Quando i figli erano piccoli, mi capitava spesso di incrociare sotto casa una signora di una certa età. Scorgendoci, rivolgeva una sorta di benedizione papale ai bambini che poi, corrugando la fronte, tramutava in un sobrio maleficio: «Se li ricordi così, ché poi cambiano». Estasiata da ogni progresso dei miei due ranocchi, lì per lì non capivo: mi sembrava impossibile arrivare a rimpiangere una loro istantanea frizzata, quando la vita mi concedeva il privilegio di assistere allo spettacolo della loro crescita.
I genitori cercano la vicinanza, i figli la lontananza
Senza arrivare a condividerlo, quel senso amaro di alienazione l’ho compreso più tardi, con le turbolenze delle loro adolescenze, tra le faglie e le trincee sotto il cui peso ogni madre o padre presto o tardi si schianta, arrivando a chiedersi chi siano i giovani adulti che campeggiano nelle camerette dei loro bambini o quando, di preciso, quelli siano scomparsi dai radar. È una tappa necessaria, non irrevocabile, mi rassicura Stefano Rossi, psicopedagogista esperto di educazione emotiva, autore di Sentimenti malEducati (Feltrinelli): «Il compito dell’adolescente è separarsi dal genitore per individuarsi, cioè far nascere il proprio sé. Il genitore cerca la vicinanza, all’adolescente serve una sana distanza. Il suo allontanamento è chiaramente un grande dolore, ma se riesce a salpare vuol dire che si è lavorato bene. Amare è proprio questo: lasciarli salpare. Se i ragazzi ci riconoscono come adulti autorevoli, un faro che illumina il loro prendere il largo, un porto sicuro dove tornare ogni volta che ne hanno bisogno, continueranno a bussare al nostro cuore».
Come parlare con i figli: i doppi turni del genitore divorziato
E allora tocca stare. Aggiungere voltaggio alle luci. Attendere. Tra alti e bassi, si può dire che questo ho fatto fin qui, riparando le sartie sfilacciate dopo ogni tempesta, attendendo che le loro vele rientrassero in porto, gonfie di vento oppure strinate, modulando la sintonia fine della radio di bordo per inaugurare frequenze sicure, consapevole che lo status di madre divorziata mi condannava ai doppi, tripli turni. E Rossi ha ragione: fa male. Anche perché la cronaca, dalla strage di Paderno alla tragedia della ragazza madre infanticida, ci espone incessantemente agli esiti più drammatici di questo andare per mari burrascosi, agitando i fantasmi dei nostri peggiori incubi. Esiti che ci ricordano quanto la salute mentale (di cui il 10 ottobre si celebra la Giornata mondiale) sia un tema che, sì, riguarda tutti noi indipendentemente dall’età ma va affrontato con maggiore urgenza quando si parla di adolescenti.
L’idea di ritrovarsi uno sconosciuto nella stanza accanto, capace di fantasticare e compiere atti indicibili, pungola a tal punto l’immaginario che in questi giorni mi sono imbattuta – accanto all’urticante caso di Monsters. La storia di Lyle ed Erik Menéndez su Netflix, che racconta dei due fratelli, cresciuti in una famiglia apparentemente perfetta di Beverly Hills, che nel 1989 uccisero i genitori a colpi di fucile – in altre due opere colme di riverberi potenti. La prima è Disclaimer di Alfonso Cuarón, 8 puntate che si guardano d’un fiato su Apple Tv: uno straordinario rompicapo che parla di genitori che non conoscono più i propri figli, di antichi traumi su cui deraglia l’istinto di accudimento e di ragazzi perduti. La seconda è Settembre nero (La Nave di Teseo): l’ultimo romanzo di Sandro Veronesi, viaggio nell’epicentro del sisma che incrina la fiducia nei genitori di una coppia di fratelli, ci ricorda che spesso siamo proprio noi adulti a smarrire il bandolo della matassa.
Come parlare con i figli
«Non c’è nessuna morale o indicazione pedagogica nel romanzo» ammette Veronesi. «Solo un’enfasi applicata alla vita interiore dei figli, ai loro sentimenti autonomi e alla loro sensibilità, l’evidenziare il fatto che spesso i genitori decidono cosa è importante per i figli e cosa non lo è, pur se del loro reale stato d’animo, dei loro patemi e delle loro necessità di individui, conoscono assai poco. Non basta fare i pastori, insomma, perché i figli non sono pecorelle». In Settembre nero una gigantesca bolla di non detto precipita i due fratelli in un epilogo tragico. «Ma non è tanto questione di dire o non dire» obietta Veronesi. «Se non si fanno cose difficili da spiegare (a un padre o a un figlio) non c’è nessun bisogno di dirsi tutto. La fiducia dell’uno nell’altro si incrina dinanzi a fatti compiuti che non possono essere assorbiti senza una profonda sofferenza».
