La premessa, sorprendente, è che “arrabbiati si nasce”. «Perché è l’emozione che accompagna tutti gli esseri viventi fin dai primi mesi di vita» spiega Francesca Broccoli, psicoterapeuta e autrice del libro Lascia che si arrabbi (Sperling & Kupfer). «La rabbia, che non va confusa con la violenza, ha una funzione evolutiva importante nel percorso di crescita di un bambino, perché è legata all’istinto di sopravvivenza e gli permette di affermare la sua personalità».
Quel che è certo, però, è che un figlio che urla, tira calci e non sente ragioni, mette a dura prova noi grandi. Ecco allora, i consigli di Francesca Broccoli.
Fino a 3 anni: «Urla più forte!». È il momento in cui un bambino fa i capricci e strilla «No!» perché sta cercando di affermarsi come individuo separato dai genitori. «Tutto normale: opporsi alle regole è l’allenamento che gli serve per diventare grande. Per noi adulti è una fase faricosa, ma almeno sappiamo che è un passaggio naturale, non il frutto della nostra incapacità di educatori». Dopo avergli ripetuto, sforzandosi di avere un tono tranquillo, che non si cederà ai suoi capricci, può servire l’effetto sorpresa. «Basta spiazzarlo proponendogli qualcosa che non si aspetta, come di urlare più forte. Così si danno al piccolo due messaggi: la mamma capisce come ti senti. Ma non è ricattabile».
Da 4 a 6 anni: «Cosa faresti se?». Questa è l’età del confronto con i pari: i bambini sono alle prese con le prime regole del vivere insieme, in contesti esterni alla casa. È un momento bello ma impegnativo e può capitare che abbiano bisogno di sfogare le emozioni represse in classe. Non per questo si deve bollare il piccolo con l’etichetta di “rabbioso” o ingaggiare con lui uno sterile braccio di ferro. Meglio chiedergli cosa succede e poi lanciargli una sfida: «Scommetto che riesci a trovare una bella soluzione per questo problema». Poi, per aiutarlo a governare meglio le sue emozioni, non appena è tornata la calma, occorre stargli accanto e chiedergli di spiegare, a parole o con un disegno, come si sentiva prima e come sta adesso.
Da 7 a 11 anni: «Cosa ti preoccupa?» Logica, pensiero astratto, relazioni tra cause e conseguenze: questa è l’età in cui i bambini si appropriano di tante nuove competenze. E diventano più esperti sul piano emotivo e relazionale: meno egocentrici e maggiormente interessati al gruppo, imparano finalmente a gestire le loro emozioni. Ecco perché frequenti crisi di rabbia, in questa fase, sono da leggere come la richiesta di aiuto per un disagio profondo. Invece di ignorare o di reprimere questi sfoghi, quindi, è importante aiutare il bambino a tirare fuori le sue preoccupazioni. Cioè a mettere in contatto il suo mondo interiore con quello esterno.
Dai 12 anni: «Sì, ma» Per conquistare una sempre maggiore autonomia, dai 12-13 anni i figli hanno un solo strumento: opporsi agli adulti. Anche con rabbia. «È il momento in cui i genitori devono negoziare, imparare a dire dei “sì, ma”, cioè aprirsi alle loro richieste, ma in un’area di sicurezza» conclude l’esperta. Comincia così un processo non facile, ma stimolante, che durerà tutta l’adolescenza.