Perché si rifiuta di aprire i libri?
Il suo comportamento potrebbe nascondere una richiesta d’aiuto. Non lo fa apposta, probabilmente non se ne rende conto, ma spesso un bambino o un ragazzo che va male a scuola sta cercando di dirci qualcosa, sta chiedendo più attenzioni.
Philippe Meirieu, pedagogista a Parigi, insegnante e padre di quattro figli, autore del libro “I compiti a casa” (Feltrinelli, 6 euro), invita a non sottovalutare questo aspetto. «Si rifiutano di applicarsi nello studio per avere la gioia di vedere il padre o la madre sedersi qualche minuto accanto a loro, magari staccandoli da un lavoro che li monopolizza». Ma la risposta corretta, in questi casi, non è la più ovvia: dedicare loro più tempo.
«Se i genitori cedono troppo in fretta, la situazione potrebbe cristallizzarsi» spiega Meirieu. «Se, però, gli adulti ignorano la sua richiesta d’aiuto, lui può intestardirsi e giocare al rialzo, andando sempre peggio». C’è una terza strada che non sia accettare o ignorare la domanda di attenzione?
«Certo. Se il rifiuto di studiare è il segno di una richiesta affettiva, bisogna dare una risposta in campo affettivo, separandola dal problema scolastico» dice il pedagogista francese. «La soluzione potrebbe essere chiedergli dei suoi amici, dei suoi hobby, discutere di un film visto insieme, accompagnarlo a fare spese, giocare con lui al computer.
Insomma, spostare la questione e attendere». Se questo non funziona, è utile indagare su altre possibili ragioni che gli fanno odiare lo studio. Forse non ne coglie il senso, oppure ha difficoltà a capire come svolgere i compiti, o non si sa organizzare. Con l’aiuto del libro di Philippe Meirieu, abbiamo tracciato un mini prontuario a uso dei genitori.
1 / Suggerisci tre regole d’oro
La prima è quella di stabilire un orario in cui cominciare i compiti. Si tratta di un’abitudine che dovrebbe iniziare già alle elementari. Il ragazzo, crescendo, non farà fatica a seguire il ritmo e ad aumentare le ore di studio via via che le lezioni si fanno più impegnative.
Un’altra regoletta fondamentale è partire dal compito più difficile: non solo vale il principio del «prima lo fai, prima te ne liberi», ma quando si comincia a studiare la mente è più riposata e fatica meno a concentrarsi. Infine, puoi proporgli un percorso a tappe: dalle tre alle tre e mezzo gli esercizi di matematica, poi una pausa e si passa alla lezione di italiano per un’ora, e così via.
Ma non imporre tu la scansione rigida delle materie. Aiutalo, invece, a elaborare un piano ragionevole.
Se però i voti non sono soddisfacenti, intervieni con un programma articolato in questo modo. Stabilisci con tuo figlio una specie di contratto: entro un mese portarsi a pari con lo studio della storia; ogni settimana aggiungere cinque esercizi di matematica; impegnarsi a finire i compiti entro le otto di sera.
Sono esempi per dire che un’insufficienza si ripara seguendo un percorso di recupero a tappe, con tempi precisi. E le scadenze sono sia per il ragazzo che le deve rispettare sia per i genitori che devono controllare. Lui, con un piano da seguire, non si sentirà perso, ma guidato e motivato.
2 / Richiama le mosse giuste per il ripasso
Il ripasso è un lavoro simile a quello dell’archeologo. Vuol dire fare l’inventario delle nozioni acquisite, classificarle, collegarle tra loro. Imparare a farlo bene serve per gli anni futuri. Vuol dire compilare un elenco di definizioni, una scheda con le regole da memorizzare, una sintesi dei punti chiave della materia.
Tutto questo deve diventare una specie di nuovo testo da scorrere ogni volta che serve. E, prima di una verifica, suggerisci a tuo figlio di immaginare le domande che potrebbe fargli un professore sadico. Se sa rispondere anche a quelle, il gioco è fatto.
3 / Controlla i compiti insieme a lui
È giusto che i ragazzi facciano i compiti da soli. Ma è giusto anche che li controllino insieme ai genitori. Ogni sera si può ritagliare un momento per questo, senza però trasformarlo nell’ora del giudizio: sei lì per apprezzare i suoi sforzi e per aiutarlo a individuare i suoi punti deboli.
Niente giudizi di valore, dunque. Dire: «Qui ci sono tre errori» anziché: «Hai fatto tre errori» significa non demoralizzarlo, ma aiutarlo a capire. È poi importante valorizzare i progressi. Non significa semplicemente lodarlo perché ha risposto bene all’interrogazione o ha scritto un buon tema. Vuol dire avere uno scambio che mescoli l’universo familiare e quello scolastico.
Sembrano parole astratte, e invece sono piccole cose molto concrete. Quando lui è felice di usare una parola che ha appena scoperto, quando timidamente interviene in una discussione tra adulti per dimostrare ciò che ha imparato a scuola: queste sono le occasioni da afferrare al volo per farlo sentire riconosciuto e valorizzato più che controllato.
4 / Prima dei risultati, indaga le sue emozioni
«Come è andata oggi?». Probabilmente è questa la prima domanda che poni a tuo figlio quando torna da scuola. Prova, invece, a chiedergli «Come sei stato oggi?». Gli farai sentire che, prima che ai suoi risultati scolastici, sei interessata a lui. Si creerà un circolo virtuoso: lui ti parlerà dei compagni, dei professori, di quello che ha fatto e, sentendosi amato e non sotto esame, gli sarà più facile raccontare eventuali difficoltà.
5 / Accetta lo spazio scelto per studiare
Tuo figlio deve fare un notevole sforzo di concentrazione e di attenzione, quindi lascia che studi dove si sente a suo agio. Può essere seccante avere un ragazzo che fa i compiti in salotto quando gli è stata sistemata una bella scrivania in camera, ma forse ha bisogno di sentire attorno a sé la presenza dei familiari ed è giusto rispettare questa esigenza, come quella di chi preferisce isolarsi in un angolo silenzioso.
In genere, crescendo, i ragazzi preferiscono un luogo appartato. È giusto concederlo e non violarlo anche se non è facile resistere alla tentazione di controllarli mentre studiano.
Se la pagella è:
buona «È giusto mostrare al ragazzo che si è soddisfatti di lui, si può anche festeggiare con una torta» sostiene la psicologa Paola Scalari. «Ma senza dare per scontato che i risultati saranno sempre buoni. I cattivi voti possono sempre arrivare. Anzi, uno ogni tanto fa anche bene, perché insegna che agli insuccessi si può porre rimedio».
cattiva «I genitori devono chiedersi se ci sia qualche ostacolo emotivo che sta mettendo in crisi il figlio, se non pretendano troppo da lui. Poi parlare con il ragazzo. Dire cose tipo: “Io andavo molto male in matematica e la nonna mi ha mandato a ripetizione”. Oppure: “Per riparare studiavo con un compagno molto bravo”. Se si sente capito, il ragazzo stesso a proporrà qualche soluzione».