La prima casa non plasmata sui figli
Dove si perde quel filo e in che modo ci si ritrova nel buio della disconnessione? A queste domande mi ha riportato con prepotenza il trasloco che ci siamo appena lasciati alle spalle: da che sono diventata madre, questa è la prima casa che non plasmo del tutto a misura dei figli, ora impegnati entrambi in prove tecniche d’indipendenza. In questa fase survoltata, in cui smarrisco pian piano il polso delle loro routine quotidiane, smontare pezzo per pezzo l’appartamento in cui noi tre ci siamo rintanati dopo il divorzio dal loro papà ha voluto dire riportare alla luce le pieghe più intime e vulnerabili della nostra intimità familiare: dai libri di Harry Potter (sulle cui pagine abbiamo scandagliato i chiaroscuri dell’animo umano, scoprendo come le famiglie, con le loro geometrie misteriose, sopravvivano ai finali più roboanti) ai diari chiusi col lucchetto, dai pacchetti di sigarette mal nascosti alle prime, stropicciate lettere d’amore. Uno scavo affettivo che conserva le tracce dei nostri antichi patti, le scenate, i silenzi, gli imbarazzi e le bugie dette per sopravvivere. Anni in cui, come accade in Disclaimer e nel romanzo di Veronesi, ero io, l’adulta, la prima a scavare trincee, troppo occupata a ritrovarmi e ricostruirmi, vergognosa di mostrarmi per ciò che ero. Tempi in cui vagavo spesso senza mappe, ignorando su quale campo di battaglia fossero impegnati i loro cuori.
Come parlare con i figli
Esserci non vuol dire sapere sempre tutto, assicura Stefano Rossi. «Amare non è rendere trasparente la vita del figlio. Non è la Gestapo o il Grande Fratello orwelliano. Il gesto più prezioso e più profondo dell’educare è sedersi accanto: fare spazio al loro cuore dentro il nostro. Dopo una giornata sotto le intemperie, ai figli non servono prediche. Immaginiamo la loro mente come una botte piena di acqua sporca: dobbiamo aiutarli a svuotarla delicatamente, accogliere le loro emozioni, senza combattere per loro quelle battaglie». Anche qui: nel mio istintivo procedere a tentoni, ci ho provato. Nelle nostre sporadiche ma intense ricognizioni, abbiamo lasciato defluire oceani intrisi d’incredulità, di amori scivolati tra le dita, di ambizioni evaporate: perché è vero, come scrive Rossi, che «anche il più apatico degli adolescenti è un pensatore ferito che s’interroga sull’amore dall’antro oscuro delle proprie cicatrici».
Ho provato a sedermi sul pontile con loro interrogando l’orizzonte e quando le nubi pandemiche ne impedivano la vista sfidarli a immaginarlo. Se ogni vicenda familiare ha le sue radici, le nostre sono un po’ terremotate, ma voglio pensare che col tempo il dissesto ci abbia allenati alla flessibilità, le crepe a guardare oltre i muri, lasciando alle storie che ci portavamo da fuori – quante ce ne siamo raccontate? – il compito di accarezzarci le ferite. Sostiene Rossi che le storie sono «la grammatica che ci permette di sporgerci alla finestra sul nulla senza precipitare». Ci mostrano che si può, nonostante tutto il dolore, avere cura di ciò che resta dell’amore assoluto dell’infanzia, farne addirittura “fiorire” le macerie – la missione dei titanici protagonisti di Veronesi – perché «non è tanto l’amore il sentimento critico tra genitori e figli» sottolinea lo scrittore. «Quello non è in discussione. In ballo c’è l’approvazione, quella sì merce rara, a volte, nei rapporti familiari. E poiché la fioritura è anche questione di saper accettare l’altro, è necessario secondo me che il genitore, cioè l’adulto, il maturo, il responsabile, sia il primo ad accettare, dando al figlio l’esempio di come dovrà fare quando sarà a sua volta adulto, maturo e responsabile. L’accettazione è il dono che arriva con la vera maturità».
Amare non è rendere trasparente la vita del figlio. Il gesto più prezioso dell’educare è sedersi accanto: fare spazio al loro cuore dentro il nostro
Tre saggi
Sentimenti MalEducati (Feltrinelli). Stefano Rossi, una delle voci più appassionate della psicopedagogia italiana, ci guida sul terreno accidentato dell’educazione sentimentale con un libro che – oltre alle riflessioni in questo articolo – contiene idee per esercitare l’intelligenza affettiva, tra neuroscienze, arte, filosofia e psicologia.
Individualisti si cresce (Feltrinelli). Parla agli adulti anche Domenico Barrilà, psicoterapeuta e analista adleriano che si concentra «sull’insidia culturale più pericolosa del nostro tempo»: l’individualismo dei genitori, che conduce «tante giovani vite a cercare aiuto nella psicologia».
Perché sei qui? (Tunué). Usa il linguaggio del graphic novel e si rivolge ai ragazzi il libro in cui Francesca Picozzi, psicoterapeuta e sessuologa, tra i primi ad aprire un profilo TikTok di psicologia, si fa strada, con l’aiuto delle illustrazioni di Greta Xella, tra le paure di adolescenti e giovani adulti.
Tre romanzi
Settembre nero (La Nave di Teseo). Il nuovo libro di Sandro Veronesi – intervistato in questo articolo – insegue la fioritura di un 12enne durante un’estate versiliana e la sua parabola di “eroe normale” nell’età matura.
La parte sbagliata (edizioni e/o). Stefano Coppo ha scritto un romanzo di formazione “sbagliata” che esplora la fascinazione di un ragazzo di buona famiglia per l’estrema destra.
La Penitenza (Bollati Boringhieri). Eliza Clark, tra i migliori giovani scrittori 2023 per Granta e tra i 30 under 30 di Forbes, compie una tagliente incursione sull’omicidio di una 16enne per mano di tre compagne di scuola, mescolando interviste a testimoni e familiari a stralci di podcast true crime.