardano l’educazione fin da piccolissimi: ad esempio, un tempo si pensava che i neonati si dovessero lasciar piangere, perché “si aprivano i polmoni”, mentre dovrebbero essere tenuti in braccio, perché si nutrano del rapporto fisico e affettivo con la mamma e il papà. Lo stesso vale quando crescono: è importante manifestare apertamente i propri sentimenti ai figli», spiega Lucattini.
Supportare e parlare di amore rende più forti
«Molti genitori temono di rendere i figli fragili se manifestano i propri sentimenti, mentre è vero il contrario: saranno più forti! Dire loro “Ti voglio bene” o “Sei stato bravo” nutre il loro “IO”. Non significa renderli narcisisti, ma aiutarli a strutturare la loro personalità tramite l’apprezzamento – spiega Lucattini – C’è anche da dire che spesso i genitori che non parlano dell’amore che provano non lo fanno per scelta, ma perché non sono capaci, non sono stati abituati e non hanno appreso il linguaggio degli affetti, dello scambio relazionale positivo. Oppure perché si imbarazzano, si bloccano, come se parlando d’amore rendessero palese al mondo una loro fragilità. Ma se non sono parole vuote, cuoricini ed emoji, le parole d’amore esprimono proprio una certa sicurezza».
L’importanza di dirsi «Ti voglio bene»
Biagio Antonacci, tornato con un singolo (Seria), che anticipa album e tour, proprio nella nuova canzone invita a «prendersi la responsabilità dei sentimenti», lui che è diventato padre di Carlo (avuto da Paola Cardinale due anni fa), dopo i due figli Paolo e Giovanni, nati dalla precedente relazione con Marianna Morandi.
«Manifestare apertamente i propri sentimenti stimola i figli a fare altrettanto, aiuta anche a trasmettere apprezzamento per i loro piccoli o grandi successi, che si tratti di imparare a camminare, a scrivere o a vivere momenti importanti come un concerto su un palco davanti a molte persone – sottolinea la psicoanalista – Parlare delle proprie emozioni, infatti, può avere un duplice valore: quello espressivo – cioè comunicare un sentimento perché si ha bisogno di esprimerlo – e far sentire amati, perché l’amore passa anche dalle parole, le parole sono azioni».
Non bastano i comportamenti
Quante volte ci si è sentiti dire che sono più importanti i gesti delle parole? Eppure le sole azioni non bastano: «Il comportamento da solo, se non è accompagnato da parole che lo spiegano e lo motivano, può essere frainteso. Un abbraccio molto forte a chi sente male, senza un “Ti voglio tanto bene”, può far pensare di aver commesso qualcosa di sbagliato. Le parole arricchiscono e la comunicazione umana è fatta di scambi verbali, soprattutto quando i figli crescono. Va bene, dunque, l’esempio, ma insieme alla spiegazione e, meglio ancora, alla dimostrazione pratica, al mostrare come si deve agire», spiega ancora l’esperta.
I sentimenti non vanno intuiti, ma dichiarati
«Dai 5 anni poi occorre parlare di più dei sentimenti, altrimenti il rischio per i figli è di non sentirsi capiti: l’amore si deduce, si intuisce e si immagina, ma non lo si sente dentro se stessi. Sentirsi capiti significa che se un figlio fa uno sforzo e ottiene un buon risultato in qualunque ambito (che sia lo sport o la scuola o anche dentro casa con le piccole azioni come sparecchiare autonomamente o caricare la lavatrice) va incoraggiato: è un gesto che fa sentire amato e che passa dalle parole. Chiedere come si sente e che cosa prova è un tentativo di capire i figli, che fa loro interiorizzare la sensazione di essere amati, che c’è qualcuno che lo tiene nella sua mente. Quindi essere espansivi fa soltanto bene!», conclude Lucattini