Il 72,5 per cento delle donne italiane mantiene il lavoro che aveva prima della maternità. Ma che cosa succede al rientro? Alcuni consigli per superare questo momento difficile.
Ecco che cosa prevede la legge per aprire un asilo nido. Il locale deve avere una superficie adeguata e delle caratteristiche precise. È importante prevedere diversi spazi, come la stanza per la nanna e quella del fasciatoio. Per i pasti è necessario avere una cucina attrezzata o affidarsi a una ditta. Fra numero di assistenti e bambini ospitati deve esserci un rapporto preciso. In molti Comuni, come per esempio quello di Genova, è di 1 a 7. Le educatrici impegnate nell’asilo devono avere un diploma magistrale o di liceo psico-socio-pedagogico, una laurea in psicologia o in scienze dell’educazione a indirizzo extrascolastico.
Fissate le regole, è il momento di fare i conti per scoprire che, fra adeguamento dei locali e acquisto delle attrezzature, serve investire almeno 20 mila euro. A questo punto si prospettano tre possibilità. Aprire un micronido in casa per ospitare solo 4 o 5 bambini: in questo modo si riducono i costi di gestione ma anche i margini di guadagno. Affiliarsi a una rete di franchising che si occupa di sbrigare tutte le pratiche e di fornire l’arredamento. Naturalmente il servizio costa: si paga la tassa d’ingresso (da 5.000 a 20.000 euro) e una percentuale variabile sui ricavi. Avviare una mini-cooperativa con almeno tre socie, così da ricavare uno stipendio di 18.000 euro annui. Quest’ultima potrebbe essere proprio la soluzione vincente perché permette di ospitare tanti bambini (da 14 a 21), ammortizzare i costi e, quindi, avere un guadagno più alto.