Come motivare i bambini allo studio? Se lo chiedono molti papà e mamme, anche perché il successo scolastico dei figli spesso è considerato la prova del loro essere bravi genitori. Perla Giagnoni, responsabile del coordinamento pedagogico del Comune di Prato, organizza, insieme a un pool di esperti, corsi per i genitori di alunni delle elementari. Con lei e la pedagogista Barbara Davanzati, una delle insegnanti del corso, abbiamo messo a punto questa strategia.
1/ Sollecita il suo desiderio di conoscere
Fin da piccolissimi l’attività preferita dei bambini è scoprire come funzionano le cose, imparare nuove parole, esplorare il mondo. Esattamente lo stesso meccanismo che, una volta arrivati all’età della scuola, può motivarli a studiare e addirittura appassionarli.
Cosa possono fare i genitori per tenere sveglia questa voglia innata di conoscenza? Incuriosire i figli. Stimolarli. Portarli al cinema o al museo, ma anche parlare insieme di quello che si vede in tivù, coinvolgerli nell’organizzazione di un viaggio. E poi, quando il bambino ha imparato a leggere, fargli scoprire il dizionario come qualcosa di magico in cui trova il significato di tutte le parole: ai ragazzi curiosi piace moltissimo.
Anche farsi aiutare nei piccoli lavori di casa è utile. «Devo cercare un numero sull’elenco del telefono; visto che hai appena imparato l’alfabeto, perché non mi aiuti?». «Per fare questo dolce servono due etti di farina e tre decilitri di latte. Come facciamo a misurarli?». Domande come queste aiutano tuo figlio ad applicare nella realtà le cose che studia e quindi a comprenderne il senso.
Certo, si tratta di interventi modesti e via via che il bambino cresce sarà sempre più difficile trovare gli spunti. Ma, finché è alle elementari, sforzati di aiutarlo a scoprire che lo studio non è solo un esercizio astratto. È il modo migliore per accendere il suo desiderio di imparare.
2 / Non prendere il posto dell’insegnante
Nello stimolare i bambini alla conoscenza, però, attenzione a non esagerare, a mantenere uno spirito giocoso e soprattutto a non metterti mai in cattedra. Devi far capire a tuo figlio che imparare è bello, è piacevole e che lui ha tutte le capacità per riuscirci.
Un esempio. Se la sera leggi un libro insieme al tuo bambino (ottima abitudine non solo per accompagnarlo verso il sonno, ma per introdurlo alla lettura), di giorno crea delle occasioni per parlarne insieme. Ma non chiedergli: «Chi è il personaggio principale?» o: «Fammi un riassunto».
Sono domande da insegnante. Parla con lui come faresti con un adulto. Tuo figlio si sentirà valorizzato e vivrà la lettura come un’occasione di scambio con i genitori. Proprio quello che lui desidera e ama di più.
3 / S.o.s. compiti: mamma, mi aiuti?
Affiancarlo sì, ma fare i compiti al posto suo non solo gli impedisce di imparare, ma ostacola anche il lavoro degli insegnanti. Il racconto di questa mamma, che ha partecipato ai corsi per genitori organizzati da Perla Giagnoni e Barbara Davanzati a Prato, è esemplare.
«Mia figlia doveva individuare una serie di segnali stradali di cui la maestra non aveva spiegato il significato. Ha chiesto il mio aiuto e io, che avevo un po’ fretta, ho fatto direttamente l’esercizio. Il giorno dopo, sul compito corretto, la maestra aveva scritto: “Brava la mamma”. Furibonda, sono andata a parlare con l’insegnante ma le sue parole mi hanno spiazzato: lo scopo del compito era misurare il livello di conoscenza dei segnali stradali, per decidere da che punto iniziare la spiegazione».
I genitori non conoscono tutte le motivazioni degli insegnanti ed è per questo che devono astenersi dall’intervenire. Tra l’altro, si corre anche il rischio di dare informazioni diverse rispetto a quelle fornite a scuola e quindi creare confusione nel bambino.
4 / Le tue lodi gli danno fiducia
Il messaggio da trasmettere non è: «Sei bravo se prendi buoni voti», ma: «Sei bravo se ti impegni al massimo». Incoraggiare ed elogiare un bambino per la concentrazione e l’attenzione che mette nei compiti significa fargli capire che la cosa più importante è affrontare lo studio con serietà e impegno.
E significa anche aiutarlo ad avere fiducia nelle sue possibilità. I risultati sono necessari, certo, ma se lui si impegna arriveranno di sicuro.
5 / Le domande che lo mettono a suo agio
Tuo figlio torna a casa da scuola e ti racconta un episodio banale: un compagno non ha voluto prestargli la gomma per cancellare. Qual è la tua reazione istintiva? Probabilmente dirgli: «Che bisogno avevi di chiedergliela, non hai la tua?» oppure: «Sei il solito distratto, l’avevi dimenticata?».
Prova invece a dire: «Ci sei rimasto proprio male, vero?». Quasi sicuramente tuo figlio si aprirà, magari ti racconterà che la gomma era una scusa per fare amicizia. Ci sono frasi, come «Mi pare di capire che…», «Sembra che tu…» che sono chiavi magiche per aprire le porte alla confidenza: fanno capire al bambino che lo starai a sentire senza giudicare.
Così, se tuo figlio non vuole andare a scuola perché la maestra lo ha sgridato, evita di dire: «Cosa hai fatto per essere rimproverato?». Digli: «Per te deve essere stato molto imbarazzante». Lui senz’altro meritava di essere ripreso.
Ma, mentre i comportamenti possono essere sbagliati, tutti i sentimenti sono ammessi. Se glielo fai capire, si sentirà appoggiato e ritroverà fiducia. Questo stile di comunicazione dà ai figli una ragione per raccontare di sé e ai genitori uno strumento in più per affrontare le difficoltà scolastiche.
Se la pagella è:
buona «Bisogna elogiare il bambino per i suoi successi» raccomanda Paola Scalari, psicologa dell’età evolutiva, autrice, insieme a Francesco Berto, di “Divieto di transito, adolescenti da rimettere in corsa” (Meridiana, 14,50 euro), un libro che aiuta ad affrontare le cadute scolastiche. «Ma evitare il regalo. Sarebbe come dirgli: devi essere bravo a scuola così ricevi una cosa che desideri. Il messaggio da trasmettere è che il suo premio sarà la soddisfazione di riuscire».
cattiva «Se prende brutti voti nei primi anni di scuola significa solo che non è ancora maturo per quello che gli si chiede. Ma ognuno ha i suoi tempi, non resta che aspettare. E incoraggiarlo. Dicendogli per esempio: «Mi pare che qualcosa non sia andato bene, ma ora ci metteremo insieme e lo risolveremo».