«La scuola ha un problema solo, i ragazzi che perde». Parte così, da questa lapidaria affermazione tratta dal libro Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani, Vittoria, avvocato penalista di Torino, 47 anni, mamma di Angelica, 15, che l’anno scorso ha lasciato il secondo anno di liceo scientifico.
Abbandono scolastico: la storia di Angelica e Vittoria
«Quando mia figlia era piccola mi sembrava di stare facendo un buon lavoro. Stavo crescendo una bambina in gamba. Le sue debolezze, con i giusti input, diventavano forza. La sua tigna determinazione. La sua rabbia grinta» racconta mentre stringe la mano di Angelica. «Poi mi sono ritrovata con un’adolescente che d’improvviso non voleva più studiare, neanche le sue materie preferite come geometria e scienze. E lì mi è crollato il mondo addosso, mi sono sentita sola, sbagliata, una mamma di merda» non si vergogna a dire.
«All’inizio ho pensato che fosse solo un momento passeggero e ho cercato di aiutarla come potevo, ma lei non dormiva più e di giorno era sempre più aggressiva. Le facevo i compiti. Ho passato settimane intere a dedicarle ogni mia energia, a cercare di convincerla, a portarla e andarla a prendere, a rispondere alle sue telefonate durante la mattinata, anche se ero in tribunale. E lo facevo, diciamo, serenamente perché nella mia testa sarebbero stati solo pochi mesi. Ma quando ho capito che davvero Angelica non voleva più andare a scuola, la rabbia e la delusione che avevo accumulato sono esplose e lì sono iniziate le settimane più dure: litigate infinite, insulti, inutili punizioni, ricatti infantili, pianti isterici, silenzi interminabili». Ma con Angelica niente sembrava funzionare. E allora Vittoria fa la scelta forse più giusta in queste situazioni. Si ferma, cerca di, azzerare il giudizio, di stemperare le aspettative e accetta la decisione di sua figlia di smettere il liceo.
L’abbandono scolastico visto dai ragazzi
Ma non si ferma qui, fa molto di più. «Me lo ricordo ancora: era un giovedì, ero in studio, ho preso la mia agenda, ho annullato tutti gli appuntamenti per la settimana successiva e ho prenotato un volo per Barcellona dove Angelica voleva andare da tempo. Sentivo che sarebbe stata la scelta giusta, come avevamo fatto anni prima quando io e suo papà ci separammo e noi partimmo per la Scozia». Una vacanza di pochi giorni quella in Spagna, che però fa scattare qualcosa. Sia in Vittoria, che inizia a parlare con sua figlia, senza vergogna né pregiudizi. Sia in Angelica che, non più braccata dall’ansia e dal senso di inadeguatezza, tira fuori le sue paure, le sue debolezze e, finalmente, anche i suoi veri desideri.
Ma se pensi che la storia di Angelica sia un caso isolato, ti sbagli. E a dirlo sono gli ultimi dati Istat. Nel 2022 gli abbandoni scolastici precoci riguardano il 9,6% dei giovani europei con una prevalenza tra i ragazzi (11, 1%) rispetto alle ragazze (8%). E l’Italia purtroppo è uno dei Paesi in cui il fenomeno incide maggiormente, dopo Romania (15, 6%) e Spagna (13, 9%). Qui da noi infatti l’11, 5% dei giovani ha lasciato la scuola con al massimo la licenza media. Una percentuale ancora alta, anche se leggermente in diminuzione rispetto alla rilevazione precedente che si attestava intorno al 12, 7%, e che non riguarda solo le Regioni del Sud e le situazioni sociali più difficili, come si tende a pensare, ma che inizia a farsi sentire anche in città come Milano, Roma, Torino. E soprattutto in famiglie con un background sociale ed economico elevato, come quella in cui è cresciuta Angelica.
Abbandono scolastico: le cause
Sui motivi per cui questi ragazzi decidono di abbandonare la scuola ci viene in aiuto Maria Sole Piccioli, responsabile education di ActionAid che da anni porta avanti un bel progetto proprio su questo tema. «I motivi sono tanti e generalizzare è difficile, ma negli ultimi anni quello che ci dicono gli studenti è che a fargli passare la voglia di andare a scuola è da un lato l’ansia da performance, la paura della votazione, il terrore di non essere all’altezza, dall’altro una didattica poco inclusiva, partecipativa, adatta cioè ai loro linguaggi» spiega l’esperta.
E a questo si ricollega un altro motivo che alcuni giovani, come Angelica, menzionano: quello della noia. «I ragazzi oggi usano quotidianamente strumenti che vanno a una velocità stellare, come il digitale, e poi si ritrovano a frequentare una scuola “lenta”, distante anni luce da loro, che non si avvicina minimamente a quella velocità a cui sono abituati. Si crea quindi un divario che li può allontanare dallo studio», spiega Valentina Pedrazzetti, psicologa che lavora al progetto di ActionAid.
