Un suggerimento per tutte le mamme che arrivano a fine giornata e non sanno come hanno fatto a farcela: trovare due ore libere (ahahahah!) e vedere “Ma come fa a far tutto?”. A parte gli scherzi, trovare il tempo è difficile ma il film vale la pena.
Contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, non è la protagonista Kate (una frizzante e sempre affascinante Sarah Jessica-Parker) a chiedersi come sia possibile fare tutto ma quelli che hanno a che fare con lei e muoiono di invidia. Ovvero: la suocera, il collega rivale che vorrebbe vederla stesa a tappeto e, soprattutto, le altre mamme che non lavorano e si sentono molto ma molto migliori di tutte le altre …
Arriviamo quindi al dunque: perché Kate ce la fa? Quali sono gli ingredienti del suo successo? Possiamo riuscirci anche noi?
Il segreto di un bravo giocoliere (come si autodefinisce), dice Kate è il lancio, non la presa. E quindi, prima di tutto essere positivi, non scoraggiarsi, andare alle riunioni come si riesce (nel suo caso, con i pidocchi e una patacca sul bavero della giacca…) e rimanere sicure di sé. Kate, poi, riconosce che non potrebbe vivere senza lavorare ma che – allo stesso tempo – ama tantissimo i figli e il marito e vuole, quindi, riuscire a fare tutto.
Last but not least, è vero che Kate è straordinaria ma non è da sola: ha un fantastico, e dico fantastico, marito che non solo la ama e la sostiene, ma c’è, è calmo e paziente, si occupa dei bambini quando lei non può farlo, ed è fiero di lei.
Questo film fa bene perché affronta proprio tutti i pensieri che, in un momento o nell’altro, assalgono noi mamme stravolte. Primo, tra tutti, il pensiero di lasciare il lavoro perché alla frutta, poi tutti quei pensieri che si trovano ad affrontare le donne che vogliono una carriera: in primis non formare una famiglia, perché sconvolge la vita. Questo film fa bene perché ci dice di “non mollare” e ci aiuta a ricordare che, anche se è dura, ce la possiamo fare.
Un’ultima cosa. Kate non solo ce la fa, ma riesce anche meglio dei suoi colleghi maschi perché non cerca di essere un uomo – “cercare di essere un uomo è come sprecare una donna” – ma porta il suo femminile anche al lavoro.