Esterno notte. Le magliette striminzite e gli stessi pantaloni da skater portati col cavallo abbassato, il fumo della sigaretta che esce dalla bocca di entrambe e, mentre una bottiglia di birra fa la spola dall’una all’altra, il botta e risposta serrato, condito da risate e qualche parolaccia. In coda per entrare a un concerto, sembrano due amiche, e invece sono madre e figlia adolescente. Interno giorno. Un uomo e una donna seduti a tavola parlano dei grossi problemi economici che stanno attraversando, come se fossero soli. Accanto, però, c’è lo sguardo smarrito di un bambino. Due flash diversissimi, che fanno balzare alla mente lo stesso termine, ancora poco diffuso ma calzante: parentificazione. Per capire di che cosa si tratta, abbiamo intervistato Claudia Denti, dottoressa in Scienze dell’Educazione che, insieme a Severino Cirillo, ha scritto Impara a dire no (Rizzoli, 17 euro) e fondato Genitore informato (genitoreinformato.com), canale di riferimento per mamme e papà italiani.
Che cos’è la parentificazione
«Con parentificazione si indica uno squilibrio o un’inversione dei ruoli genitore-figlio. Va bene quando il primo diventa anziano e il secondo è ormai un adulto, in grado di prendersi cura di chi gli sta a cuore e di decidere al posto suo, ma non prima», suggerisce la dottoressa Denti. «La tendenza a trattare bambini e adolescenti alla pari, caricandoli di responsabilità inadatte alla loro età, può fare danni importanti. Capita, ad esempio, quando il papà o la mamma si confida con il figlio (o la figlia) come se avesse di fronte un coetaneo, rivelandogli senza alcuna cautela difficoltà personali, lavorative o economiche. O quando i genitori parlano tra loro di argomenti molto preoccupanti senza curarsi che bimbi e ragazzini stiano ascoltando. Il giovane “parentificato”, a cui manca la maturità per comprendere il contesto e reggere il peso di problemi e ragionamenti “da grandi”, si sentirà confuso, profondamente preoccupato, in preda all’ansia». Ma non solo.
Quanto conta la complicità con i figli?
I genitori che instaurano con i figli ancora troppo piccoli un rapporto paritario non si possono poi aspettare che questi rispettino le regole da loro imposte, né che li considerino un porto sicuro, a cui tornare nei momenti di crisi. «Questo non vuol dire che non si possa passare del tempo con i ragazzi all’insegna della complicità, anzi: andare ai concerti insieme, viaggiare, uscire a cena… Sono tutte esperienze che rinsaldano il legame. Ma dev’essere sempre chiaro chi è l’adulto e chi no, chi guida e chi viene guidato». La stessa attenzione va posta quando bisogna affrontare questioni che minacciano la serenità familiare.
Cosa comporta l’infantilizzazione dei figli?
La perdita del lavoro, i nonni che non stanno bene, una crisi di coppia. Molte volte si sceglie di nascondere i problemi ai figli, anche quando questi non sono più bebè. Un po’ perché non si sa che parole usare, un po’ per la paura di vederli soffrire. «Se è sbagliato trattarli come fossero adulti, lo è anche tenerli all’oscuro di quello che sta succedendo. Senza contare che, vedendoci nervosi o giù di morale, e cogliendo mezze frasi qua e là, potrebbero intuire qualcosa, ma in modo approssimativo e, quindi, angosciante», spiega l’esperta.
È importante “normalizzare” le difficoltà, ossia far capire ai figli che inciampi e intoppi capitano, sono un ingrediente della vita proprio come gli eventi felici.
Continua la dottoressa Denti. «Ma ovviamente, nel raccontarle, dobbiamo utilizzare un linguaggio adeguato alla loro età. E, al tempo stesso, dobbiamo rassicurarli del fatto che saremo noi adulti a farcene carico e a trovare soluzioni. L’abitudine a cercare un dialogo di questo tipo, lucido e tranquillizzante, consentirà ai bambini e ai ragazzi di imparare che, quando saranno loro a incontrare un ostacolo, non dovranno aggirarlo ma affrontarlo con coraggio, contando sul nostro appoggio».
Parentificazione: come la mettiamo con le punizioni?
È facile che ai bambini e ai ragazzi “parentificati” vengano fatte concessioni eccessive. «Quando sbagliano, invece, è essenziale insegnare loro l’importanza del perdono ma, contemporaneamente, mettere in chiaro che a ogni errore corrisponde, non tanto una punizione, quanto una conseguenza», chiarisce la dottoressa Denti. «Al bambino che rovescia apposta un bicchiere d’acqua faremo asciugare il pavimento, anziché urlargli che non lo porteremo al parco. Causa ed effetto devono essere collegati per aiutarlo a comprendere e a crescere senza paura, ma nel rispetto delle regole».
Genitori in difficoltà, lanciate l’SOS
Complici ma non amici. Autorevoli ma non autoritari. Teneri ma non arrendevoli. Per i genitori trovare la giusta via di mezzo è un rompicapo. «Non per niente fare la mamma e il papà è il mestiere più difficile del mondo», dice la dottoressa Denti. «Questo dato di fatto è il presupposto del metodo educativo Umami – acronimo di umanità, maturità, autenticità, meraviglia e indipendenza – che ho ideato insieme a Severino Cirillo, e che mette al centro non i figli ma i genitori. Il consiglio numero uno? Informarsi, tenersi aggiornati sul tema genitorialità, ricordarsi che mamma e papà perfetti non esistono. E non vergognarsi nel caso in cui emerga la necessità di chiedere una consulenza a uno specialista, per sé o per i propri ragazzi».