Di disprassia si sente spesso parlare tra genitori, e non di rado, a sproposito. Per fare chiarezza e capire quando un bambino possa essere considerato disprassico e quando sia effettivamente il caso di intervenire, abbiamo consultato il dott. Gianfranco Trapani, medico Pediatra. L’esperto ha sottolineato quanto si tenda oggi a sforare nel patologico, anche quando di patologico non si tratta. Dunque, il primo consiglio è di non lasciarsi prendere da ansie o esagerate preoccupazioni riguardo alle “performance” del proprio bambino.
La disprassia
Vediamo, innanzitutto, cosa si intende per disprassia.
«La disprassia è un disturbo della coordinazione motoria o del comportamento. In questo caso, analizzeremo la disprassia non associata a patologie organiche o a ritardo mentale. Ovvero, ci occuperemo della disprassia in un bambino perfettamente sano» spiega il dott. Trapani.
Infatti, non sempre la disprassia interviene in modo importante nella vita di un bambino e, per questo, la linea di confine tra disprassico/non disprassico può essere davvero molto sottile.
«Un bambino disprassico ha difficoltà nella coordinazione motoria e nel controllo volontario dei gesti nel tempo e nello spazio. Si tratta sostanzialmente di un ritardo nello sviluppo della coordinazione, di un disturbo di tipo gestuale» continua l’esperto.
I segnali
Le mamme e i papà spesso si chiedono quali siano i segnali che evidenziano la disprassia. Infatti, di fronte ad alcuni presunti ritardi motori del bambino, i genitori restano attoniti e chiedono aiuto al pediatra.
«La disprassia, in un bambino perfettamente sano, si può manifestare in diversi modi: difficoltà a compiere gesti come allacciarsi le scarpe, problemi di coordinazione oculo-manuale e di auto-posizionamento nello spazio, difficoltà nell’imparare ad andare in bicicletta, a salire le scale o a tirare un calcio a un pallone o anche disgrafia» chiarisce il dott. Trapani.
L’esperto invita, però, a non creare patologici laddove non vi siano motivi seri per farlo: «Io, per esempio, sono stato un bambino e un adolescente disgrafico, eppure mi sono laureato e scrivo libri. Dunque, questo tipo di difficoltà non ha ostacolato la mia riuscita personale e professionale».
Valutazione e intervento
La “diagnosi” di disprassia viene emessa dal pediatra o dal neuropsichiatra infantile solo dopo aver osservato l’aderenza del bambino alle tappe dello sviluppo neuromotorio.
«Si può considerare la disprassia, quando è presente un ritardo del bambino nel raggiungere le normali tappe di crescita nei tempi previsti, per esempio la posizione seduta, il gattonamento o i primi passi» chiarisce il dott. Trapani.
Ma cosa si può fare quando un bambino è disprassico? In questi casi, è bene intervenire per tempo con un percorso di neuropsicomotricità personalizzato. «In Italia, la psicomotricità è prevista, nelle scuole e nei percorsi educativi, soltanto durante la prima infanzia e la scuola primaria. In seguito, diventa piuttosto difficile “lavorare” in modo funzionale e costruttivo sul preadolescente e sull’adolescente disprassico, poiché mancano proprio gli strumenti e le attrezzature per occuparsene a livello scolastico ed educativo» precisa l’esperto.
«Intervenire sulla disprassia è necessario quando questa condizione interferisce in modo importante con la vita del bambino, peggiorandone la qualità sia a casa, sia a scuola. E a livello relazionale-sociale. Se invece un bambino è perfettamente sano e presenta una lieve forma di disprassia, spesso può conviverci senza ripercussioni importanti e senza conseguenze sulla sua realizzazione personale, scolastica e, a lungo termine, professionale» conclude il dott. Trapani.