Ha rischiato la vita, liberato ostaggi, arrestato criminali e gestito la sicurezza di grandi eventi come i funerali di Giovanni Paolo II, nel 2005, a Roma. Pochi conoscono le tante facce dell’illegalità come Achille Serra che, in 40 anni di servizio nella Polizia, è stato dirigente della Squadra Mobile, capo della Digos e della Criminalpol, direttore del Servizio centrale operativo, Questore di Milano, Prefetto di Palermo, Firenze e Roma. E oggi, senatore della Repubblica, ha deciso di parlare di giustizia ai più giovani nel libro fresco di stampa La legalità raccontata ai ragazzi (Giunti editore). Che presenta e discute con i giovanissimi in moltissime scuole di tutta Italia.
Partiamo dal titolo del suo libro. Quello della legalità non è un concetto un po’ troppo astratto per i bambini?
«Niente affatto. In primo luogo perché hanno un naturale senso della giustizia. Lo si vede da come reagiscono se, per esempio, un compagno non rispetta le regole di un gioco o quando vengono sgridati per una marachella che non hanno commesso. E poi perché la legalità non consiste soltanto nel non commettere reati. È una vera e propria cultura, uno stile, che va appreso proprio dall’infanzia, a partire dai piccoli gesti quotidiani. E dall’esempio dei genitori, degli educatori, degli insegnanti».
Nessuna mamma e nessun papà responsabile, però, insegna ai figli a rubare oppure a infrangere il Codice della strada…
«Non basta. Se, per esempio, di fronte all’ennesimo brutto voto il genitore dice: “Non preoccuparti, parlo io con l’insegnante” trasmette al figlio la convinzione che, per “farcela”, nella vita è lecito chiedere dei favori, trovare delle corsie preferenziali. Così valori e principi, come quello della meritocrazia, saltano. I genitori oggi, bisogna riconoscerlo, sono chiamati a un compito che, per come è cambiata la nostra società, è diventato davvero molto difficile: insegnare a distinguere quello che è giusto da quello che è sbagliato perché va contro agli interessi di tutti».
Ma mentre i grandi discutono di temi importanti e decidono cosa è lecito e cosa non lo è, i bambini osservano e giudicano gli errori, le bugie, l’incoerenza e la mediocrità di molti adulti.
«È vero. Da qui l’attenzione a come ci comportiamo: pretendendo lo scontrino ogni volta che facciamo una spesa, non superando i limiti di velocità in auto e così via. Ma anche i piccoli hanno dei doveri. Le faccio un esempio. Non serve a niente avere un preside efficiente e degli insegnanti preparati se gli allievi di una scuola non fanno la loro parte con lo studio, l’attenzione, la curiosità. Lo stesso accade nella società. Se la comunità non collabora, rispettando le leggi e le regole, anche quelle che sembrano più insignificanti, e segnalando i comportamenti illeciti e pericolosi alle Forze dell’ordine, il lavoro di Polizia e Carabinieri è inutile. Ogni cittadino, anche un bambino di 9 anni nel suo piccolo, può fare la sua parte».
Ma non è facile interessare i bambini di oggi all’importanza dei doveri, alla collaborazione, alla giustizia, non crede?
«No. Ogni volta che sono andato in una scuola per parlare di legalità mi son trovato di fronte a platee attentissime, silenziose, che alla fine dell’incontro mi sommergevano di domande e interventi restando seduti ben oltre il suono della campanella. Anche a Palermo, dove sono stato Prefetto, benché io temessi di essere contestato proprio perché la quotidianità di quei ragazzini era, purtroppo, permeata da un altro tipo di cultura. Invece no. Questo mi conferma che i giovani vogliono saperne di più. E noi adulti abbiamo il compito di dare le risposte giuste, con le parole e con i fatti. Ricordiamoci che la mafia, come ogni tipo di illegalità, non si sconfigge con i militari, ma con una nuova mentalità».
Proprio a Palermo, sotto l’albero in memoria di Giovanni Falcone, c’è uno striscione con la scritta: «Giovanni e Paolo camminano sulle nostre gambe». È importante parlare ai piccoli di storie come questa?
«Io, che ho avuto l’onore di conoscere Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, vedo quanto il loro ricordo abbia stimolato e continui a stimolare le coscienze. La loro morte non sarà stata vana se sapremo trasmettere ai bambini l’eredità di impegno civile, onestà e legalità che ci hanno lasciato questi due grandi magistrati uccisi dalla mafia. È la scommessa più importante per il futuro, perché coltivando, fin da giovani, una sana cultura della legalità, si diventa adulti responsabili. E tanti adulti responsabili rendono il nostro Paese un posto migliore in cui vivere».