Le soluzioni degli esperti all’abbandono scolastico
Nonostante la complessità del fenomeno, le soluzioni però ci sono. «La prima è la didattica inclusiva. Alla base di una scuola che sa accogliere tutti i ragazzi, c’è la capacità di adottare soluzioni didattiche partecipative che consentano una reale personalizzazione dei percorsi e degli obiettivi, che sappiano riconoscere le individualità dei ragazzi e che stimolino la loro crescita globale, prima ancora che l’acquisizione di nozioni» spiega Maria Sole Piccioli. La seconda è l’orientamento, perché se scegli bene, è difficile che poi molli. «A 14 anni, cioè l’età in cui di solito ci si iscrive alle superiori, è praticamente impossibile che un ragazzo abbia le idee chiare sul proprio futuro. Eppure gli si chiede di scegliere un indirizzo di studi che potrebbe condizionarlo per sempre. Il minimo che si può fare è offrirgli un supporto adeguato, che duri nel tempo e non si esaurisca in un test attitudinale somministrato in terza media» continua l’esperta.
Che cos’è OP-ed
Proprio sul tema dell’orientamento, ActionAid ha attivato OP-ed, un progetto nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado delle città di Milano, Palermo, Reggio Calabria e Siracusa (l’anno prossimo dovrebbe partire anche a Roma). Il programma, che va avanti dal 2018 e che oggi coinvolge circa 15 scuole, vuole aiutare i ragazzi ad acquisire la consapevolezza delle proprie competenze e dei propri desideri, qualunque essi siano, e per farlo prevede in seconda o terza media e in seconda liceo degli incontri tra i ragazzi e una psicologa, possono essere anche colloqui individuali (5 o 6 in tutto), delle ore in classe dedicate all’orientamento (sono circa 10 incontri con anche delle “uscite” per conoscere realtà lavorative) e dei laboratori di gruppo tra i genitori (3 in tutto).
Tanti piccoli interventi che però funzionano. Visto che in diverse scuole che hanno partecipato a questo progetto, l’abbandono scolastico si è azzerato. E soprattutto, cosa forse ancora più importante, i ragazzi ci vanno volentieri. «Perché apprendere significa costruirsi un futuro» conclude Pedrazzetti. Come è successo ad Angelica. Che ha capito cosa voleva fare e tra pochi giorni tornerà sui banchi. Non più del liceo scientifico, ma dell’istituto psico-pedagogico. Perché sogna di diventare una maestra di asilo.
Abbandono scolastico: aiutare i ragazzi si può
Stare vicino a un figlio che decide di non andare più a scuola non è semplice. Tutt’altro. Ma con tante piccole accortezze, possiamo essergli d’aiuto, proprio come ha fatto Vittoria, la protagonista della nostra storia.
Come muoversi
«Per cominciare, sentiamoci libere di provare tutta una serie di emozioni che vanno dal rosso al grigio, dalla rabbia quindi al senso di lutto dovuto alle aspettative che crollano» spiega Sofia Bignamini, psicoterapeuta del Minotauro che si occupa di adolescenti in crisi e dei loro genitori. «Poi prendiamoci del tempo, qualche mese intendo, per capire quali sono le ragioni che mettono in difficoltà nostro figlio: sospendiamo il giudizio, stiamo in osservazione, raccogliamo informazioni parlandone con lui e facendogli domande del tipo: “Quali sono le materie che proprio non ti piacciono?”, “Che cosa invece ti viene bene?”, “Cosa ti aspettavi da questa scuola?”». «Tutte domande che servono a costruire quella mappa fondamentale per arrivare a scegliere la scuola giusta o decidere di cambiarla» aggiunge Valentina Pedrazzetti, psicologa che lavora al progetto di ActionAid.
Dopo avere raccolto queste informazioni, attraverso il dialogo – certo, i nostri figli ci concedono poche parole e spesso scocciate, quindi armiamoci di pazienza – apriamo il dialogo, anche con gli insegnanti: ci possono essere di aiuto. «Usciamo poi dal cono della vergogna. E se possiamo, confrontiamoci con i nostri compagni di liceo: fare un po’ di amarcord ci permetterà di ricordarci come noi vivevamo la scuola e a relativizzare i disagi» continua Bignamini. «A questo punto, una volta che abbiamo il quadro della situazione, andiamo dai nostri ragazzi ancora con delle domande, non con soluzioni o suggerimenti, e chiediamo loro: “Cosa vorresti fare?”, “Quale scuola, ti potrebbe piacere?”» conclude Pedrazzetti. Devono essere loro i protagonisti della scelta. «Che, non dimentichiamocelo, non è definitiva. Ma si costruisce strada facendo, e si può sempre cambiare».