C’era una volta l’allattamento
La nonna era l’unica da cui Emilia non si sentiva criticata quando allattava il suo primogenito di 4 anni mentre era incinta del secondo. Quel gesto amorevole non era solo un bisogno fisiologico del bambino, era diventato un nutrimento emotivo, ed Emilia ci teneva che smettere fosse una scelta serena e reciproca, a prescindere dall’età del figlio. Giovanna, detta Giovannina, la nonna di Emilia, da giovane allattava i bimbi del paese, nella campagna di Vietri sul Mare, in provincia di Salerno: come tutte le donne che avevano latte, lo metteva a disposizione delle altre mamme e dei loro piccoli. Racconta che, quando i bambini la incontravano per strada, facevano una poppata e poi tornavano a giocare: l’allattamento prolungato continuava fino ai 6 anni, quando cadevano i cosiddetti denti da latte. E quel latte materno, anche se era di un’altra donna, anche se era lo stesso che nutriva i figli di altre mamme, ai tempi in cui mancava il pane in tavola era considerato un bene prezioso che garantiva pance piene, anticorpi e salute.
È cambiato il significato sociale dell’allattamento
Ma ai primi del ’900, mentre Giovannina nutriva i bimbi del villaggio, in un’Europa scossa da guerre e rivoluzioni sociali, la concezione dell’allattamento al seno cambiava radicalmente. Lo sviluppo industriale necessitava di manodopera femminile, i continui conflitti richiedevano una grande quantità di soldati. Data l’altissima mortalità infantile, le donne dovevano fare un figlio dopo l’altro e quindi venivano incoraggiate a smettere presto di allattare. Finite le due guerre mondiali, la crescita economica e industriale degli anni ’50, bisognosa del lavoro femminile, ha ulteriormente ridotto il tempo dell’allattamento. Alle mamme veniva detto che non avevano latte o che era “acqua sporca”, e consigliato di usare quello delle mucche perché, secondo i pediatri dell’epoca, era migliore.
Allattamento prolungato, tra giudizi e insinuazioni
Da 10 anni l’American Academy of Pediatrics, la più grande associazione di pediatri negli Stati Uniti, ha cambiato drasticamente rotta, insieme all’Oms e all’Unicef, e oggi sostiene che l’allattamento al seno per un tempo che vada oltre i 2 anni di vita è la modalità più fisiologica e benefica, oltre che la più economica ed ecologica, sia per il bambino e la sua autonomia emotiva sia per la madre. I numeri, tuttavia, ci dicono altro: in Italia le donne che allattano per 6 mesi sono meno del 40% e le poche che lo fanno oltre i 12 sono considerate bizzarre, morbose, diseducative. Anna Vissuti, che allatta ancora la seconda figlia Atena, 3 anni, racconta che, per conciliare questa scelta con il suo lavoro da manager e per affrontare le numerose critiche di parenti e conoscenti, ha chiesto aiuto a una consulente del latte in modo da capire quando e come interrompere. Ma alla fine, dopo aver tentato in tutti i modi di svezzare la figlia, provocando alla bambina crisi di pianto e notti in bianco, ha accettato l’idea che per loro non era ancora arrivato il momento. Ha così deciso di affrontare gli sguardi indiscreti e le insinuazioni offensive degli altri e ha comprato una serie di maglioni oversize in cui affondarci Atena le rare volte in cui la allatta in pubblico. Così fanno altre mamme che, per evitare le reazioni di stupore e le critiche, decidono di nascondersi o di rassegnarsi allo svezzamento.
Gli studi dell’antropologa sull’allattamento
E se iniziassimo a considerare l’allattamento a lungo termine una scelta individuale, personale, intima della mamma? E, anche se rara, a rispettarla in quanto tale? Secondo l’antropologa americana Katherine Dettwyler, che studia l’argomento fin dagli anni ’90, l’età ideale minima per lo svezzamento è 2 anni e mezzo, la massima 7. Per arrivare a quest’affermazione, la ricercatrice ha analizzato la durata dell’allattamento sia nelle società non industrializzate sia negli animali biologicamente più vicini a noi: gli scimpanzé, che hanno un età di svezzamento spontanea, non viziata da fattori storici o pressioni culturali, e con cui condividiamo il 98% dei geni. Dettwyler ha preso in esame molteplici fattori, come l’aumento di peso, la statura, l’eruzione dentale, lo sviluppo sessuale. Per esempio, i primati vengono svezzati quando appaiono i molari permanenti (nell’uomo avviene intorno ai 6 anni), e quando hanno raggiunto circa un terzo del loro peso da adulti (a noi succede tra i 6 e 7 anni).
Questi studi hanno portato l’antropologa a sostenere i benefici dell’allattamento a lungo termine, che cita nel suo testo A natural age of weaning. Qualche esempio? Un minore rischio di ammalarsi e un quoziente d’intelligenza più alto. I vantaggi diminuiscono gradualmente col passare del tempo e la maggior parte dei piccoli smette spontaneamente ben prima dei 6 anni. «Nelle società dove ai bambini viene permesso di prendere il latte materno per tutto il tempo che lo chiedono, si svezzano da sé, in genere fra i 3 e i 4 anni» sostiene Katherine Dettwyler. Le sue teorie trovano conferma nelle parole di Elisa Guizzo, che allatta il suo Filippo da 3 anni e mezzo: «Ho sempre e solo trovato risvolti positivi. Lui cresce forte, sano e sereno. Intanto, tra noi si crea quella sintonia che non ha bisogno di parole. So che, quando arriverà il momento di smettere, saremo pronti entrambi: credo che sia giusto rispettare i suoi tempi, come ho sempre fatto».
Allattamento prolungato: il parere dell’ostetrica
Che i tempi siano importanti e che ogni bambino (e mamma) abbia i propri lo sostiene anche Sabrina Bocchi, ostetrica di Torino. Segue le madri nella fase iniziale dell’allattamento ma le ritrova anche dopo, per spiegare come conservare al meglio il latte al momento del rientro al lavoro o quando decidono di svezzare il figlio e vogliono farlo nel modo più naturale possibile. «Ogni coppia mamma-bambino ha la sua unicità, i suoi tempi, i suoi bisogni profondi. Capita che le mamme non siano pronte allo svezzamento ma che decidano perché si sentono ripetere frasi come “Ormai è solo un vizio”, “Ormai mangia”, “È la mamma che lo vuole”, “È un attaccamento morboso”. In realtà, oltre al fatto che il latte continua a essere nutriente, allattare è un modo di stare insieme, di farsi le coccole: come non diremmo mai a moglie e marito in che modo debbano prendersi cura l’uno dell’altra, così non ha senso farlo con una mamma e suo figlio» spiega l’esperta. «Se lasciamo i bambini liberi di scegliere, in media si staccano dal seno materno intorno ai 3 anni, quando avviene una maturazione importante del sistema nervoso». Come sostiene anche l’antropologa Katherine Dettwyler.
Quella dell’allattamento è una scelta personalissima
Tra manuali per neomamme, gruppi di sostegno, consulenti certificati, l’allattamento al seno è un argomento che divide. Per una ragione o per l’altra. Se non allatti non va bene, se allatti troppo a lungo non va bene lo stesso. In realtà, come già detto, è una scelta personalissima: alcune donne non allattano per esigenze personali o lavorative, altre proseguono a oltranza. Itziar Chacon, che attacca ancora al seno sua figlia di 3 anni, racconta: «Ho imparato quanto sia faticoso allattare una persona, ho imparato il valore della comunità e del sostegno reciproco, l’importanza di avere informazioni per poter decidere liberamente cosa fare. Ho imparato che il seno è molto più che cibo, è uno spazio di connessione, calma e amore per entrambe. Ho imparato a non giudicare, a capire che ogni mamma fa quello che vuole, soprattutto quello che può. E che questo è sacro».